Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 1796 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 1796 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 06/10/2022 della CORTE APPELLO di FIRENZE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette la requisitoria e le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Firenze, con la sentenza emessa in data 6 ottobre 2023 riformava parzialmente, disapplicando la recidiva e riconoscendo il vincolo della continuazione esterna, la sentenza del Tribunale di Firenze, che aveva accertato la responsabilità penale di NOME, in relazione al delitto di bancarotta fraudolenta documentale societaria di tipo specifico, commesso nella qualità di amministratore della RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita con sentenza del 9 luglio 2013, a mezzo della distruzione o sottrazione dei libri e delle scritture contabili.
Il ricorso per cassazione proposto nell’interesse di NOME consta di due motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Il primo motivo deduce vizio di motivazione, anche per travisamento, in ordine al dolo specifico ritenuto.
In particolare la Corte di appello avrebbe reso una motivazione manifestamente illogica traendo la prova del dolo specifico dal mancato rinvenimento della documentazione contabile per esclusione, cioè non essendo comprovata da parte dell’imputato la mera negligenza o accidentalità della dispersione della scritture, come anche valorizzando le sentenze di condanna allegate al ricorso, per reati tributari ritenuti in continuazione con quello in esame – che riguardano però società altre rispetto alla fallita e che, dunque, non potevano sostenere logicamente la prova del dolo, non essendo RAGIONE_SOCIALE e l’imputato, nella qualità di amministratore unico della stessa società, mai stati raggiunti da contestazioni di reati tributari.
Inoltre, l’argomentazione in ordine al dolo specifico risulterebbe conseguente al travisamento nella valutazione di un documento del commercialista COGNOME che, al fine di comprovare di avere consegnato tutte le scritture contabili all’imputato nel 2007, esibiva un verbale di consegna che però, erroneamente, veniva dai Collegi di merito attribuito alle scritture della fallita, riguardand un’altra società.
Da ciò deriverebbe la manifesta illogicità dell’attribuzione di maggiore credibilità al COGNOME piuttosto che all’imputato.
Il secondo motivo deduce vizio di motivazione e motivazione apparente in ordine alla determinazione della pena e alla riduzione per le circostanze attenuanti generiche.
Quanto alla dosimetria della pena in misura superiore al minimo edittale, e alla riduzione della pena per le attenuanti generiche in misura minore di quanto possibile, la motivazione risulterebbe apparente e illogica in quanto fondata per un verso sul «passivo ingente» che non può integrare il danno, oltre che sulla valutazione delle precedenti condanne che risultavano riguardare reati uniti dal vincolo della continuazione a quello di bancarotta documentale.
Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale, ha depositato requisitoria e conclusioni scritte – ai sensi dell’art. 23 comma 8, d.l. 127 del 2020 – con le quali ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
Il ricorso è stato trattato senza intervento delle parti, ai sensi dell’art. 2 comma 8, d.l. n. 137 del 2020, disciplina prorogata sino al 31 dicembre 2022 per effetto dell’art. 7, comma 1, d.l. n. 105 del 2021, la cui vigenza è stata poi estesa in relazione alla trattazione dei ricorsi proposti entro il 30 giugnd 2023 dall’articolo 94 del decreto legislativo 10 ottobre 2022 n. 150, come modificato dall’art. 5duodecíes d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito con modificazioni dalla I. 30 dicembre 2022, n. 199.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e va rigettato.
Va premesso che non essendo contestato il profilo oggettivo della condotta, in ordine alla distruzione o sottrazione delle scritture contabili, che non furono consegnate per la maggior parte alla curatela, occorre valutare le censure alla motivazione della Corte di appello in ordine al solo dolo specifico richiesto dalla norma incriminatrice.
E’ noto, infatti, quanto al coefficiente soggettivo richiesto, che la bancarotta fraudolenta documentale di tipo specifico, consistente nella condotta di sottrazione, occultamento e falsificazione delle scritture contabili, nonchè di omessa tenuta delle stesse (condotta assimilata dalla giurisprudenza consolidata alle ipotesi previste dalla norma incriminatrice) devono essere ‘sostenute’, secondo la lettera della prima parte dell’art. 216, comma 2, n. 1, legge fall., dal dolo specifico consistente nello scopo di recare pregiudizio ai creditori o di procurare a sé o a altri un ingiusto profitto: infatti proprio la natura specifica de dolo, è stato osservato, in ordine alla condotta di omessa tenuta, consente di distinguere fra la bancarotta fraudolenta documentale e quella analoga sotto il profilo materiale, prevista dall’art. 217 legge fall. e punita sotto il titolo bancarotta semplice documentale (Sez. 5, n. 25432 del 11 aprile 2012, COGNOME Mitri e altri, Rv. 252992). Diversamente, nell’ipotesi prevista dalla seconda parte della medesima disposizione incriminatrice dell’art. 216, comma 1, n. 2, per le condotte di infedele tenuta delle scritture contabili, caso nel quale le scritture esistono e sono rinvenute, ma sono state tenute in guisa da rendere impossibile la ricostruzione degli affari e del patrimonio sociale, è sufficiente il dolo generico (tra le altre: Sez. 5, n. 18634 del 1/2/2017, Autunno, Rv. 269904; Sez. 5, n. 26379 del 5/3/2019, COGNOME, Rv. 276650; Sez. 5, n. 33114 del 8/10/2020, COGNOME, Rv. 279838).
In ordine al primo motivo di ricorso, si formulano sostanzialmente due censure alla motivazione, che seguono i due argomenti posti dalla Corte territoriale a fondamento della prova del dolo specifico.
3.1 La prova del dolo specifico – di procurarsi un ingiusto profitto e di recare pregiudizio ai creditori – veniva tratta dalla Corte di appello dalla condotta materiale in sé, sottrattiva di documentazione ‘selezionata’, poiché era intervenuta la sola consegna da parte di NOME COGNOME dei riepiloghi di cassa giornalieri relativi alla attività al dettaglio e di altri documenti di scarso rilievo (estratti conto, boll altro) per gli anni 2007-2009, mancando invece il libro giornale, le schede di mastro, i registri Iva, e altri libri e scritture, cosicché risultò impedita la pi ricostruzione deì movimenti e della situazione patrimoniale della società.
Inoltre, sempre nell’ambito della valutazione della condotta materiale complessiva, la Corte di appello valorizzava, nella prospettiva del dolo specifico anche l’omesso deposito delle scritture prima del 2007 e dopo il 2009, cioè nella fase antecedente e successiva il periodo in cui il commercialista COGNOME dichiarava di non avere tenuto le scritture contabili, attribuendo affidabilità e maggiore credibilità a COGNOME rispetto a COGNOME, che dunque avrebbe comunque sottratto o non istituito la documentazione nei periodi in cui non era affidato l’incarico professionale al menzionato professionista.
Il ‘secondo ramo’ motivazionale comprovante il dolo specifico è tratto dalla Corte di appello non solo dal richiamo delle sentenze di applicazione di pena concordata che riguardano i reati tributari commessi in relazione alle altre società facenti capo all’imputato, ma anche da una approfondita analisi del contenuto del processo verbale di constatazione e dell’avviso di accertamento dell’amministrazione finanziaria, dai quali emerge tutt’altro che l’estraneità della fallita alla dinamica fraudolenta posta in essere in sede tributaria.
In sostanza, annota la Corte in modo puntuale e diffuso, le società delle quali NOME era amministratore di fatto erano delle ‘cartiere’ e la RAGIONE_SOCIALE beneficiava sistematicamente di fatturazioni simulate, così potendo detrarre costi inesistenti, rilevando per altro come il capo 13) della sentenza del G.u.p. del Tribunale di Trieste del 18 dicembre 2009 riguardasse il delitto di contrabbando doganale per importazioni di merci contestato al NOME anche quale amministratore della RAGIONE_SOCIALE e, quindi, non solo come amministratore di fatto delle società cartiere, come invece sostiene il ricorrente.
Ciò – argomenta la Corte territoriale – rende conto della finalità fraudolenta della bancarotta documentale, in quanto «l’imputato aveva un chiaro interesse a impedire la ricostruzione del movimento degli affari della società; la mancata consegna delle scritture contabili … costituisce una condoti:a perfettamente comprensibile se si tiene conto che, … anche per tutte le società che operavano
come cartiere l’imputato ha fatto in modo che le scritture non fossero rinvenute ..».
E bene, quanto alla prima argomentazione fondata sulla condotta sottrattiva attribuita a NOME, le censure difensive tendono a dimostrare che non l’imputato bensì il commercialista abbia omesso la consegna per consentire il deposito, con esclusione del dolo specifico per l’imputato.
Il dedotto travisamento avrebbe viziato entrambe le decisioni di merito per aver dato credito a un verbale di consegna di scritture contabili all’imputato, esibito da COGNOME, ma invece relativo a società diversa da quella fallita, dal che dovrebbe derivare un vizio di motivazione complessivo.
E però, la motivazione impugnata ha ritenuto non credibile la versione dell’imputato, tesa a dimostrare che le scritture contabili fossero nella disponibilità del commercialista COGNOME.
Sul punto, deve evidenziarsi come la censura sia generica, in quanto non si confronta con la circostanza che la Corte di appello non fonda la maggiore attendibilità di COGNOME sulla nota di consegna (travisata), o comunque non solo su quella, rilevando invece la Corte con argomento non manifestamente illogico che «non si comprende perché un commercialista avrebbe dovuto trattenere presso il suo studio, di fatto nascondendola, la documentazione contabile richiesta dalla curatela fallimentare, addirittura dopo che il procedimento penale aveva avuto inizio, rendendo anche false dichiarazioni sul punto».
Si tratta di una attribuzione di maggiore attendibilità logica, in sé autosufficiente, non incisa dalla virtuale sottrazione probatoria del documento oggetto di travisamento, censura pertanto non avente forza disarticolante, cosicché, il motivo risulta aspecifico in quanto in relazione alla prospettazione di vizi di motivazione e di travisamento dei fatti è necessario che esso contenga la compiuta rappresentazione e dimostrazione di un’evidenza – pretermessa o infedelmente rappresentata dal giudicante – di per sé dotata di univoca, oggettiva ed immediata valenza esplicativa, in quanto in grado di disarticolare il costrutto argomentativo del provvedimento impugnato per l’intrinseca incompatibilità degli enunciati (Sez.1, n. 54281 del 05/07/2017, COGNOME, Rv. 272492 – 01).
D’altro canto, è insindacabile nel giudizio di legittimità, salva l’ipotesi in cu essa risulti manifestamente illogica – il che non è nel caso in esame – la motivazione attaccata da doglianze sulla persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come da quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, del spessore della valenza probatoria del singolo elemento (cfr. Sez. 2, n. 9106 del
12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747 – 01; Sez. 6, n. 13809 del 17 marzo 2015, O., Rv. 262965).
Altrettanto aspecifico è il motivo nella parte in cui censura il secondo argomento della Corte di appello a sostegno del dolo specifico, riportato alla fine del paragrafo che precede. Tale argomentazione della Corte territoriale è ben più ampia e complessa di quella riportata in ricorso, non limitandosi ad un formale richiamo al contenuto delle due sentenze relative alle violazioni tributarie, ma richiamando con le stesse anche il processo verbale di constatazione e l’avviso di accertamento dell’amministrazione finanziaria.
E bene, con tale ben più complessa motivazione la Corte territoriale evidenzia l’intraneità non solo dell’imputato, ma anche della società fallita, alle operazioni fraudolente, non solo di contrabbando ma anche quale beneficiaria della frode al fisco operata attraverso le fatture per operazioni inesistenti: il ricorso non si confronta con tale argomentazione, continuando a sostenere l’estraneità della RAGIONE_SOCIALE al descritto e complesso sistema fraudolento.
Pertanto, non è censura consentita quella sul punto ora richiamato, perché carente della necessaria correlazione con le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 – dep. 16/05/2012, COGNOME, Rv. 253849), in difetto di una critica puntuale al provvedimento che non viene effettivamente preso in considerazione, per confutarlo in fatto e/o in diritto, quanto alle ragioni per le quali i motivi di appello non sono stati accolti (Sez. 6 n. 23014 del 29/04/2021, COGNOME, Rv. 281521).
Il ricorrente, poi, rileva comunque l’inadeguatezza della motivazione in ordine al dolo specifico, citando in nota Sez. 5, n. 18146 del 09/02/2015, COGNOME, che evidenziava come i « comportamenti attivi di manipolazione contabile di dati relativi all’attività dell’impresa risultano univocamente significativi quali diretti cagionare l’irricostruibilità della gestione, tanto non può dirsi per la condotta esclusivamente omissiva rispetto agli obblighi di tenuta delle scritture contabili; la quale è parimenti riferibile alle prospettive di negligenza o trascuratezza che caratterizzano l’ipotesi della bancarotta semplice (Sez. 5, n. 172 del 07/06/2006, dep. 2007, COGNOME, Rv. 236032; Sez. 5, n. 6769 del 18/10/2005, dep. 2006, COGNOME, Rv. 233997).
Tale impostazione è condivisa da questa Corte, in quanto consolidato è l’orientamento che richiede perché sia integrato il reato di bancarotta documentale fraudolenta, e non quello di bancarotta semplice, che l’omessa tenuta della contabilità interna sia sostenuta dal dolo specifico per cui scopo dell’omissione è quello di recare pregiudizio ai creditori, impedendo la ricostruzione dei fatti gestionali (Sez. 5, n. 18320 del 07/11/2019, dep. 2020, Morace, Rv. 279179 –
01; mass. conf. N. 32173 del 2009 Rv. 244494 01, N. 25432 del 2012 Rv. 252992 – 01, N. 11115 del 2015 Rv. 262915 – 01).
Non di meno, però, il ricorrente trascura per un verso che nel caso in esame non si contesta e ritiene da parte della Corte territoriale l’omessa tenuta delle scritture, al quale si riferisce il principio di diritto invocato dalla difesa, bens sottrazione o distruzione delle stesse; per altro verso il rigoroso accertamento del dolo specifico, richiesto dal citato principio di diritto, è comunqué rispettato dalla Corte territoriale anche in ordine al caso concreto di sottrazione delle scritture e dei libri contabili.
Come anticipato, la Corte di appello, facendo propria anche la sentenza di primo grado, evidenzia come la prova del dolo debba trarsi anche dalla ‘selezione’ accurata operata dall’imputato delle scritture e dei libri depositati alla curatela, limitato alle scritture che non avrebbero consentito alla curatrice la ricostruzione dei movimenti e del patrimonio.
Con tale argomentazione, a ben vedere, non si confronta il motivo di ricorso, né con quello della irragionevolezza che il commercialista abbia tenuto per sé le scritture contabili e i libri, impedendo all’imputato di depositarli, come sostanzialmente afferma il ricorrente.
Per altro la Corte di appello ritiene, con motivazione del tutto adeguata, comprovato il dolo specifico con il richiamato terzo argomento relativo al coinvolgimento di RAGIONE_SOCIALE e del suo amministratore nella gestione fraudolenta, emersa dal processo verbale di constatazione richiamato al fol.4 della sentenza impugnata, in quanto la società era beneficiaria delle fatture per operazioni inesistenti emesse da parte di altre società ‘cartiere’ facenti capo all’attuale imputato, oltre a essere coinvolta esplicitamente nel delitto di contrabbando doganale contestato in uno dei procedimenti conclusi con le sentenze allegate.
A fronte di tale quadro non è manifestamente illogica la valutazione di rilevanza di tali elementi sintomatici di fraudolenza comprovanti il dolo specifico, ritenuti erroneamente travisati dal ricorrente, che sostengono la prova della coscienza e volontà di arrecare pregiudizio ai creditori, a cominciare da quello erariale che vantava una ammissione al fallimento per 37 milioni di euro (cfr. sentenza di primo grado, fol. 2).
Per altro, va evidenziato anche come il dolo specifico richiesto non consiste solo nella volontà di arrecare pregiudizio ai creditori impedendo la ricostruzione della movimentazione, ma anche nel procurare ingiusto profitti° a sé o a terzi, cosicché anche la condotta di celare o distruggere le prove relative alla documentazione contabile che avrebbe potuto comprovare o determinare nuove accuse per sé o per terzi integra il dolo specifico, alla luce della nozione del fine di
profitto, come declinato in relazione al delitto di furto, trasferibile anche all condotta in esame, che consiste in qualunque vantaggio anche di natura non patrimoniale perseguito dall’autore (Sez. U, n. 41570 del 25/05/2023, C., Rv. 285145 – 01).
Il motivo è pertanto infondato.
6. Quanto al secondo motivo in ordine alla pena deve osservarsi come si tratta di pena prossima al minimo e comunque inferiore alla media edittale: a tal proposito non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione del giudice nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, COGNOME Papa, Rv. 276288 – 01). Infatti, quanto più il giudice intenda discostarsi dal minimo edittale, tanto più ha il dovere di dare ragione del corretto esercizio del proprio potere discrezionale, indicando specificamente, fra i criteri oggettivi e soggettivi enunciati dall’art. 133 cod. pen., quelli ritenuti rileva ai fini di tale giudizio (Sez. 6, n. 35346 del 12/06/2008, COGNOME, Rv. 241189); tuttavia, nel caso in cui venga irrogata, come nel caso in esame, una pena al di sotto della media edittale, non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, COGNOME, Rv. 265283), ovvero se il parametro valutativo è desumibile dal testo della sentenza nel suo complesso argomentativo e non necessariamente solo dalla parte destinata alla quantificazione della pena (Sez. 3, n. 38251 del 15/06/2016, Rignanese, Rv. 267949). Requisiti motivazionali sussistenti nella sentenza impugnata, per altro essendo il riferimento ai precedenti penali, spesi dal Tribunale e criticati con l’atto di appello, superati da una valutazione di adeguatezza della pena e di riduzione in misura inferiore al massimo consentito per le circostanze attenuanti generiche, sulla base di parametri diversi, quali l’ampiezza del disegno criminoso e la propensione a delinquere dell’imputato nell’ambito dei delitti di impresa. Non decisiva risulta la doglianza relativa al marginale richiamo all’ingente passivo in quanto, anche con l’esclusione di tale parametro, la motivazione risulta congrua, adeguata e puntuale sia quanto alla pena e che in ordine alla riduzione della stessa in misura inferiore al consentito per le circostanze attenuanti generiche. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Ne consegue la genericità per un verso del motivo, per altro verso la sua manifesta infondatezza.
Ne consegue il complessivo rigetto del ricorso, con condanna alle spese processuali del ricorrente.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente AI pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, 17/10/2023
Il Consigliere estensore
Il Preside