Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 15987 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: COGNOME
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 5 Num. 15987 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/03/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUINTA SEZIONE PENALE
Composta da
NOME COGNOME
Presidente –
Sent. n. sez. 374/2025
NOME COGNOME NOME SESSA
R.G.N. 2090/2025
– Relatore –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a NOME il 17/07/1971
avverso la sentenza del 27/05/2024 della Corte d’appello di Bari Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso, come da requisitoria in atti; udito il difensore, avv. NOME COGNOME nell’interesse di COGNOME GiovanniCOGNOME che, dopo avere illustrato i motivi di ricorso, ne ha chiesto l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 27.5.2024, la Corte di Appello di Bari, all’esito di trattazione orale, ha confermato la pronuncia emessa in primo grado nei confronti di COGNOME NOME, che l’aveva dichiarato colpevole dei reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e di bancarotta fraudolenta documentale (per omessa tenuta/sottrazione delle scritture contabili), in relazione alla società RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita in data 7.5.2013, della quale l’imputato era stato amministratore dal 17.1.2012 fino al fallimento.
Avverso la suindicata sentenza, ricorre per cassazione l’imputato, tramite il difensore di fiducia, deducendo tre motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Col primo motivo deduce l’illogicità, contraddittorietà e la carenza della motivazione in ordine alla ritenuta qualifica, da parte della Corte di appello di Bari, di amministratore di fatto dell’imputato e al mancato riconoscimento della qualifica di amministratore formale, mera testa di legno, nonché violazione di legge in riferimento agli articoli 216 e 223 legge fallimentare. La sentenza impugnata ha omesso in toto di esaminare gli elementi puntualmente indicati dall’appellante e dedotti come dimostrativi di un ruolo del tutto apparente svolto dall’imputato: in tal senso il riferimento alla irrilevanza (senza null’altro aggiungere) dell’allegazione difensiva circa altro soggetto di ‘giovane età’ che avrebbe interloquito con il teste COGNOME – che vantava un notevole credito verso la società poi fallita su suo ricorso – è in realtà emblematico della mancata valutazione e ricostruzione di quell’episodio, in realtà assai sintomatico dell’effettivo assetto gestorio della fallita nei pochi mesi in cui la carica amministrativa fu rivestita dal ricorrente. In tale senso depone peraltro anche quanto dichiarato dal curatore, che ha affermato che il COGNOME – in realtà esercente l’impresa edile ovvero attività in tutt’altro settore – non gli era sembrata una persona capace di operare commercialmente nel settore dei veicoli, del commercio di autoricambi, aprendo, pertanto, alla possibilità che lo stesso non avesse esercitato un effettivo ruolo attivo nella società, che peraltro continuava a portare il nome Campanile nella ragione sociale.
2.2. Col secondo motivo deduce l’illogicità, contraddittorietà e carenza della motivazione e l’erronea applicazione della legge penale in relazione agli articoli 223 e 216, comma 1, n. 2, legge fallimentare, e relativo vizio di motivazione quanto alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato contestato al capo B) ovvero la bancarotta fraudolenta documentale specifica. I giudici di primo grado hanno correttamente sussunto la condotta attribuita all’imputato, consistente nell’omessa consegna al curatore delle scritture contabili nonostante risultasse che egli le avesse ricevute in consegna dal commercialista, nella fattispecie della bancarotta fraudolenta documentale specifica per sottrazione. La Corte di appello di Bari invece, pur ritenendo che la condotta fosse quella di sottrazione, ha ravvisato la sussistenza della fattispecie di cui alla seconda parte dell’articolo 216, comma 1, n. 2, l.f.
Così facendo ha tuttavia bypassato la necessità di motivare sul corrispondente elemento soggettivo richiesto dalla norma incriminatrice ovvero sul dolo specifico di
recare pregiudizio ai creditori o un ingiusto profitto a sé o ad altri, che secondo la costante giurisprudenza di questa Corte di Cassazione connota la fattispecie della sottrazione delle scritture contabili ravvisata nel caso di specie. Ed invero, ammettendo che dal punto di vista oggettivo la condotta risulterebbe integrata stante la mancata consegna da parte dell’imputato delle scritture contabili, si sarebbe dovuto piuttosto motivare adeguatamente sulla sussistenza del peculiare elemento soggettivo del dolo specifico richiesto per l’ipotesi delittuosa ritenuta sussistente. Dalla errata ricostruzione della Corte di appello, che ha ritenuto la fattispecie inquadrabile, a differenza del Tribunale, nella seconda fattispecie di cui alla seconda parte dell’art. 216, comma 1, n. 2, e non nella prima parte, è derivato un errato giudizio ed una illogica motivazione circa la sussistenza dell’elemento soggettivo.
2.3. Col terzo motivo deduce l’erronea applicazione dell’art. 62-bis cod. pen. e dell’art. 219, ultimo comma, l.f., nonché vizi di motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche e di quella della speciale tenuità del danno. Quest’ultima, in tema di bancarotta fraudolenta, va valutata in relazione all’importo della distrazione e non invece all’entità del passivo fallimentare, dovendo aversi riguardo alla diminuzione patrimoniale determinata dalla condotta illecita e non a quella prodotta dal fallimento. Nel caso di specie al più sarebbe comprovata la distrazione durante l’amministrazione del Tortora della sola somma di euro 104.000 rispetto al passivo di oltre due milioni di euro. In relazione alla valutazione dell’entità del danno si deve infatti fare riferimento al danno patrimoniale cagionato dalla commissione dei fatti di bancarotta e non al danno espresso dal passivo per l’intera massa creditoria. Qualora poi concorra una pluralità di fatti di bancarotta deve tenersi conto del danno patrimoniale complessivo e non di quello arrecato da ciascuno dei singoli fatti di bancarotta. Inoltre, in tema di bancarotta documentale pur difettando un effettivo nocumento, la dannosità dei fatti di reato si misura sul pregiudizio derivante ai creditori dall’impossibilità di ricostruzione integrale dall’attivo attraverso il reperimento delle componenti diverse e l’esercizio delle azioni di recupero. Di conseguenza la circostanza attenuante del danno di speciale tenuità deve essere valutata in relazione al danno causato alla massa creditoria in seguito all’incidenza che le condotte integranti reato hanno avuto sulla possibilità di esercitare le azioni revocatorie e le altre azioni poste a tutela degli interessi creditori. La Corte di appello di Bari ha liquidato con un frettoloso ‘lascia il tempo che trova’ l’argomentazione posta alla base della richiesta di concessione delle attenuanti comprese quelle di cui all’art. 62-bis cod. pen. Richiesta che, rispetto a queste ultime, era fondata sull’enorme lasso di tempo trascorso dal tempus commissi delicti e il giorno della condanna – oltre 10 anni – e sull’ottimo comportamento susseguente ai reati tenuto dal COGNOME -comportamento susseguente che, a seguito
dell’intervento della Corte costituzionale, deve essere senz’altro preso in considerazione ai fini del riconoscimento delle attenuanti generiche.
Il ricorso, proposto successivamente al 30.6.2024, è stato trattato – ai sensi dell’art. 611 cod. proc. pen. come modificato dal d.lgs. del 10.10.2022 n. 150 e successive integrazioni – su richiesta di parte, con l’intervento delle parti che hanno rassegnato le conclusioni indicate in epigrafe
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato relativamente all’elemento soggettivo del reato di bancarotta fraudolenta documentale; è inammissibile nel resto.
1.1. Il primo motivo è del tutto generico, limitandosi a riportare solo una parte degli elementi posti a base della ricostruzione della posizione del COGNOME rispetto alla veste formale rivestita in relazione alla società ‘RAGIONE_SOCIALE, posta in discussione già con l’appello. Ed invero, la sentenza impugnata, dopo aver dato atto che l’imputato era a conoscenza dell’oggetto sociale e delle limitate disponibilità finanziarie della società, avendo già dal momento della costituzione della stessa fatto parte della compagine societaria quale socio accomandante, per poi, a far data dal 17 gennaio 2012, assumere la qualità di socio unico fino alla dichiarazione di fallimento, acquistando con rogiti notarili le quote dai due soci accomandatari, COGNOME NOME e COGNOME NOME, ha posto in evidenza una pluralità di circostanze che consentono di superare i dubbi circa il ruolo effettivamente svolto dal predetto.
La Corte di appello ha innanzitutto evidenziato: che il COGNOME, pur non avendone mai denunciato lo smarrimento, innanzi al curatore affermò di non avere la disponibilità delle scritture contabili – circostanza che impedì di effettuare una ricostruzione del movimento di affari della società – e che la cessazione dell’attività, sempre secondo quanto riferito al curatore dal prevenuto, fu cagionata dall’impossibilità di onorare una consistente fornitura di merce mai effettivamente pagata dalla società; che, come riscontrato dal consulente tecnico sulla scorta dell’estratto conto bancario intestato alla società, negli ultimi mesi immediatamente precedenti alla dichiarazione di fallimento si erano registrati continui prelievi per importi variabili tra i 400 e i 2.400 € rimasti privi di giustificazione, circostanza che determinò l’assoluto depauperamento di ogni risorsa, tanto che lo stesso COGNOME ebbe a dichiarare di non disporre nemmeno del denaro necessario per la procedura di cancellazione della società; che, a fronte di uno stato passivo complessivo di poco inferiore ai due milioni di euro, detti prelievi, eseguiti dal COGNOME nella qualità
rivestita, oltre a conseguire immediatamente a qualsiasi arrivo di danaro sul conto corrente, furono sempre in contanti, sistematici e senza indicazione di causale; che in funzione della natura giuridica della società RAGIONE_SOCIALE – non esistevano bilanci consolidati depositati e l’ultima dichiarazione dei redditi presentata risaliva al 2010, mentre nulla era stato prodotto per gli anni 2011 e 2012 e, per quanto dichiarato dallo stesso COGNOME al curatore, la società rimase inattiva negli ultimi 7, 8 mesi prima della dichiarazione di fallimento; che non sono state rilevate merci in giacenza a fronte della richiesta della società RAGIONE_SOCIALE del pagamento di euro 254.848 per forniture non evase; che la sede della società al momento del mutamento della ragione sociale – che aveva incorporato il nome ed il cognome dell’imputato quale socio accomandatario – coincise di fatto con l’abitazione privata del Tortora; che, secondo quanto riferito dal prevenuto, tutta la documentazione contabile, fiscale ed amministrativa – certamente consegnata al Tortora come riferito al curatore dal consulente depositario delle scritture contabili – sarebbe andata perduta durante il trasloco dalla originaria sede societaria all’abitazione in uso allo stesso.
La sentenza impugnata rileva che, a fronte di tale quadro probatorio, le deduzioni difensive – sostanzialmente reiterate nella presente sede – si risolvono in vuoti ed inconferenti richiami a decisioni relative alla distinzione tra la figura dell’amministratore meramente formale/testa di legno e quella dell’amministratore di fatto, laddove nel caso di specie il fallimento della s.RAGIONE_SOCIALE di Tortora Giovanni – come da denominazione assunta il 28.7.2011 – fu dichiarato il 9.5.2013, a distanza di due anni dalla trasformazione del regime giuridico societario, e in un contesto in cui il Tortora non soltanto ha confermato l’operatività della società almeno fino al maggio del 2012, ma non ha negato né l’effettuazione dell’acquisto di merci presso la RAGIONE_SOCIALE né i continui prelievi per un ammontare complessivo superiore a 104 mila euro, dal conto societario.
Con la ricostruzione svolta la Corte di appello ha in buona sostanza messo in rilievo aspetti che depongono – di là delle eventuali (co)interessenze di fatto di altri soggetti, che non escludono il coinvolgimento dell’imputato – per la piena conoscenza da parte del Tortora delle vicende societarie e per il suo coinvolgimento in esse, oltre che per la riferibilità a lui delle condotte contestate – di distrazione e di sottrazione delle scritture contabili.
E, quanto alla circostanza di fatto, reiterata in ricorso, dell’avvenuta interlocuzione tra il creditore RAGIONE_SOCIALE e il soggetto terzo di ‘giovane età’, non identificabile quindi nel Tortora, che avrebbe agito in rappresentanza della società, la Corte di merito ha giustamente posto in evidenza come l’incontro fosse avvenuto dopo che il negozio era stato concluso, senza che il venditore avesse ricevuto la contropartita in denaro, e che, quindi, essa si fosse risolta in una allegazione del
tutto irrilevante rispetto al nucleo della questione consistente nel fatto incontroverso che i beni acquistati erano comunque entrati nella disponibilità della società e altrettanto certamente non entrarono giammai a far parte della massa attiva del fallimento.
D’altra parte, lo stesso COGNOME aveva giustificato l’assenza di tali beni adducendo la loro vendita, senza tuttavia mai allegare documentazione a sostegno né indicare i clienti a cui la merce sarebbe stata venduta, palesando in tal modo di non essere stato all’oscuro quanto meno dell’acquisto dei beni e della loro indisponibilità.
Alla stregua delle emergenze processuali acquisite, i giudici di merito hanno in buona sostanza inteso evidenziare come il Tortora non potesse esser qualificato una mera testa di legno, ossia un soggetto rimasto del tutto estraneo alle vicende societarie, e ciò è quanto maggiormente rileva ai fini della ricostruzione della fattispecie criminose di bancarotta fraudolenta documentale – l’unica oggetto di contestazione col ricorso in scrutinio.
A fronte di tutto ciò non potrebbero quindi assumere rilievo decisivo neppure le sensazioni del curatore quanto alla mancanza di competenza del Tortora in materia di ricambi di autoveicoli – oggetto sociale della fallita.
1.2. Il secondo motivo è fondato.
La Corte territoriale, pur avendo ribadito le ragioni poste dal Tribunale a sostegno della sussistenza dell’elemento oggettivo del reato di bancarotta fraudolenta documentale cd. specifica, identificato nella sottrazione delle scritture contabili, asseritamente andate disperse secondo quanto riferito dal COGNOME al curatore, ha poi erroneamente fatto riferimento al ‘dolo generico’ in risposta al motivo di appello, che aveva puntualmente contestato la prova dell’elemento soggettivo del dolo specifico, che, secondo la pacifica giurisprudenza di questa Corte, è necessario ai fini dell’integrazione della bancarotta documentale fraudolenta cd. specifica.
In tema di bancarotta fraudolenta documentale, l’occultamento delle scritture contabili, per la cui sussistenza è necessario il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori, consistendo nella fisica sottrazione delle stesse alla disponibilità degli organi fallimentari, anche sotto forma della loro omessa tenuta, costituisce una fattispecie autonoma ed alternativa – in seno all’art. 216, comma primo, lett. b), legge fall. – rispetto alla fraudolenta tenuta di tali scritture, in quanto quest’ultima integra un’ipotesi di reato a dolo generico, che presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dai predetti organi (cfr., tra tante, Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, Rv. 279838 – 01). E, quanto alla prova del dolo specifico, si rammenta che, come ha già avuto modo di osservare questa Corte in Sez. 5, n. 10968 del 31/01/2023, Rv. 284304 – 01, in tema di
bancarotta fraudolenta documentale per omessa tenuta della contabilità interna, lo scopo di recare danno ai creditori, impedendo la ricostruzione dei fatti gestionali, può essere desunto dalla complessiva ricostruzione della vicenda e dalle circostanze del fatto che ne caratterizzano la valenza fraudolenta colorando di specificità l’elemento soggettivo, che, pertanto, può essere ricostruito sull’attitudine del dato a evidenziare la finalizzazione del comportamento omissivo all’occultamento delle vicende gestionali. E, a tal fine, ben può assumere rilievo anche il correlato dato della distrazione di beni della società, che la sottrazione delle scritture contabili potrebbe tendere ad occultare.
Il giudice del rinvio, nell’attenersi a tali principi, dovrà quindi procedere a nuova valutazione in punto di sussistenza del dolo specifico, avendo riguardo alle censure originariamente mosse con l’atto di appello.
1.3. Inammissibile è, invece, il terzo motivo sull’attenuante del danno di particolare tenuità di cui all’art. 219, comma 3, l.f., avendo la Corte di merito argomentato adeguatamente, con precisi riferimenti al fatto e in diritto, in ordine alla impossibilità di riconoscere la invocata attenuante nel caso di specie. Anzi, nella sentenza impugnata si era giunti alla conclusione qui avversata, facendo – già corretta applicazione proprio di quei principi affermati da questa Corte in materia, richiamati in ricorso a sostegno delle deduzioni svolte.
Ha, in particolare, osservato la Corte di appello che, a fronte dell’ammontare complessivo del valore dei beni sottratti, pari ad oltre 350.000 euro, e di un passivo di poco inferiore a due milioni di euro, quasi nulla – se non poche centinaia di euro è stato acquisito all’attivo fallimentare, con la conseguenza che quanto sottratto ha inciso in maniera certamente consistente sulla massa attiva e quindi sulle ragioni creditorie, il cui soddisfacimento costituisce lo scopo primario della procedura fallimentare.
Indi ha concluso per il rigetto della richiesta difensiva, indicando i granitici principi affermati da questa Corte in tema della circostanza attenuante in argomento, secondo cui la valutazione del danno va effettuata con riferimento non all’entità del passivo o alla differenza tra attivo e passivo, bensì alla diminuzione patrimoniale cagionata direttamente ai creditori dal fatto di bancarotta, dovendo aversi riguardo alla diminuzione patrimoniale determinata dalla condotta illecita e non a quella prodotta dal fallimento (cfr., tra tante, Sez. 5, n. 52057 del 26/11/2019, Rv. 277658).
Ne consegue che il giudizio relativo alla particolare tenuità – o gravità – del fatto non va riferito al singolo rapporto che passa tra fallito e creditore ammesso al concorso, ne’ a singole operazioni commerciali o speculative dell’imprenditore decotto, ma va posto in relazione alla diminuzione (non percentuale, ma globale) che
il comportamento del fallito ha provocato nella massa attiva, che sarebbe stata disponibile per il riparto, ove non si fossero verificati gli illeciti (Sez. 5, n. 12330 del 02/11/2017, dep. 16/03/2018, Rv. 272663 – 01; Sez. 1, n. 12087 del 10/10/2000, Rv. 217403).
E, quanto al danno di particolare tenuità relativo alla bancarotta fraudolenta documentale, è solo il caso di ulteriormente precisare che, come ha già avuto modo di osservare questa Corte, in tema di bancarotta fraudolenta documentale, la circostanza attenuante del danno di speciale tenuità, prevista dall’art. 219, comma terzo, legge fall., deve essere valutata in relazione al danno causato alla massa creditoria in seguito all’incidenza che le condotte integranti il reato hanno avuto sulla possibilità di esercitare le azioni revocatorie e le altre azioni poste a tutela degli interessi creditori (cfr. Sez. 5, n. 7888 del 03/12/2018, dep. 21/02/2019, Rv. 275345, che, in motivazione, ha altresì osservato che l’occultamento delle scritture contabili, rendendo impossibile la ricostruzione dei fatti di gestione dell’impresa fallita, impedisce la stessa dimostrazione del danno, onde la mancanza delle scritture non può essere utilizzata per presumere circostanze favorevoli all’imputato, salvo che le contenute dimensioni dell’impresa non rendano plausibile la determinazione di un danno particolarmente ridotto). Evenienza quest’ultima non prospettata, nel caso di specie, neppure dal ricorrente che si limita al richiamo, in astratto, dei principi affermati da questa Corte.
1.4. Aspecifico infine è il motivo sul diniego delle attenuanti generiche. L’espressione ‘lascia il tempo che trova’ è stata adoperata dalla Corte di appello in riferimento al lasso di tempo trascorso dalla commissione delle condotte (fatte peraltro retroagire al massimo al 2012 laddove la dichiarazione di fallimento – che costituisce il momento rilevante ai fini dell’integrazione dei reati di bancarotta in argomento – risale al 7.5.2013); lasso di tempo che, secondo la prospettazione difensiva, sarebbe contraddistinto dalla mancata commissione di condotte illecite, aspetto di per sé sufficiente a giustificare il riconoscimento delle attenuanti generiche.
La Corte di merito ha, invero, concluso per la non meritevolezza delle attenuanti generiche in considerazione della mancanza di elementi positivi di valutazione, evidentemente non ravvisabili nell’addotta, generica, mancata commissione di ‘fatti illeciti’ dopo quelli relativi alla vicenda in esame, evidenziando come, da un lato, la mera incensuratezza non costituisce, per espressa previsione di legge, un argomento di per sé utile ai fini del riconoscimento delle attenuanti generiche e, dall’altro, il comportamento susseguente al reato, rispetto al caso di specie, non si sia risolto in un atteggiamento effettivamente positivo valutabile ai fini che occupano.
D’altronde, è vero che la Corte Costituzionale nella pronuncia citata in ricorso, n. 183/2011, ha affermato che ‘la decisione può intervenire anche a distanza di anni dalla commissione del fatto per cui si procede e che successivamente l’imputato potrebbe aver tenuto comportamenti sicuramente indicativi di una risocializzazione in corso, o interamente realizzata, e potrebbe anche essere divenuto una persona completamente diversa da quella che a suo tempo aveva commesso il reato’, ma è altrettanto vero che a tal fine è necessario – come sottolinea la stessa pronuncia della Corte Costituzionale – che emergano elementi concreti indicativi, quanto meno, di una positiva evoluzione in atto della personalità del condannato. Infatti, l’obiettivo della rieducazione del condannato, posto dall’art. 27, terzo comma, Cost. – prosegue la sentenza del Giudice delle leggi – non può essere efficacemente perseguito negando valore a quei comportamenti che manifestano una riconsiderazione critica del proprio operato e l’accettazione di quei valori di ordinata e pacifica convivenza, nella quale si esprime l’oggetto della rieducazione. Tuttavia, affinché ciò accada occorrono riferimenti specifici alla situazione successiva in cui versa l’imputato/condannato, laddove nel caso di specie vi è unicamente l’accenno alla mancata commissione di ulteriori fatti illeciti (così nell’atto di appello) ovvero all’ottimo comportamento susseguente tenuto dal ricorrente (così in ricorso).
Dalle ragioni sin qui esposte deriva che la sentenza impugnata dev’essere annullata limitatamente all’elemento soggettivo del dolo specifico relativo al reato di bancarotta fraudolenta documentale, con rinvio per nuovo esame sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Bari; consegue altresì che nel resto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di bancarotta fraudolenta documentale, con rinvio per nuovo esame sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Bari. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Così deciso il 20/3/2025.
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME