Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 8578 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 8578 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
Di NOME nato negli Stati Uniti d’America il 2 giugno 1970;
avverso la sentenza del 30 gennaio 2024 della Corte d’appello di Catania;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; udito l’avv. NOME COGNOME difensore di fiducia dell’imputato, per l’accoglimento del ricorso; generale NOME che ha insistito
RITENUTO IN FATTO
Oggetto dell’impugnazione è la sentenza con la quale la Corte d’appello di Catania, confermando sostanzialmente la condanna pronunciata in primo grado (riformata solo in termini di trattamento sanzionatorio), ha ritenuto NOME COGNOME responsabile del reato di bancarotta fraudolenta documentale specifica, per avere, al fine di recare pregiudizio ai creditori, occultato i libri
scritture contabili della società della quale era amministratore, la RAGIONE_SOCIALE (dichiarata fallita il 24 giugno 2014).
Il ricorso, proposto nell’interesse dell’imputato, si compone di tre motivi d’impugnazione.
2.1. I primi due, formulati sotto il profilo del vizio di motivazione (il pri e della violazione di legge (il secondo), attengono alla sussistenza dell’elemento soggettivo e alla qualificazione dei fatti contestati in termini di bancarot fraudolenta documentale.
La difesa deduce che la Corte d’appello avrebbe desunto il dolo specifico da alcune asserite imprecisioni nelle quali sarebbe incorso l’imputato nella ricostruzione storica delle vicende che hanno caratterizzato la vita e l’attività dell società. Non avrebbe, tuttavia, considerato: a) il lungo lasso di tempo trascorso tra i fatti oggetto delle dichiarazioni (2006 – 2007) e l’epoca in cui il Di COGNOME stato sentito (2014); b) l’inerzia della curatela fallimentare, alla quale era sta indicato specificamente il luogo ove le scritture contabili erano custodite e l’impossibilità del ricorrente di accedervi; c) le coerenti dichiarazioni rese d dipendente che si era sempre occupato del deposito delle scritture contabili nell’archivio amministrativo della società (tale NOME COGNOME.
Cosicché, in assenza di una specifica volontà diretta a sottrarre la documentazione contabile, i fatti contestati potrebbero al massimo essere qualificati in termini di bancarotta semplice.
2.2. Il terzo deduce violazione di legge (in relazione all’art. 62-bis cod. pen.) e attiene al trattamento sanzionatorio, quanto, in particolare, al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, illogicamente escluse, sostiene la difesa, nonostante i numerosi elementi positivi concretamente valutabili a tal fine (la buona fede del ricorrente, la sua impossibilità di acceder all’interno dei locali ove era custodita la documentazione e la condotta inerte della curatela).
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo è complessivamente infondato.
Va premesso che il reato di bancarotta fraudolenta documentale si può manifestare nelle sue due alternative forme descritte (entrambe) al n. 2 dell’art. 216 I. fall.: l’occultamento, la sottrazione o la distruzione delle scritture conta (bancarotta documentale specifica) e la fraudolenta tenuta di tali scritture (bancarotta documentale generale).
Per come costantemente ritenuto da questa Corte, la prima delle due fattispecie si caratterizza, sotto il profilo soggettivo, per la necessità che
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condotta di fisica sottrazione delle scritture sia assistita dal dolo specifico, inteso, appunto, quale scopo di recare danno ai creditori impedendo la ricostruzione dei fatti gestionali; un profilo, quello della intenzionale direzionalità della condot che distingue le figure delittuose di bancarotta documentale di cui all’art. 216, comma 1, n. 2, legge fall. dalle ipotesi, che ne sono prive, di bancarotta semplice, previste dal successivo art. 217, il cui secondo comma incrimina, parimenti, l’omessa o irregolare tenuta dei libri contabili, sia essa volontaria o dovuta a mera negligenza (Sez. 5, n. 2900 del 02/10/2018, dep. 2019, Pisano, Rv. 274630).
Sotto il profilo probatorio, lo scopo fraudolento che deve caratterizzare il fatto può essere desunto (in ragione della natura psicologica del dato da apprezzare) dalla complessiva ricostruzione della vicenda e dalle circostanze del fatto che la caratterizzano, evidenziando gli elementi dai quali dedurre la finalizzazione del comportamento omissivo all’occultamento delle vicende gestionali (Sez. 5, n. 2228 del 04/11/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 283983).
Ciò considerato, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la Corte territoriale ha chiaramente indicato la specifica finalizzazione della condotta posta in essere dando atto: a) della falsità dell’iniziale dichiarazione resa al curatore giustificazione dell’inesistenza della documentazione (avendo l’imputato riferito che la società sarebbe rimasta inattiva fin dal 2005, laddove ha, pacificamente, continuato ad operare almeno fino all’anno 2009); b) della successiva ritrattazione e della illogicità della successiva giustificazione resa (secondo cui la documentazione era stata depositata, da un dipendente incaricato di prelevarla dallo studio del commercialista, presso la sede operativa della società, alla quale il ricorrente non poteva avere più accesso a causa di un dissidio con l’altro socio), non essendo verosimile che lo stesso COGNOME ordinasse ad un suo dipendente di depositare la documentazione contabile presso locali dei quali non aveva più la disponibilità; c) dell’assoluta irrilevanza delle dichiarazioni che l’imputato avrebb eventualmente reso ad altro soggetto, nominato curatore del fallimento di una diversa società (facente capo allo stesso imputato); d) della particolare rilevanza del passivo fallimentare (paria circa due milioni di euro) e della formale presenza di un patrimonio attivo per un valore di 847.163 euro (del quale facevano parte immobilizzazioni materiali per circa 80.000 euro, con un utile di esercizio e una disponibilità di cassa di circa 180.000 euro) mai rinvenuto dagli organi fallimentari; e) della connessa impossibilità (preclusa dalla mancanza di scritture contabili) di una puntuale ricostruzione della consistenza patrimoniale e dei beni strumentali della società, con conseguente grave danno per la massa dei creditori rimasta del tutto insoddisfatta.
A fronte di ciò, il ricorrente si limita: a) ad offrire una (asserita) giustifica alla divergenza tra le dichiarazioni rese al curatore e quelle successivamente
offerte nel corso del giudizio; b) ad invocare una rivalutazione dell’ipotizzata inerzia della curatela fallimentare; c) a richiamare le dichiarazioni rese da dipendente che si era sempre occupato del deposito delle scritture contabili nell’archivio amministrativo della società.
Tanto, però, significa censurare la valutazione della prova, non la motivazione che di essa ne danno i giudici di merito; significa chiedere a questa Corte una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, articolata sulla base dei diversi parametri di ricostruzione e valutazione, dimenticando i limiti propri del sindacato riservato a questa Corte, che non è chiamata a verificare l’intrinseca adeguatezza delle argomentazioni offerte dal giudice di merito, scegliendo tra diverse possibili ricostruzioni, ma al solo riscontr dell’esistenza, della non manifesta illogicità e della coerenza dell’apparato argomentativo, valutato nel suo complesso, sui vari punti della decisione impugnata. La scelta tra divergenti versioni ed interpretazione del dato fattuale, come l’indagine sull’attendibilità dei testimoni, nella sua dimensione fattuale, non può formare oggetto di ricorso per cassazione, in quanto postula, intrinsecamente, la necessità di comparare e coordinare i singoli elementi di prova, nella loro individuale e complessiva valenza dimostrativa. Un apprezzamento, in fatto, riservato, ontologicamente, al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare in modo accurato le ragioni del proprio convincimento (ex multis, Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, Rv. 271623).
Il secondo è manifestamente infondato, alla luce delle superiori argomentazioni, avendo la Corte territoriale dato atto del differente profilo di partecipazione soggettiva che ha caratterizzato la condotta assunta dal ricorrente.
3. Il terzo è indeducibile
Deve premettersi che la graduazione della pena presuppone un apprezzamento in fatto e un conseguente esercizio di discrezionalità (ed è, quindi, riservata al giudice di merito e insindacabile in sede di legittimità, ove non si frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficien motivazione: Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Rv. 259142).
Naturale corollario di tale assunto è che il giudice deve dar conto, sia pure sinteticamente, delle singole decisioni adottate nell’esercizio del suo potere discrezionale; onere che può ritenersi adempiuto allorché il giudice di merito abbia indicato, nel corpo della sentenza, gli elementi ritenuti rilevanti o determinant nell’ambito della complessiva dichiarata applicazione di tutti i criteri di cui all 133 cod. pen. (Sez. 6, n. 9120 del 02/07/1998, Rv. 211582; Sez. 1, n. 3155 del
25/09/2013, dep. 2014, Rv. 258410) ed è tanto meno stringente quanto più la determinazione è prossima al minimo edittale, rimanendo, in ultimo, sufficiente il semplice richiamo al criterio di adeguatezza, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 2, n. 28852 del 08/052013, Rv. 256464).
In questo contesto, le circostanze attenuanti generiche, in sé, non costituiscono oggetto di un diritto conseguente all’assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma necessitano, in positivo, di elementi ritenuti idonei a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio rendendolo coerente alla concreta gravità del fatto.
Cosicché, la nneritevolezza dell’adeguamento della pena, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni del fatto o del soggetto, tipica dell circostanze attenuanti generiche, non potendo essere data per presunta, necessita di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti idonei a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivata, a fronte di specifica richiesta dell’imputato, anche attraverso la sola indicazione delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza la stretta necessit della contestazione o dell’invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda (Sez. 1, n. 46568 del 18/05/2017, Rv. 271315; Sez. 3, n. 19639 del 27/01/2012, Rv. 252900; Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, Rv. 281590).
Nel caso in esame, la sentenza impugnata ha evidenziato l’assenza di elementi favorevoli valutabili ai fini del riconoscimento delle attenuanti generiche e l condotta mistificatrice assunta dell’imputato. La motivazione è logica e coerente e, in quanto tale, insindacabile in questa sede.
4 II ricorso, pertanto, deve essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 10 gennaio 2025
Il Consigljgre e ensore
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Il Presidente