Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 5947 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 5947 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a TORTONA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 22/12/2022 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Procuratore generale, COGNOME, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
lette le conclusioni dell’AVV_NOTAIO, per il ricorrente, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La sentenza impugnata è stata deliberata il 22 dicembre 2022 dalla Corte di appello di Milano, che ha confermato la decisione del Tribunale di Pavia, che aveva condannato per bancarotta fraudolenta documentale NOME COGNOME, quale amministratore della società RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita dal Tribunale di Pavia il 25 settembre 2014. La sentenza ha riguardato anche NOME COGNOME e NOME COGNOME, madre e figlio oggi non ricorrenti, la prima ex amministratore di diritto della società fallita prima di COGNOME, il secondo amministratore di fatto della fallita.
Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione l’imputato a mezzo del difensore di fiducia.
La sentenza impugnata sarebbe affetta da vizio di motivazione – si sostiene nell’unico motivo di ricorso – perché avrebbe giustificato la conferma della condanna ora facendo riferimento alla bancarotta fraudolenta documentale specifica (come occultamento delle scritture), ora a quella generica (come “inerzia colpevole derivante dall’omesso controllo della irregolare tenuta delle scritture”), a dispetto del fatto che l’accusa nei confronti dell’imputato concerneva la prima ipotesi. Inoltre la motivazione sarebbe lacunosa anche quanto all’addebitabilità del fatto all’imputato, mero amministratore di diritto, perché, nel reato omissivo improprio, non è sufficiente l’accertamento dell’esistenza di una posizione di controllo in capo al prevenuto per fondare un giudizio di responsabilità. Sarebbe stato necessario – prosegue il ricorso verificare, al di là della qualifica formale assunta dall’agente, se il soggetto avesse avuto la possibilità di agire che è normativamente richiesta. Le scritture contabili, se mai vi sono state, sarebbero rimaste nella disponibilità del commercialista fino a pochi mesi prima del fallimento. L’amministratore di fatto e il commercialista, visto l’approssimarsi della sentenza di fallimento, avrebbero trovato nell’imputato una testa di legno, forti del fatto che COGNOME aveva dei debiti nei confronti di COGNOME. Sarebbe stato necessario – aggiunge il ricorrente – verificare che vi fosse una connessione tra l’evento non impedito e la condotta omissiva; non è sufficiente affermare che NOME aveva preso in consegna le scritture contabili per ricavarne una sua responsabilità, perché la documentazione era stata sempre e solo nella disponibilità dell’amministratore di fatto e, comunque, nel 2011 la società era da anni inattiva. A sostegno del suo assunto, il ricorrente cita una sentenza di questa Corte in materia di responsabilità dei sindaci. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
La manifesta illogicità della motivazione sarebbe ancora più evidente nella parte in cui la Corte di merito si è occupata del coefficiente soggettivo del reato, a proposito del quale ha enunciato un – corretto – principio di diritto, cui però non si è attenuta, ricavando il dolo della fattispecie sub iudice dalla sola circostanza che il prevenuto aveva accettato di rivestire la carica di amministratore. La consegna della documentazione del 2011 sarebbe solo un tentativo dell’amministratore di fatto e del commercialista di scaricare la responsabilità sul COGNOME. Il ricorrente evidenzia, altresì, che, nella giurisprudenza di questa Corte, vi è una divaricazione esegetica tra chi ritiene che l’accettazione della carica di amministratore di diritto non implichi automaticamente la consapevolezza dei disegni nutriti dall’amministratore di
fatto e chi sostiene che l’accettazione della carica di amministratore di diritto, quale mero prestanome, comporti la consapevolezza che, dalla propria condotta omissiva, possano scaturire gli eventi tipici del reato e l’accettazione del rischio che tali eventi si verifichino, elementi che possono risultare sufficienti per l’affermazione della responsabilità penale. Prosegue il ricorrente affermando che, in tema di bancarotta fraudolenta documentale, come pure sancito dalla giurisprudenza di legittimità, è necessario chiarire la ragione e gli elementi sulla base dei quali l’imputato abbia avuto coscienza e volontà di realizzare l’oggettiva impossibilità di ricostruire il patrimonio e non, invece, di trascurare semplicemente la regolare tenuta delle scritture contabili. Per l’occultamento o la sottrazione delle scritture contabili è necessario il dolo specifico e la relativa incertezza avrebbe dovuto suggerire la derubricazione in bancarotta documentale semplice.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei termini di seguito precisati.
Allo scopo di chiarire la ratio decidendi dell’odierno annullamento è opportuna una premessa in diritto che concerne la distinzione tra le diverse ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale previste dal legislatore.
Tale distinzione è stata più volte oggetto di decisioni di questa Corte, secondo cui, in tema di bancarotta fraudolenta documentale, l’occultamento e la sottrazione delle scritture contabili, per la cui sussistenza è necessario il dolo specifico di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori, consistendo nella fisica sottrazione delle stesse alla disponibilità degli organi fallimentari, anche sotto forma della loro omessa tenuta, costituisce una fattispecie autonoma ed alternativa – in seno all’art. 216, comma primo, n. 2), legge fall. – rispetto alla fraudolenta tenuta di tali scritture che, invece, integra un’ipotesi di reato a dolo generico e presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dai predetti organi (Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, COGNOME, Rv. 279838; Sez. 5, n. 26379 del 05/03/2019, COGNOME, Rv. 276650; Sez. 5, n. 43966 del 28/06/2017, COGNOME, Rv. 271611; Sez. 5, n. 18634 del 01/02/2017, Autunno e altro, Rv. 269904). Con particolare riferimento al coefficiente soggettivo, come ricordato nella recente Sez. 5, n. 15743 del 18/01/2023, Gualandri, Rv. 284677, in motivazione «nei soli casi di sottrazione, distruzione, occultamento , è richiesto un elemento ulteriore, ossia il pregiudizio per i creditori (o l’ingiusto profitto che l’agen intende raggiungere, per sé o per terzi), che costituisce il fuoco dell’elemento
soggettivo, integrando il dolo specifico richiesto dalla norma; le condotte di bancarotta documentale fraudolenta a dolo generico, invece, sono connotate esclusivamente da una peculiare modalità della condotta che, pur non costituendo l’evento del reato, individuano l’atteggiamento soggettivo richiesto dalla norma incriminatrice».
Nel caso di specie, è chiaramente enunciato nella sentenza impugnata che, a dispetto della contestazione ampia elevata dal pubblico ministero, COGNOME è stato condannato per bancarotta fraudolenta documentale specifica, cioè per aver sottratto alla curatela le scritture contabili, scritture che è risultato provato essere state a lui consegnate dal commercialista della società, senza che l’imputato le avesse, poi, a sua volta, consegnate agli organi fallimentari.
2. Fatta questa premessa e venendo al concreto del vaglio demandato oggi al Collegio, si osserva, in primo luogo, che, quanto al versante oggettivo della condotta, la sentenza impugnata si sottrae alle censure di parte, perché queste ultime eludono il dato fondamentale sulla cui base si è ritenuta accertata la condotta, vale a dire che l’imputato aveva riconosciuto il documento che attestava la presa in carico delle scritture contabili, poi non consegnate alla curatela, una volta ricevute dalle mani del commercialista.
Il ricorso coglie nel segno, invece, quando affronta il tema del coefficiente soggettivo che, come sopra osservato, nel caso di sottrazione delle scritture contabili, va individuato nel dolo specifico di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio a creditori.
Sotto questo profilo, la presente vicenda patisce un’obiettiva difficoltà ricostruttiva, data dalla circostanza che non è stata contestata una concomitante ipotesi di bancarotta fraudolenta distrattiva, il che avrebbe agevolato il ragionamento probatorio quanto al dolo della fattispecie. Come acutamente osservato nella sentenza Gualandri a proposito dell’omessa tenuta in frode – ma con riflessioni che possono essere mutuate anche nel caso della prova del dolo di sottrazione delle scritture contabili «risulta come le situazioni maggiormente problematiche siano da individuare in quei casi in cui non si ravvisano condotte distrattive di alcun tipo. Se non risulta elevata alcuna contestazione di bancarotta fraudolenta patrimoniale, oppure sia intervenuta assoluzione per tale imputazione, va ribadita la necessità di una motivazione particolarmente rigorosa sull’elemento soggettivo dell’addebito di bancarotta fraudolenta documentale ·
Effettivamente nel caso di specie, la Corte di merito avrebbe dovuto rendere esplicite le ragioni per cui la condotta dell’imputato potesse dirsi connotata dal coefficiente soggettivo richiesto dalla legge fallimentare, piuttosto che far
coincidere la relativa prova con quella del suo ruolo di mero amministratore di fatto per compiacere quello di diritto, vagheggiando la volontà di garantire, così, a quest’ultimo «un ingiusto profitto», senza alcuna specificazione della sua natura. Così impostata, infatti, la motivazione si profila manifestamente illogica e finanche apparente dal momento che non isola specifiche ragioni, legate alla dinamica societaria, che fossero alla base della scelta di sottrarre la documentazione contabile alla curatela, ma si limita a reputare, apoditticamente, che la ragione per cui COGNOME si era prestato a figurare come amministratore di diritto per conto di COGNOME e poi ad occultare le scritture contabili fosse, appunto, quella di garantirgli un profitto ingiusto. Il Collegio non ignora che la circostanza che COGNOME avesse avvertito la necessità di far figurare un altro amministratore al posto della madre possa costituire in sé un elemento di sospetto circa l’esistenza di finalità fraudolente in capo all’effettivo organo gestorio della società fallita; e che l’accettazione del ruolo di prestanome e la mancata consegna delle scritture contabili alla curatela, ascrivibili a COGNOME, siano condotte sì ontologicamente anomale da lasciare quantomeno intuire la consapevolezza del loro autore di contribuire ad un disegno fraudolento. Tuttavia si tratta di elementi di mero sospetto, come tali non sufficienti a ritenere provato che il profitto che COGNOME intendeva assicurarsi fosse “ingiusto” oppure – come pure previsto dalla norma incriminatrice – diretto a recare pregiudizio ai creditori e che quello del COGNOME fosse un contributo consapevole della specifica finalità perseguita dall’originario coimputato.
Per queste ragioni, la sentenza impugnata va annullata, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano, che dovrà nuovamente motivare quanto al coefficiente soggettivo del reato, evitando di incorrere nuovamente nel vizio motivazionale rilevato, ma conservando pieni poteri di cognizione e senza la necessità di soffermarsi sul solo punto oggetto della pronunzia rescindente (Sez. 5, n. 33847 del 19/04/2018, COGNOME e altri, Rv. 273628; Sez. 5, n. 34016 del 22/06/2010, COGNOME, Rv. 248413).
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Milano.
Così deciso il 13/11/2023.