Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 28612 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 28612 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/06/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a TORINO il 17/10/1947
NOME nato a NOVI LIGURE il 26/02/1960
avverso la sentenza del 21/10/2024 della CORTE APPELLO di TORINO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso di COGNOME, e rigettarsi il ricorso di COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Torino, in parziale riforma della decisione del Tribunale di Alessandria – che ha dichiarato NOME COGNOME quale vice presidente e componente del Consiglio direttivo dei soci della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita con sentenza del 16/09/2018, responsabile di bancarotta fraudolenta documentale (capo A), di bancarotta semplice per avere omesso di richiedere il fallimento in proprio (capo B) e di bancarotta fraudolenta distrattiva (capo C), e, quale Presidente del C.d.A. della RAGIONE_SOCIALE dichiarata fallita il 14/12/2018, di omessa presentazione al curatore fallimentare (capo D) e di ricettazione fallimentare (capo F), nonché, in concorso con NOME COGNOME, consigliere di amministrazione della RAGIONE_SOCIALE ( e con COGNOME NOME giudicata separatamente), di bancarotta documentale semplice (capo E) – ha dichiarato non doversi procedere, per intervenuta prescrizione, per il delitto di cui al capo F), e, previa esclusione della circostanza aggravante del danno di rilevante gravità, riconosciute le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla residua aggravante della pluralità dei fatti di bancarotta, ha rideterminato la pena principale e la durata delle pene accessorie fallimentari.
Ricorrono per cassazione entrambi gli imputati, per il tramite dei rispettivi difensori di fiducia, affidandosi ai motivi di seguito enunciati nei limiti richi per la motivazione ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Nell’interesse di NOME COGNOME l’avvocato NOME COGNOME svolge cinque motivi.
3.1. Con il primo, denuncia erronea applicazione della legge fallimentare e correlati vizi della motivazione con riguardo al reato sub A), dolendosi della mancata dimostrazione del dolo specifico richiesto per l’ipotesi, in specie ricorrente, di bancarotta fraudolenta documentale nella forma della omessa tenuta delle scritture contabili. Come hanno dichiarato, infatti, sia il COGNOME che precedente amministratore NOME COGNOME mere teste di legno dell’amministratore effettivo, NOME COGNOME la contabilità della fallita non era stata da loro mai tenuta, anche confidando in quanto affermato dallo stesso COGNOME, ovvero che il bilancio non fosse un adempimento di legge previsto per una onlus. La Corte di appello si sarebbe affidata, ai fini della affermazione di responsabilità, in assenza di altri indici di fraudolenza, esclusivamente a una presunzione semplice, costituita dalla finalità della omessa tenuta delle scritture di occultare o dissimulare atti depauperativi del patrimonio, laddove la condotta distrattiva ascritta al COGNOME ha riferimento all’importo minimo di euro 3.600,00 di
cui egli si sarebbe appropriato, mentre la mancanza delle scritture contabili della RAGIONE_SOCIALE è riferibile a un periodo di molto anteriore e di gran lunga più ampio dell’arco temporale (otto mesi) in cui il COGNOME ha formalmente amministrato la società.
3.2. Con il secondo motivo, relativo al fatto sub B), si denunciano vizi della motivazione con riguardo al ruolo di amministratore effettivo della società RAGIONE_SOCIALE, nella quale, invece, il COGNOME aveva rivestito un ruolo meramente formale, che lo rendeva inconsapevole della situazione di dissesto finanziario da cui è derivata la contestazione della omessa colpevole attivazione della procedura fallimentare. Si segnalano, sul punto, le contraddizioni della sentenza impugnata, che si riferisce al COGNOME quale amministratore di fatto.
3.3. Con il terzo motivo, sono denunciati erronea applicazione delle norme di legge in materia di prescrizione e correlati vizi della motivazione quanto alla bancarotta distrattiva ascritta al capo C), come commessa fino al marzo 2017. Si sostiene che il termine prescrizionale massimo di anni sette e mesi sei sarebbe decorso alla data del 17/09/2024, quindi, prima della pronuncia della sentenza impugnata.
3.4. Il quarto motivo, relativo al capo D), denuncia erronea applicazione della legge fallimentare nella parte in cui si è ritenuta la responsabilità per l mancata presentazione del ricorrente al curatore fallimentare, senza dare rilievo alla condotta collaborativa prestata telefonicamente dal COGNOME, dando chiarimenti e spiegazioni all’organo della curatela in merito alla gestione della cooperativa ‘RAGIONE_SOCIALE‘.
3.5. Il quinto motivo censura la motivazione relativa al reato di cui al capo E). La Corte di appello avrebbe completamente omesso lo scrutinio dell’elemento soggettivo del reato, traendo la responsabilità del ricorrente dalla mera carica formale, ricoperta, peraltro, per un periodo limitato di soli otto mesi.
Il ricorso nell’interesse di NOME COGNOME che risponde del solo reato di cui al capo E), per il tramite dell’avvocato NOME COGNOME consta di due motivi.
4.1. Con il primo, ci si duole del mancato riconoscimento della speciale causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen.., per cui la dife appellante aveva insistito con memoria integrativa, in ragione della esiguità del nocumento arrecato al ceto creditizio per il breve periodo in cui il ricorrente era rimasto in carica. La Corte di appello avrebbe omesso lo scrutinio del danno e si stigmatizza, inoltre, il vizio argonnentativo incentrato su una asserita continuità tra la precedente gestione della Casa di riposo, da parte di ‘RAGIONE_SOCIALE, e la ‘RAGIONE_SOCIALE, attesa la autonomia della condotta del ricorrente rispetto a quella di precedenti amministratori di società, alla quale egli è rimasto
del tutto estraneo, anche perché la nomina formale dell’COGNOME è sopravvenuta a distanza di anni dalle precedenti omissioni contabili.
4.2. Con il secondo motivo sono denunciati vizi della motivazione, anche per travisamento, quanto alla determinazione del danno cagionato dal delitto, che la Corte di appello ha ridotto ritenendo la responsabilità dell’Allegro sensibilmente inferiore a quella del Motta per il minor danno causato dal primo per il limitato periodo di durata della sua presenza nel C.d.A.. La motivazione risulta illogica e contraddittoria rispetto alle valutazioni operate, invece, con riguardo al diniego della particolare tenuità del fatto, giudizio nel quale il dato del danno – come detto esiguo – era stato, invece, ritenuto irrilevante.
Ha depositato memorie di replica alle conclusioni del P.g. il difensore di COGNOME che insiste per la estraneità del ricorrente ai fatti ascritti a terzi, e per tenuità della condotta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
E’ fondato il ricorso di COGNOME relativamente alla bancarotta documentale di cui al capo A), per cui si impone l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio sul punto; nel resto, il ricorso propone motivi infondati, e deve, pertanto essere rigettato. Il ricorso di NOME COGNOME non è fondato.
2. Ricorso di NOME COGNOME.
2.1. Il primo motivo è fondato.
2.1.1. Come correttamente evidenziato dalla Corte di appello, la tenuta delle scritture contabili costituisce un preciso obbligo imposto dalla legge, segnatamente dagli artt. 2214, 2315, 2421 e 2490 cod.civ., a carico dell’amministratore della società, persistente anche in caso di cessazione dell’attività sociale e fino alla cancellazione dal registro delle imprese.
Principio con il quale risulta coerente la considerazione che non possa assumere rilievo il fatto che l’adempimento riguardante la corretta tenuta delle scritture contabili non sia mai stato curato dai precedenti amministratori, poiché, all’evidenza, ciò non esime dalle conseguenze di legge colui che abbia successivamente ricoperto tale carica perseverando nella violazione dell’obbligo di tenuta delle scritture contabili.
Peraltro, occorre considerare che, aldilà del ruolo di Presidente del C.d.A. ricoperto dal ricorrente a far data dal 31.3.2016, risulta che il COGNOME fosse componente del C.d.A. sin dalla costituzione della società, nel giugno 2014, così che sussistevano ab origine su di lui gli obblighi di regolare tenuta della contabilità se, come si legge nella sentenza di primo grado, dagli atti societari
non emergeva l’esistenza di deleghe dal C.d.A ad alcuno dei suoi consiglieri per l’amministrazione della società.
2.1.2. Nondimeno, deve osservarsi che, pur essendo stata contestata, nel capo A), la bancarotta documentale c.d. generica, cioè l’irregolare tenuta delle scritture, tale da non consentire la ricostruzione del movimento degli affari, dalle sentenze di merito emerge che, in realtà, la condotta ravvisata è, invece, quella integrante la bancarotta documentale c.d. specifica, come ammesso, peraltro, dal ricorrente, che ha confermato di non avere mai istituito le scritture sociali. D’altro canto, le ricerche esperite dalla curatela fallimentare non hanno prodotto alcun risultato, non essendo stata rinvenuta nessuna documentazione sociale né presso il commercialista dell’epoca, né presso il precedente I.r. NOME COGNOME oltre a non essere stata consegnata dall’imputato, nonostante reiterate richieste rivoltegli dal curatore.
Per di più, – pur a fronte di uno specifico motivo di gravame, nel quale, richiamandosi la sentenza di primo grado – laddove afferma che ” non emerge sia stata in alcun modo tenuta la contabilità né essere stati predisposti i rendiconti o bilanci annuali” e la giurisprudenza di legittimità, che fa ricadere la fattispecie dell’omessa fraudolenta tenuta delle scritture contabili nell’ipotesi d reato della bancarotta documentale c.d. specifica, a dolo specifico (caratterizzato dall’intenzione di nuocere ai creditori) – la Corte di appello si è adagiata sull considerazione che è sufficiente la prova di una delle condotte descritte dal secondo comma dell’art. 216 L.F.. Si tratta di evidente errore di diritto, che non tiene conto della differente struttura delle fattispecie compendiate nella citata disposizione di legge.
Giova evidenziare, preliminarmente, come non integri una violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, ex art. 521 cod. proc. pen., la condanna per bancarotta documentale specifica per omessa tenuta delle scritture contabili dell’imputato di bancarotta documentale fraudolenta c.d. generale, per la irregolare tenute delle stesse, non sussistendo tra il fatto originariamente contestato e quello ritenuto in sentenza un rapporto di radicale eterogeneità o incompatibilità, poichè tali fattispecie si equivalgono ( Sez. 5, n. 42754 del 26/05/2017, Rv. 271847), né un “vulnus” al diritto di difesa, trattandosi di reato di pari gravità (Sez. 5, n. 33878 del 03/05/2017, Rv. 271607).
In effetti, in tale ottica, si ritiene ammissibile la contestazione alternati dei delitti di bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione, distruzione o occultamento di scritture contabili, per la cui sussistenza è necessario il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori, e di fraudolenta tenuta delle stesse, che integra una ipotesi di reato a dolo generico, non determinando tale modalità
alcun vizio di indeterminatezza dell’imputazione (Sez.5 n. 8902 del 19/01/2021, Rv. 280572; Sez. 5, n. 27930 del 01/07/2020, Rv. 27963601).
2.1.3. Ciò posto, la sentenza impugnata lascia intravedere una certa confusione interpretativa nello scrutinio dell’elemento soggettivo del reato di bancarotta fraudolenta documentale, quanto alle diverse fattispecie declinate dall’art. 216 co. 1 n. 2 L.F., e al distinguo tra il dolo generico proprio dell fattispecie di cui all’ultima parte dell’art. 216 co.1. n. 2 ( che attiene alla tenu delle scritture contabili “in guisa da non renderne possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari”, c.d. “bancarotta generale”), e il dolo specifico richiesto ai fini dell’integrazione della fattispecie declinata nella prima parte della predetta disposizione di legge ( che disciplina le tre ipotesi di chi “ha sottratto, distrutto o falsificato in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a s o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori, i libri scritture contabili” c.d. “bancarotta specifica”).
Per chiarezza ermeneutica, va ricordato che, secondo costante ermeneutica giurisprudenziale, l’art. 216 del R.d. 16 marzo 1942 n. 267 contempla, nel numero 2 del primo comma, due ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale alternative. La prima (sottrazione, distruzione o falsificazione, parziale o totale, di libri o altre scritture contabili) richiede il specifico (consistente nello scopo di arrecare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori); per la seconda (tenuta dei libri e dell scritture contabili in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari) è sufficiente il dolo generico (con indirizzo costante affermato fin da Sez. 5, n. 6148 del 19/12/1986 (dep. 1987) Rv. 175959; conf., più recentemente, per tutte, Sez. 5, n. 43966 del 28/06/2017, Rv. 271611).
Per la ipotesi c.d. “generale”, GLYPH la legge prevede, dunque, il solo dolo generico, consistente nell’intenzione dell’agente di rendere impossibile o estremamente difficile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari, non essendo, per contro, necessaria la specifica volontà di impedire quella ricostruzione (per tutte, Sez. 5, n. 5264 del 17/12/2013 (dep. 2014),Rv.258881). In tale ottica, si afferma che la formula legislativa ” in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari” connota la condotta (e, dunque, l’elemento materiale del reato) e non la volontà dell’agente, così da escludere che la stessa possa configurare un dolo specifico (Sez. 5 n. 13701/1994, n.m.). In sintesi, si ritiene che l’ostacolo alla ricostruzione del patrimonio e del volume di affari dell’impresa costituisca una connotazione modale della condotta oggetto di incriminazione, ritenendosi cioè tipici solo quei comportamenti che si risolvano in una oggettiva compronnissione
della utile e immediata fruizione dei dati contabili da parte degli organi fallimentari (Sez. 5, n. 21872 del 25/03/2010 Rv. 247444). E’ bene anche specificare, sempre con riferimento alli ipotesi cd. generale, che l’esistenza dell’elemento soggettivo non può essere desunto dal solo fatto, costituente l’elemento materiale del reato, che lo stato delle scritture sia tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, poichè è necessario chiarire, da parte del giudice di merito, la ragione e gli elementi sulla base dei quali l’imputato abbia avuto coscienza e volontà di realizzare detta oggettiva impossibilità e non, invece, di trascurare semplicemente la regolare tenuta delle scritture, senza valutare le conseguenze di tale condotta, atteso che, in quest’ultimo caso, si integra l’atteggiamento psicologico del diverso e meno grave reato di bancarotta semplice di cui all’art. 217, comma secondo, legge fall. (Sez. 5, n. 172 del 07/06/2006 (dep. 2007 ) Rv. 236031; conf. Sez. 5, n. 23251 del 29/04/2014, Rv. 262384). Il dolo generico della fattispecie “generale” deve essere, dunque, desunto, con metodo logico-inferenziale, dalle modalità della condotta contestata, e non dal solo fatto che lo stato delle scritture sia tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, fatto che costituisce l’elemento materiale del reato ed è comune alla diversa e meno grave fattispecie di bancarotta semplice, incriminata dall’art. 217, comma secondo, legge fall.( Sez. 5, n. 26613 del 22/02/2019, Rv. 276910). Secondo consolidato principio di questa Sezione (cfr. sentenza n. 2900 del 02/10/2018 (dep. 2019 ) Rv. 274630), infatti, “La bancarotta semplice e quella fraudolenta documentale si distinguono in relazione al diverso atteggiarsi dell’elemento soggettivo, che, ai fini dell’integrazione della bancarotta semplice ex art. 217, comma secondo, legge fa/I., può essere indifferentemente costituito dal dolo o dalla colpa, ravvisabili quando l’agente ometta, con coscienza e volontà o per semplice negligenza, di tenere le scritture contabili, mentre per la bancarotta fraudolenta documentale, ex art. 216, comma primo, n. 2), legge fall., l’elemento psicologico deve essere individuato esclusivamente nel dolo generico, costituito dalla coscienza e volontà dell’irregolare tenuta delle scritture, con la consapevolezza che ciò renda impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio dell’imprenditore.” In sostanza, nella ipotesi di bancarotta generale, la finalità dell’agente è riferita a un elemento costitutivo della fattispecie, ovver alla impossibilità di ricostruire il patrimonio e gli affari dell’impresa (Sez. 3, 46972 del 03/11/2004 Rv. 230482; conf. Sez. 5, n. 26907 del 07/06/2006, Rv. 235006). GLYPH o Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Altro è l’elemento psicologico che viene in rilievo nelle ipotesi di c.d. bancarotta documentale specifica, in relazione alle quali si richiede, piuttosto, il
dolo specifico, configurato dalla locuzione ” con lo scopo di recare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori”. L’utilizzo della disgiuntiva tra le ipotesi che integrano il dolo specifico richiesto per l configurabilità della fattispecie di bancarotta documentale specifica ha fatto ritenere che, accanto allo scopo di recare pregiudizio ai creditori (animus nocendi) sia contemplato, alternativamente, lo scopo di recare a sé o ad altri un ingiusto profitto ( animus lucrandi), sicchè, la prova di uno dei due diversi intenti è sufficiente all’affermazione di responsabilità ( Sez. 5 n. 43966 del 28/06/2017, Rv. 271611; Sez. 5 n. 18634 del 01/12/2017, Rv. 269904; Sez. 5 n. 17084 del 09/12/2014 , dep. 2015, rv. 263242): pertanto, per la configurazione delle ipotesi di reato di sottrazione, distruzione o falsificazione di libri e scritture contabili previste dall’art. 216, primo comma n. 2 prima parte della legge fallimentare, è necessario il dolo specifico, consistente nello scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori mentre il reato si perfeziona indipendentemente dall’impossibilità di ricostruire la contabilità dell’impresa, non essendo tale evento riconducibile a detta ipotesi, ma soltanto alla quarta declinata dall’art. 216 co.1 n. 2 L.F., concernente la irregolare tenuta dei libri contabili (Sez. 5, n. 3951 del 18/02/1992, Rv 189813).
Ma, va aggiunto – perché di rilievo nella fattispecie in scrutinio – che, per consolidato insegnamento di questa Corte, l’ipotesi di omessa tenuta dei libri contabili deve essere ricondotta nell’alveo di tipicità dell’art. 216, comma 1, n. 2 Legge Fall., atteso che la norma incriminatrice, punendo la tenuta della contabilità in modo tale da rendere relativamente impossibile la ricostruzione dello stato patrimoniale e del volume d’affari dell’imprenditore, a “fortiori” ha inteso punire anche colui che non ha istituito la suddetta contabilità, anche solo per una parte della vita dell’impresa. Si è, peraltro, ripetutamente precisato come ciò non consenta, ai fini dell’individuazione dell’elemento soggettivo, di ricondurre la condotta di omessa tenuta a quella testè descritta, dovendosi, invece, ritenere che l’omessa tenuta della contabilità interna integri gli estremi del reato di bancarotta documentale fraudolenta solo qualora si accerti che scopo dell’omissione sia quello di recare pregiudizio ai creditori, chè altrimenti risulterebbe impossibile distinguere tale fattispecie da quella analoga sotto il profilo materiale, prevista dall’art. 217 Legge Fall, e punita sotto il titolo bancarotta semplice documentale (Sez. 5, n. 25432 del 11 aprile 2012, COGNOME e altri, Rv. 252992; conf. Sez. 5, n. 11115 del 22/01/2015, Rv. 262915; Sez. 5 n. 18320 del 07/11/2019 (dep. 2020 ) Rv. 279179). Il dolo richiesto per la sussistenza del reato in tal caso non è, dunque, quello generico sufficiente a supportare la condotta di tenuta fraudolenta (costituito dalla consapevolezza di
rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio sociale) bensì quello, specifico, che caratterizza il falso contabile per soppressione descritto nella prima parte dell’incriminazione in oggetto, ovvero che la condotta sia supportata dal fine di recare pregiudizio ai creditori (Sez. 5 n. 26379 del 05/03/2019, Rv. 276650; conf. Sez. 5 n. 33114 del 08/10/2020 Rv. 279838).
Detto, quindi, che anche l’ipotesi di omessa tenuta dei libri contabili può essere ricondotta nell’alveo di tipicità dell’art. 216 comma primo, n.2, legge fall., va specificato che l’omessa tenuta (così come la sottrazione, la distruzione o la falsificazione) può essere anche “parziale” e che tale nozione ricomprende oltre alla mancata istituzione di uno o più libri contabili anche l’ipotesi della “materiale” esistenza dei libri contabili che però sono stati “lasciati in bianco”.
Quanto alla “falsificazione” che, in apparenza, sembra connotare entrambe le fattispecie, la Corte di cassazione, con indirizzo consolidato, ha tracciato la seguente linea di demarcazione: la condotta di falsificazione delle scritture contabili integrante la fattispecie di bancarotta documentale “specifica” può avere natura sia materiale sia ideologica, ma consiste, comunque, in un intervento nnanipolativo su una realtà contabile già definitivamente formata. La condotta integrante la fattispecie di bancarotta documentale “generale”, invece, si realizza sempre con un falso ideologico contestuale alla tenuta della contabilità. In altri termini, l’annotazione originaria di dati oggettivamente fals nella contabilità (ovvero l’omessa annotazione di dati veri), sempre che la condotta presenti le ulteriori connotazioni modali descritte dalla norma incriminatrice, integra sempre e comunque la seconda ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale descritta dall’art. 216 comma 1 n. 2) legge fall., quella c.d. ‘generale’ (così, da ultimo, in motivazione Sez. 5, n. 5081 del 13/01/2020, COGNOME).
Come è stato efficacemente chiarito, per rimarcare, in modo ancora più netto, la differenza rispetto alla fattispecie di “omessa tenuta”, anche parziale, «occorre chiarire che rientra nella ipotesi “a dolo generico” il caso della omessa annotazione di dati veri allorché l’omissione consista non nella totale assenza di annotazioni, ma nella mancata annotazione di specifiche operazioni. Proprio questo consente di cogliere la differenza tra bancarotta fraudolenta documentale “specifica” e “generale” e la ratio sottesa al diverso elemento soggettivo richiesto: nel caso della bancarotta “generale” la fraudolenza è pressoché insita nella condotta materiale di alterazione della valenza delle scritture, sicché è sufficiente il dolo generico; mentre nel caso della bancarotta “specifica” l’elemento oggettivo è polivalente sicché è richiesta una specifica direzione della volontà. In questa ottica le annotazioni incomplete, che incidono sul principio di continuità impedendo di ricostruire il patrimonio e il movimento degli affari (non
come evento del reato, ma come carattere modale della condotta), danno comunque la parvenza che la contabilità rifletta l’operatività dell’impresa e dunque creano quell’inganno che è punito nella “bancarotta generale”.»( Sez. 5 n. 42546 del 07/11/2024, Rv.287175).
Alla luce di tali coordinate ermeneutiche, si osserva che, nel caso di specie, come già si è detto, il fatto ricostruito in sentenza è stato individuato nella omissione totale delle scritture contabili, ricostruzione di cui si ha contezza sia nella sentenza di primo grado che in quella impugnata. Se così è, allora, l’elemento soggettivo che va ricercato ai fini dell’inquadramento del fatto in termini di fraudolenta sottrazione/soppressione, è il dolo specifico, costituito dalla specifica volontà indicata dalla legge, da ricostruire adeguatamente sulla base degli elementi di fatto a disposizione, attraverso uno scrutinio che deve essere rigoroso, trattandosi del momento decisivo per tracciare la linea di confine soprattutto con la bancarotta semplice documentale (art. 217 co. 2 ).
Per questo, si impone l’annullamento della sentenza impugnata, relativamente al delitto di bancarotta documentale di cui al capo A), con rinvio al giudice di merito, per nuovo giudizio sul punto, secondo le coordinate ermeneutiche tracciate.
2.2. Il secondo motivo, con il quale si denunciano, in relazione al fatto sub B), vizi della motivazione con riguardo al ruolo del COGNOME di amministratore effettivo della società RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE, sostenendosi che egli abbia rivestito, invece, un ruolo meramente formale, che lo rendeva inconsapevole della situazione di dissesto finanziario da cui è derivata la contestazione della omessa colpevole attivazione della procedura fallimentare – è inammissibile, perché manifestamente infondato, oltre che finalizzato a una non consentita riconsiderazione delle fonti di prova sul punto.
Il ricorrente, in realtà, reitera le medesime argomentazioni già svolte in sede di merito insistendo sul ruolo formalmente rivestito in quella compagine, omettendo di confrontarsi con le esaustive e ineccepibili motivazioni rassegnate sul punto dalla Corte d’appello (ma già dal Tribunale), ove si valorizza il dato del licenziamento, alla presenza di COGNOME, di tutti i dipendenti della ‘RAGIONE_SOCIALE ad ottobre 2016, che ha condotto alla considerazione pienamente logica ; contrariamente a quanto ritiene la difesa, che – come osservato anche dal giudice di primo grado – ciò equivale a dire che, dall’ottobre 2016, la società era di fatto nell’impossibilità di proseguire la propria attività e, dunque, a fronte debiti erariali presenti già dall’anno 2015, che la situazione finanziaria non poteva che peggiorare, come dimostrato dall’incremento del passivo per effetto di crediti privilegiati riferiti anche all’anno 2017 (in tal modo aggravando anche il dissesto).
Del pari irrilevante, al fine di comprovare la consapevolezza del dissesto della società da parte di COGNOME, risulta la denuncia del COGNOME, precedente amministratore della ‘RAGIONE_SOCIALE‘, poiché le denunciate irregolarità di gestione del COGNOME consistevano anche in prelevamenti ingiustificati dal c/c dell’associazione, conto sul quale il COGNOME aveva la delega ad operare sin dall’ottobre 2015, ciò che gli consentiva di constatare di persona la veridicità delle accuse del COGNOME nei confronti di COGNOME e l’inerenza di tali accuse rispetto alla situazione di deficit patrimoniale dal medesimo denunciata.
In tale ricostruzione fattuale si inserisce a buon diritto, infine, la circostanz che il decesso del COGNOME sia intervenuto circa un anno mezzo prima della dichiarazione di fallimento.
La struttura argomentativa che sorregge il giudizio di merito sul punto è, dunque, solida e con essa il ricorrente non si confronta realmente, limitandosi a sostenere le proprie ragioni difensive in modo incoerente con i risultati dibattimentali, secondo uno schema deduttivo inammissibile, per le ragioni anzidette, e per la genericità estrinseca derivata dalla a-specificità (sul tema, cfr., tra le altre, Sez. 2, n. 11951 del 29/1/2014, Lavorato, Rv. 259425; Sez. 5, n. 28011 del 15/2/2013, COGNOME, Rv. 255568; Sez. 2, n. 19951 del 15/5/2008, COGNOME, Rv. 240109; vedi, altresì, più di recente, Sez. 2, n. 42046 del 17/7/2019, Boutartour).
2.3. Il terzo motivo è manifestamente infondato, dal momento che la prescrizione per il reato di bancarotta fraudolenta distrattiva pre-fallimentare, contestata al capo C), decorre dalla data della dichiarazione di fallimento (intervenuta il 16/09/2018), che costituisce il momento in cui si consuma la condotta illecita, (Sez. 5, n. 26548 del 19/03/2014, Rv. 260577; Sez. 5, n. 45288 del 11/05/2017, Rv. 271114), e non dalle condotte distrattive, come considerato erroneamente dal ricorrente. Peraltro, il termine di prescrizione per il contestato delitto di bancarotta fraudolenta distrattiva di cui all’art. 216 comma 1 n. 1 L.F. è, in relazione alla pena edittale, decennale, ai sensi dell’art. 157 cod. pen..e, all’evidenza, non risulta affatto maturato.
2.4. Anche il quarto motivo, con cui è dedotta violazione di legge in relazione al reato di cui al capo D), è inammissibile in quanto manifestamente infondato, oltre che riversato in fatto.
Il ricorrente reitera, invero, argomentazioni in fatto senza tener conto della motivazione dei due gradi di merito, le cui sentenze hanno evidenziato, anzitutto, che risultava omessa la dovuta (ex art. 49 comma 1 L.F.) comunicazione del cambio di indirizzo e la presentazione, di persona, al curatore, nonostante il ricorrente fosse stato più volte convocato in presenza.
Inoltre, non sono riscontrabili le dedotte illogicità nella motivazione con la quale la Corte di appello ha ritenuto irrilevante l’ulteriore circostanza, sulla quale ancora si insiste, dell’aver inoltrato, il COGNOME, una relazione al curatore sul propri ruolo, tenuto anche conto del fatto, evidenziato dal giudice di primo grado, che il reato di cui agli artt. 49 – 220 – 226 L.F. è punito anche a titolo di colpa (ar 220 comma ,secondo L.F.) e costituiva, dunque, specifico onere del ricorrente accertarsi che la sua presenza fisica non fosse necessaria.
Invero, il secondo comma del medesimo art. 49 L. Fall., nel contemplare l’obbligo del fallito di rendersi disponibile a fornire informazioni o chiariment prevede che “Se occorrono informazioni o chiarimenti ai fini della gestione della procedura, i soggetti di cui al primo comma, devono presentarsi personalmente al giudice delegato, al curatore o al comitato dei creditori”.(Sez. 5 -n. 32867 de/ 15/05/2019 Rv. 276526). Il fallito, dunque, ha l’obbligo di essere sempre reperibile e di dover comparire personalmente quando richiesto dal giudice delegato, dal curatore o dal comitato dei creditori, e tale contatto personale non può essere surrogato da una interlocuzione epistolare, giacchè per espressa previsione legale – la sua presenza può essere eccezionalmente sostituita – su autorizzazione del giudice – esclusivamente da un contatto con gli organi della procedura di persona diversa dal fallito o dall’amministratore, in caso di legittimo impedimento o di altro giustificato motivo, come previsto dal terzo comma dell’art. 49 cit.
2.5. Non sono riscontrabili i vizi della motivazione denunciati con riguardo al capo E), rivelandosi il motivo di ricorso afflitto da genericità per reiterazione delle censure già correttamente scrutinate dai giudici di merito.
Il ricorrente insiste sulla esigua durata dell’incarico ricoperto all’intern della ‘Mondo Nuovo’, ma, per un verso, non considera che il COGNOME ha ricoperto il ruolo di amministratore per otto mesi all’interno di una società costituita solo un anno e mezzo prima; ciò che rende l’arco temporale della sua omissione senz’altro significativo; e, su un piano più generale, oblitera i doveri gravanti, a sensi degli artt. 2214 e 2241 cod. civ., sugli amministratori della società in punto di tenuta delle scritture contabili, elemento, peraltro, evidenziato dalla sentenza di appello, e rispetto al quale è palese la irrilevanza, ai fini dell responsabilità, della breve durata dell’incarico, tenuto conto di quanto si è già detto in merito alla circostanza che detto obbligo viene meno solo con la cancellazione della società dal registro delle imprese, indipendentemente dalla effettiva interruzione dell’attività, sante la natura di reato di pericolo presun posto a tutela dell’esatta conoscenza della consistenza patrimoniale dell’impresa,
a prescindere dal concreto pregiudizio per le ragioni creditorie (da ultimo, Sez. 5 n. 20514 del 22/01/2019, Rv. 275261).
Il ricorso nell’interesse di NOMECOGNOME che risponde esclusivamente del reato di cui al capo E), non è fondato.
3.1. Il motivo con cui ci si duole del mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen. è manifestamente infondato.
Al ricorrente è contestato di avere, in cooperazione con gli altri componenti del consiglio di amministrazione, colposamente omesso la vigilanza sull’operato degli altri amministratori nella irregolare tenuta delle scritture contabi obbligatorie delle quali omettevano ogni aggiornamento a partire dal mese di aprile 2018. Risulta, inoltre, che il C.d.A. era investito, nella sua interezza collegialità, della gestione globale della società senza deleghe e senza distinzioni con estensione a tutti gli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione (pg. 11 della sentenza di primo grado).
Ai fini della applicabilità della causa di non punibilità GLYPH secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite – occorre avere riguardo al fatto storico, alla situazione reale e irripetibile costituita da tutti gli elementi di f concretamente realizzati dall’agente, perchè non è in questione la conformità al tipo – in quanto la causa di non punibilità presuppone un fatto conforme al tipo e offensivo, ma il cui grado di offesa sia particolarmente tenue tanto da non richiedere la necessità di pena – bensì l’entità del suo complessivo disvalore e questo spiega il riferimento alla connotazione storica della condotta nella sua componente oggettiva e soggettiva (Sez. U. n. 13681 del 25/02/2016, Rv. 266590).
Posto, quindi, che la particolare tenuità del fatto può essere riconosciuta nei casi in cui si è in presenza di un fatto che, pur essendo tipico, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, risulti concretamente inoffensivo, si osserva che, nel caso di specie, al ricorrente è contestato di aver omesso l’aggiornamento delle scritture contabili obbligatorie a far data dal suo ingresso nella società e, dunque, per l’intero periodo nel quale vi ha ricoperto un ruolo. Tale significativo dato è stato giustamente valorizzato dalla Corte di appello segnalando la condotta affatto originale tenuta dall’COGNOME rispetto agli amministratori che l’hanno preceduto, dei quali ha, piuttosto, perpetuato le irregolarità commesse nelle registrazioni contabili, anche lui omettendo completamente l’aggiornamento.
Quanto al rilievo penale della condotta omissiva in questione va ricordato che il disordine contabile a cui dà luogo l’irregolare tenuta delle scritture contabil impedisce alle stesse di assolvere alla loro tipica funzione di accertamento e non
costituisce perciò una violazione meramente formale e inoffensiva.( Sez. 5 n. 18482 del 22/03/2023, COGNOME, Rv. 284514). Con rigùardo a tale funzione va, chiaramente, individuato il danno o il pericolo causato dal reato contestato, in ragione, appunto, del bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice e della tipica funzione di accertamento della consistenza patrimoniale della società che è propria delle scritture contabili obbligatorie. In tal ottica, non può sfuggire – ed stato correttamente valutato dalla Corte di appello – il disvalore della condotta del ricorrente, tanto più ponendo in relazione la complessiva durata (poco più di due anni) della società ‘RAGIONE_SOCIALE‘ con l’arco temporale (da aprile a dicembre 2018) interessato dal comportamento antigiuridico contestato all’Allegro.
Correttamente, poi, il giudice di primo grado ha evidenziato come anche le dedotte scarse competenze dell’COGNOME non abbiano rilievo al fine esimerlo da responsabilità, atteso che l’accettazione consapevole e volontaria della carica di amministratore comporta una serie di doveri che non possono essere trascurati, e visto che non si trattava di fare uso di particolari capacità tecniche per comprendere il significato di un obbligo di elementare consistenza e che, in ogni caso, l’elemento soggettivo del reato in questione può essere costituito anche dalla colpa, integrata cioè da un atteggiamento meramente negligente.
3.2. Non ha pregio neppure il secondo motivo con il quale è denunciata la manifesta illogicità, anche per travisamento, della motivazione della sentenza impugnata relativamente alla determinazione del danno cagionato dal delitto, che la Corte di appello avrebbe contraddittoriamente ridotto. Si sostiene, invero, che la Corte territoriale avrebbe ritenuto la responsabilità dell’Allegro sensibilmente inferiore a quella del Motta in ragione del minor danno causato dal primo per il limitato periodo di durata della sua presenza nel C.d.A., mentre quest’ultimo dato era stato ritenuto irrilevante nel giudizio sulla particolar tenuità del fatto.
La denunciata contraddittorietà della sentenza impugnata non è, tuttavia, riscontrabile. E’ preliminare ricordare che il danno patrimoniale cagionato dai reati fallimentari contestati è altro dall’offesa arrecata dalle condotte incriminate.
Il mancato riconoscimento della causa di esclusione della punibilità del fatto di lieve entità è dipeso da una complessiva valutazione del fatto e non del solo danno patrimoniale prodotto, avendo riferimento, cioè, alla entità dell’offesa arrecata, intesa quale pregiudizio in termini di danno o di pericolo arrecato con la condotta attiva od omissiva.
Giova, quindi, ricordare che il delitto di bancarotta semplice (art. 217 I. fall.) è reato di pericolo presunto che, mirando ad evitare che sussistano ostacoli alla attività di ricostruzione del patrimonio aziendale e dei movimenti che lo hanno costituito, persegue la finalità di consentire ai creditori l’esatta conoscenza
della consistenza p.atrimoniale, sulla quale possano soddisfarsi. Pertanto, la fattispecie incriminatrice – consistendo nel mero inadempimento di un precetto formale (il comportamento imposto all’imprenditore dall’art. 2214 cod. civ.) integra un reato di mera condotta, che si realizza anche quando non si verifichi, in concreto, danno per i creditori, ragione per cui. l’obbligo di tenere le scrittur contabili non viene meno se l’azienda non abbia formalmente cessato l’attività, anche se manchino passività insolute, ma viene meno solo quando la cessazione dell’attività commerciale sia formalizzata con la cancellazione dal registro delle imprese (Sez. 5, n. 20911 del 19/04/2011,COGNOME e altro, Rv. 250407; conforme anche l’arresto richiamato d nella sentenza impugnata: Sez. 5, n. 20514 del 22/01/2019, Martino, Rv. 275261). In tale fattispecie, cioè, l’offensività della condotta è stata dal legislatore ricollegata non già ad una concreta idoneità della omessa tenuta delle scritture contabili ad arrecare pregiudizio ai creditori, bensì al potenziale rischio che la mancanza delle scritture e degli elementi contabili prescritti per legge arreca alla esatta conoscenza della consistenza patrimoniale sulla quale i creditori possono soddisfarsi, a prescindere da qualsiasi profilo di effettiva realizzazione di tale rischio o pericolo.
Altro è, invece, il danno patrimoniale arrecato dalle condotte ascritte al ricorrente, del quale la Corte di appello ha tenuto conto al momento di individuare l’entità della provvisionale (in ordine al quale ha escluso la circostanza aggravante dell’art. 219, comma 1, I.fall., sul rilievo che, aldilà dell’entità del passivo fallimentare, tale aggravante non fosse stata integrata con riferimento al concreto danno patrimoniale cagionato dalle singole condotte), che ha commisurato facendo riferimento alle omissioni contabili al medesimo addebitabili per il periodo di sua amministrazione della fallita cooperativa ‘RAGIONE_SOCIALE‘.
Sono diversi, dunque, i profili che hanno ispirato la decisione sui punti in questione, nella quale non si ravvisa la denunciata contraddittorietà, atteso che, oltre a quanto appena osservato in merito alla distinzione che deve essere operata tra entità del danno patrimoniale e offensività del fatto, non può prescindersi dal differente ruolo svolto da COGNOME rispetto ad COGNOME, di cui entrambi i giudici di merito danno ampiamente conto nelle loro sentenze.
COGNOME, infatti, è tra gli artefici, insieme a COGNOME, della nascita stessa dell cooperativa RAGIONE_SOCIALE, tanto da assumerne l’amministrazione per i primi due mesi di attività (da settembre a novembre 2016), ed è stato ritenuto responsabile del delitto contestato al capo F), per il quale è stata dichiarata l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione; nelle vicende della cooperativa egli ha, quindi, avuto un ruolo senz’altro diverso rispetto all’COGNOME,
che giustifica la diversa responsabilità riconosciuta per il complessivo danno arrecato dai due ricorrenti.
4.L’epilogo del presente scrutinio di legittimità è l’annullamento della sentenza impugnata nei confronti di NOME COGNOME limitatamente al capo A), con rinvio
per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Torino. Nel resto, il ricorso del COGNOME è infondato e deve essere rigettato. Anche il ricorso di NOME
la condanna al pagamento
NOME COGNOME merita il rigetto, a cui segue, ex lege,
delle spese processuali.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di NOME COGNOME limitatamente al capo A), con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di
Torino. Rigetta nel resto il ricorso del COGNOME. Rigetta il ricorso di NOME
Allegro e lo condanna al pagamento delle spese processuali.
ø
,-Q4 giugno 2025
Così deciso in Roma
Il Ce
.lie e e ten