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Bancarotta fraudolenta documentale: Dolo specifico

La Corte di Cassazione ha annullato una condanna per bancarotta fraudolenta documentale, stabilendo che la semplice mancanza delle scritture contabili e l’irreperibilità dell’imprenditore non sono sufficienti a dimostrare il dolo specifico, ossia l’intenzione di recare pregiudizio ai creditori. È necessaria la prova di ulteriori indici di fraudolenza.

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Pubblicato il 27 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Bancarotta fraudolenta documentale: la Cassazione ribadisce i limiti alla prova del dolo

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 23288 del 2024, offre un importante chiarimento sui requisiti necessari per una condanna per bancarotta fraudolenta documentale. Questo pronunciamento sottolinea un principio fondamentale: la sola assenza delle scritture contabili non è sufficiente a dimostrare l’intento fraudolento dell’imprenditore. Per affermare la sussistenza del dolo specifico, elemento essenziale del reato, l’accusa deve fornire prove ulteriori.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un imprenditore, amministratore unico di una S.r.l. dichiarata fallita nel 2013, condannato in primo e in secondo grado per bancarotta fraudolenta documentale. La colpa ascrittagli era quella di non aver tenuto o comunque di non aver consegnato al curatore fallimentare le scritture contabili, rendendo così impossibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari della società. La Corte d’Appello aveva confermato la condanna basandosi principalmente su due elementi: il mancato rinvenimento della documentazione contabile e la successiva irreperibilità dell’amministratore. L’imputato ha proposto ricorso in Cassazione, contestando proprio la sussistenza dell’elemento psicologico del reato, cioè il dolo specifico.

La Prova del dolo nella bancarotta fraudolenta documentale

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, annullando la sentenza e rinviando il caso a un nuovo giudizio. Il cuore della decisione risiede nella distinzione tra l’elemento oggettivo e quello soggettivo del reato. L’elemento oggettivo è la condotta materiale: la sottrazione, distruzione o l’omessa tenuta dei libri contabili. Questo dato, nel caso di specie, era incontestato. Tuttavia, per integrare il reato di bancarotta fraudolenta documentale non basta la condotta materiale, ma è necessario provare anche l’elemento soggettivo, ovvero il dolo specifico. Quest’ultimo consiste nella coscienza e volontà di agire con il fine preciso di recare pregiudizio ai creditori o di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto.

Le motivazioni

La Suprema Corte ha chiarito che la Corte territoriale ha errato nel desumere il dolo specifico automaticamente dalla sola mancanza dei documenti. Questo dato, di per sé, può dipendere da varie ragioni, inclusa una semplice negligenza o trascuratezza, che configurerebbero al più una bancarotta semplice, e non fraudolenta. Allo stesso modo, l’irreperibilità dell’imprenditore dopo la dichiarazione di fallimento è considerata un “posterius”, un comportamento successivo al fatto-reato che non può, da solo, dimostrare l’intento originario.

Secondo gli Ermellini, per provare il dolo specifico è necessario un’indagine più approfondita che porti alla luce “circostanze di fatto ulteriori”. Queste possono includere, ad esempio, la distrazione di beni aziendali, l’esistenza di un passivo ingente e ingiustificato, o altre condotte che, unite all’omissione documentale, rivelino in modo inequivocabile un piano fraudolento. La corte d’appello, invece, si era fermata a un dato oggettivo senza svolgere quell’ulteriore indagine necessaria a ricondurre, oltre ogni ragionevole dubbio, la mancanza dei libri contabili a una specifica scelta dolosa dell’amministratore.

Le conclusioni

La sentenza in esame rafforza un principio di garanzia fondamentale nel diritto penale fallimentare. Una condanna per un reato grave come la bancarotta fraudolenta non può basarsi su presunzioni o automatismi. È onere dell’accusa provare, attraverso elementi concreti e specifici, che l’imprenditore ha agito con il preciso scopo di ingannare i creditori. La decisione impone ai giudici di merito un’analisi più rigorosa e dettagliata della condotta dell’imputato nel suo complesso, valutando l’intero contesto economico e gestionale dell’impresa prima di poter affermare l’esistenza di un intento fraudolento. In assenza di tali prove, la condotta omissiva, pur sanzionabile, non può essere qualificata come fraudolenta.

La sola mancanza delle scritture contabili è sufficiente per una condanna per bancarotta fraudolenta documentale?
No. Secondo la sentenza, la scomparsa dei libri contabili rappresenta l’elemento oggettivo del reato, ma da sola è insufficiente a dimostrare l’elemento soggettivo, ossia il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori.

L’irreperibilità dell’imprenditore dopo il fallimento dimostra automaticamente la sua colpevolezza?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che l’irreperibilità dell’imprenditore è una condotta successiva al fatto-reato (un “posterius”) e non può, da sola, essere considerata una prova decisiva dell’intento fraudolento iniziale.

Cosa deve dimostrare l’accusa per provare il dolo specifico nella bancarotta fraudolenta documentale?
L’accusa deve provare l’esistenza di circostanze di fatto ulteriori che, unite alla mancanza dei documenti, illuminino l’intento fraudolento dell’imprenditore. Questi indici possono includere la distrazione di beni aziendali, un passivo significativo o altre manovre volte a danneggiare i creditori.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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