Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 2128 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 2128 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/12/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME nato a VITTORIA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a VITTORIA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a VITTORIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 23/11/2022 della CORTE APPELLO di CATANIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi;
lette le conclusioni dei difensori degli imputati AVV_NOTAIO e AVV_NOTAIO, che hanno chiesto l’accoglimento dei ricorsi proposto nell’interesse dei rispettivi assistiti.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Catania ha confermato la condanna, pronunziata a seguito di giudizio abbreviato, di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME per il reato di bancarotta fraudolenta documentale commesso nella gestione della RAGIONE_SOCIALE, fallita nel novembre 2014. In pNOMEre agli imputati è contestato – al COGNOME NOME nella sua qualità di amministratore della fallita e agli altri due imputati quali soci concorrenti estranei – di aver sottra scritture contabili al momento in cui hanno abbandonato la GFM, cedendola ad un cittadino extracomunitario clandestino, al quale la predetta documentazione veniva formalmente consegnata.
2. Avverso la sentenza ricorrono gli imputati con atti autonomi.
2.1 I ricorso proposti nell’interesse del COGNOME e di COGNOME NOME NOMEno due motivi, sostanzialmente sovrapponibili. Con il primo vengono dedotti vizi di motivazione in merito alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato. I due imputati sono stati condannati in qualità di concorrenti estranei, non avendo essi mai ricoperto cariche gestorie nella fallita (il COGNOME) o essendone stati amministratori epoca anteriore ai fatti per cui si procede, all’epoca dei quali entrambi erano solo formalmente soci. Si osserva come sia la stessa sentenza ad escludere che essi abbiano materialmente concorso nella condotta di sottrazione delle scritture contabili oggetto di contestazione, attribuita esclusivamente al COGNOME NOME (rispettivamente cognato e fratello dei ricorrenti), individuando invece i giudici d merito il loro contributo alla consumazione del reato nella partecipazione all’operazione di cessione fittizia delle quote societarie al cittadino extracomunitario congegnata dal cognato. Ma in tal senso la Corte non avrebbe dimostrato la consapevolezza da parte degli imputati della strumentalità della loro condotta, omettendo altresì di confutare l principale obiezione della difesa, ossia la mera apparenza della titolarità delle quote cedute e la completa estraneità del COGNOME e della COGNOME alla gestione della società. Con il secondo motivo i ricorrenti denunziano erronea applicazione della legge penale in merito al denegato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 219 legge fall. decisione fondata sul mero raffronto tra attivo e passivo e sull’errata affermazione per cui la mancanza integrale della contabilità impedirebbe di valutare l’eventuale tenuità del danno cagionato dal reato.
2.2 II ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOME NOME c:inque motivi. Con il primo deduce vizi di motivazione in merito all’affermazione di responsabilità
dell’imputato. Egli, infatti, al momento del fallimento della società, non ne era p l’amministratore, né vi sarebbe prova che si sia ingerito nella sua gestione successivamente alla dismissione della carica. Illogicamente la Corte avrebbe poi desunto la volontà dell’imputato di occultare la contabilità dalla prova dell’avvenuta consegna della medesima al nuovo amministratore della fallita, di cui apoditticamente ha affermato l’eterodirezione da parte del COGNOME. Circostanza peraltro smentita dall’avvenuta presentazione l’anno successivo al subentro delle dichiarazioni fiscali obbligatorie documentato nella comunicazione di notizia di reato, come evidenziato con il gravame di merito ignorato sul punto dal giudice dell’appello. Ulteriori vizi motivazione vengono denunziati con il secondo motivo in merito alla prova del dolo specifico del reato, fondata sulla rilevante esposizione debitoria della fallita, che pe le mere fatture emesse dal creditore non sono sufficienti a dimostrare per costante giurisprudenza, mentre la Corte avrebbe trascurato il fatto che la RAGIONE_SOCIALE vantava cospicui crediti comprovati dalle risultanze del bilancio del 2012 e che pertanto l’imputato non aveva alcun reale interesse a sottrarre la contabilità. Con riguardo alla natura fittizia della cessione delle quote societarie in maniera illogica la Corte avrebbe ritenuto irrilevante, ai fini della prova della buona fede dell’imputato, il fatto AVV_NOTAIO abbia erroneamente ritenuto il cessionario titolare di un valido permesso di soggiorno. La sentenza avrebbe poi apoditticamente affermato irreperibilità di quest’ultimo dopo la cessione, posto che la stessa è stata accertata solo due anni dopo, rimanendo ignoto il momento in cui avrebbe lasciato il territorio nazionale. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la mancata derubricazione nel reato di bancarotta semplice documentale, nel frattempo prescrittosi, mentre con il quarto deduce l’erronea applicazione della legge penale in merito al denegato riconoscimento dell’attenuante della pNOMEre tenuità del danno sviluppando argomentazioni sovrapponibili a quelle illustrate trattando dell’analoga doglianza proposta con il ricorso del COGNOME. Con il quinto motivo vengono infine dedotti vizi d motivazione in merito alla determinazione della pena in misura superiore a quella riservata ai coimputati. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di COGNOME NOME è infondato e in alcune parti inammissibile e deve pertanto essere rigettato.
Le doglianze del ricorrente scontano un approccio atomistico al compendio probatorio valutato dai giudici del merito nel suo complessivo significato e ritenuto idoneo a fondare l’affermazione di responsabilità dell’imputato. Dall’operazione che ha portato
alla cessione della fallita nel suo complesso considerata la Corte territoriale ha tutt’al che illogicamente tratto la convinzione della sua strumentalità ossia della sua funzionalità alla configurazione di un diaframma temporale tra la gestione del Crescino e il fallimento della società. In tal senso il giudice dell’appello ha correttame valorizzato plurimi indici del fatto che NOME fosse un mero prestanome, alcuni dei quali nemmeno sono stati considerati dal ricorrente, come ad esempio la circostanza che la sede della società sia stata trasferita in aperta campagna, dove la stessa è risultata inesistente e mal si comprende quale sarebbe stato il razionale senso dell’acquisto di una società per mantenerla inattiva e priva di una effettiva sede.
Versandosi in un caso di c.d. “doppia conforme”, gli apparati argomentativi delle sentenze di primo e di secondo grado si saldano tra loro e formano un unico complesso motivazionale in relazione a quei segmenti del ragionamento probatorio sviluppato dal primo giudice che non hanno costituito oggetto di specifica doglianza con il gravame di merito e cui dunque in maniera legittima il secondo ha implicitamente richiamato. Ed in tal senso deve allora osservarsi come nella sentenza di primo grado erano state riportate le dichiarazioni del commercialista della fallita, che aveva sì confermato come, su indicazione dell’imputato, la documentazione contabile della fallita era stata consegnata all’NOME AVV_NOTAIO, ma altresì certificato come nel corso del 2013 la contabilità non era stata aggiornata poiché il COGNOME – rimasto in carica come amministratore fino al novembre di quell’anno – non aveva provveduto a consegnare i documenti all’uopo necessari. Legittimamente dunque la Corte territoriale desunto la volontà dell’imputato di occultare in pregiudizio dei creditori la situazione contabile e di ricorrere ad un mer prestanome nel tentativo di allontanare da sé qualsiasi responsabilità, finalità avvalorate dalle anomale circostanze della successiva cessione della società, fermo restando altresì che, in caso di avvicendamento nella gestione di una società, l’amministratore cessato rimane responsabile per l’effettiva e regolare tenuta della contabilità nel periodo in cui ha ricoperto la carica, rispondendo altresì dell’eventual occultamento della stessa, in tutto o in parte, al momento del passaggio delle consegne al nuovo amministratore e ciò a prescindere dall’autonomo obbligo di quest’ultimo di ripristinare i libri e documenti contabili eventualmente mancati e regolarizzare le scritture di cui rilevi l’erroneità, lacunosità o falsità (Sez. 5, n. 15988 del 11/3/2 Scinetti, non massimata). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
In proposito del tutto logica è altresì la conclusione raggiunta dai giudici del meri circa la sostanziale fittizietà della cessione in ragione dell’inverosimile pagamento dell quote in contanti, circostanza che non solo è risultata priva di fondamento probatorio, rimanendo sostenuta dalle mere dichiarazioni dell’imputato in tal senso, ma che già la sentenza di primo grado – non contestata nemmeno su questo punto con i motivi
d’appello – aveva già ritenuto comunque non credibile, attesi gli ac:certamenti effettuati sui modesti redditi percepiti dall’NOME nel corso della sua permanenza sul territori nazionale, del tutto inadeguati a consentirgli di versare la somma asseritamente pattuita.
Quanto al prospetto sulle dichiarazioni fiscali presentate nell’interesse della fallit silenzio riservato sul punto dalla sentenza impugnata è irrilevante. Anzitutto i ricorrente non evidenzia l’effettiva decisività della prova, ma, soprattutto, la stes difesa nei motivi d’appello aveva contraddittoriamente evidenziato come in realtà tale prospetto dovesse ritenersi riferito agli anni d’imposta e non a quelli di effett presentazione delle suddette dichiarazioni, pena l’incomprensibile presentazione di dichiarazioni relative all’esercizio del 2010, anno in cui la società non era ancora stat costituita.
Infondata è anche l’obiezione relativa all’asserita esistenza nel patrimonio della fallita cospicui crediti, posto che la prova degli stessi sarebbe fondata su un bilancio privo di rilevanza in assenza della documentazione contabile sulla base della quale avrebbe dovuto essere redatto. Generici sono invece i rilievi in merito alla situazione debitori della fallita, atteso che il ricorso non indica gli elementi eventualmente idonei smentire gli accertamenti effettuati in proposito dal curatore fallimentare legittimamente richiamati dalla sentenza.
Manifestamente infondata è la doglianza relativa alla mancata derubricazione del fatto nel meno grave reato di bancarotta semplice documentale, atteso che sulla Corte, una volta che la stessa aveva motivatamente dimostrato la configurabilità di quello più grave contestato, non gravava alcun ulteriore specifico onere motivazionale in tal senso.
Irrilevante è altresì la motivazione con la quale i giudici dell’appello hanno negato il riconoscimento dell’attenuante speciale di cui all’art. 219 legge fall., risultan comunque corretta in diritto la soluzione adottata. Infatti, secondo l’insegnamento di questa Corte, l’occultamento delle scritture contabili non consente l’applicazione della suddetta attenuante, qualora, rendendo impossibile la ricostruzione dei fatti di gestione dell’impresa fallita, impedisca la stessa dimostrazione del danno causato alla massa creditoria in seguito all’incidenza che le condotte integranti il reato hanno avuto sul possibilità di esercitare le azioni revocatorie e le altre azioni poste a tutela d interessi creditori (Sez. 5, n. 25034 del 16/03/2023, COGNOME, Rv. 284943; Sez. 5, n. 7888 del 3/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275345).
Inammissibile è infine il quinto motivo, che propone mere censure in fatto peraltro fondate sulla meramente asserita assimilazione della posizione dell’imputato a quella dei coimputati, peraltro ampiamente confutata dalla sentenza che nello svolgimento
della motivazione ha ampiamente evidenziato il ruolo dominante ricoperto dal NOME nell’ideazione ed attuazione del reato.
Sono invece fondati nei termini e nei limiti di seguito esposti i ricorsi del COGNOME COGNOME NOME, i cui motivi possono essere esaminati unitariamente per le ragioni già esposte.
In pNOMEre colgono nel segno le doglianze NOMEte con il primo motivo dei rispettiv ricorsi con riguardo al difetto di motivazione sull’individuazione dell’effettivo contrib prestato dai due imputati alla consumazione del reato e sulla consapevolezza da parte degli di concorrere al disegno criminoso di COGNOME NOME.
Pur a fronte delle specifiche contestazioni avanzate in tal senso con il gravame di merito, la Corte territoriale non ha infatti evidenziato le ragioni per cui ha ritenuto la COGNOME ed il COGNOME siano effettivamente concorsi nel reato, se non lasciando intendere implicitamente che il loro coinvolgimento nella cessione delle rispettive quote in favore dell’NOME sarebbe sicuro indice del loro consapevole concorso nel reato. E’ peraltro evidente che la cessione delle quote in sé considerata ed i legami familiari con il coimputato non costituiscono elementi sufficienti a comprovare l’effettiva coscienza della volontà del loro congiunto di occultare la contabilità societaria ed ancor meno della sua irregolare tenuta nel corso del 2013, posto che il NOME risulterebbe essere stato coinvolto nella gestione della fallita, mentre la COGNOME aveva dismesso la carica gestoria nel settembre del 2012, né la sentenza ha chiarito in che termini ella l’abbia effettivamente interpretata. Ed in tal senso i giudici del merito nemmeno chiariscono da quali elementi avrebbero ricavato la consapevolezza da parte dei ricorrenti della situazione debitoria della fallita e del fatto che l’NOME fosse un prestanome assoldato da COGNOME NOME.
Ma anche volendo ammettere che i due imputati fossero stati coscienti della strumentalità della cessione all’abbandono della GFM, in alcun modo viene spiegato perché essi si siano necessariamente rappresentati che l’operazione comportasse anche la sottrazione dei libri contabili e, come già detto, ancor primo la loro mancat scritturazione nel corso dell’ultimo anno di vita della società, nonché per quale ragione tali ultime condotte non potrebbero essere addebitate esclusivamente a COGNOME NOME.
Conseguentemente nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Catania per nuovo giudizio, rimanendo assorbite le ulteriori censure formulate dai menzionati imputati.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente a COGNOME NOME e COGNOME NOME con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Catania. Rigetta i ricorso di COGNOME NOME che condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 4/12/2023