Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 37088 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 37088 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a POTENZA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 29/11/2024 della CORTE APPELLO di POTENZA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale COGNOME che ha concluso riportandosi alla requisitoria scritta per l’inammissibilità del ricorso.
udito il difensore:
l’AVV_NOTAIO COGNOME, che insiste nell’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte d’Appello di Potenza, in riforma della decisione di primo grado emessa dal Tribunale di Potenza in data 23.09.2019, ha assolto NOME COGNOME dal reato di concorso in bancarotta fraudolenta distrattiva per non aver commesso il fatto ed ha confermato la condanna di NOME COGNOME alla pena di quattro anni di reclusione, per il medesimo reato e per quello collegato di bancarotta fraudolenta documentale, riducendo nei suoi confronti solo le pene accessorie fallimentari nella durata di quattro anni analoga a quella della pena principale.
Il reato contestato è relativo al fallimento della società RAGIONE_SOCIALE dichiarato il 22.04.2010, in relazione al quale sono state accertate, nei giudizi di merito, distrazioni di danaro attraverso un articolato sistema di fatturazioni non veritiere perché relative a operazioni inesistenti o sovrastimate.
L’imputato – condannato unitamente all’amministratore della società inesistente, destinataria dei pagamenti ritenuti distrattivi per un importo di euro 411.500 tramite assegni bancari e per un importo di 1.160.500 per contanti – è stato amministratore e legale rappresentante della società fallita dal 09.02.2006 al 24.01.2008 e dal 01.09.2008 sino alla data del fallimento; si contesta a lui solo, tra l’altro, di avere distratto in data 31.12.2009, la somma di euro 38.202,82, con azzeramento della cassa sociale.
Avverso la citata sentenza d’appello ha proposto ricorso NOME COGNOME tramite il difensore di fiducia deducendo tre motivi.
2.1. Il primo argomento di censura eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’affermazione di colpevolezza del ricorrente per il reato di bancarotta fraudolenta distrattiva, alla luce del disallineamento tra l’imputazione e i fatti accertati dalla sentenza di condanna, con conseguente violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza e del diritto di difesa, poiché si sarebbe dovuto procedere a nuova contestazione: la responsabilità del ricorrente, nella sostanza, è stata declinata seguendo le linee di tipicità dell’art. 223, comma 2, I. fall. e non quelle dell’orginaria imputazione di bancarotta fraudolenta distrattiva.
Le condotte sono state ricostruite come abusi di gestione o infedeltà ai doveri imposti dalla legge, configurando operazioni dolose diverse e più complesse rispetto alla mera distrazione e che richiedono l’individuazione di un nesso causale tra la loro commissione e il fallimento successivo.
Inoltre, non sarebbe stato correttamente valutato l’elemento psicologico del reato, tenuto conto del fatto che, nel delitto ex art. 223 I. fall., il coeffici
soggettivo è di natura preterintenzionale e richiede che nel fuoco del dolo rientri la prevedibilità dell’evento fallimento scaturito dall’azione antidoverosa, mentre nella bancarotta distrattiva il dolo è generico e per la sua sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori.
Infine, si denuncia insufficiente e contraddittorio il richiamo contenuto nella sentenza impugnata alla pag. 21 della motivazione della decisione di primo grado, per quanto riguarda la prova della distrazione della somma di euro 38.202,82 annotata il 31.12.2009 nel libro giornale come pagamento ai fornitori senza indicazione del nominativo (che riporta un mero punto esclamativo), poiché in tale pagina si tratta della bancarotta fraudolenta documentale e non di quella distrattiva: non si comprende se la difesa avrebbe dovuto provare l’insussistenza della distrazione o la non falsità dell’annotazione.
2.2. La seconda argomentazione difensiva contesta vizi di violazione di legge e di motivazione quanto al dolo del reato di bancarotta fraudolenta distrattiva di cui al capo A), chiedendo la riqualificazione dei fatti nel diverso delitto di cui all’ar 2 d.lgs. n. 74 del 2000.
Le operazioni impropriamente ritenute distrattive relative alla fallita, infatti che era sottoposta a controllo fiscale all’epoca dei fatti, si innestano in uno scenario di indebita detrazione dell’IVA a credito derivante dalla sovrafatturazione dei beni venduti o dalla fatturazione di operazioni inesistenti e puntavano ad ottenere un indebito credito fiscale in favore della società amministrata dal ricorrente, nel solco del coefficiente soggettivo previsto dal citato art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000.
In ogni caso, non si possono distrarre somme di danaro mai entrate nel patrimonio della fallita, quali possono essere di regola quelle oggetto di fatture per operazioni inesistenti.
2.2. Il secondo motivo di ricorso eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di bancarotta fraudolenta documentale; il delitto avrebbe potuto essere riqualificato nel reato di bancarotta semplice documentale, anche in considerazione del fatto che era stato agevole ricostruire lo stato patrimoniale ed economico della fallita per gli organi fallimentari.
Il Sostituto Procuratore Generale ha depositato requisitoria scritta con cui chiede dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è complessivamente infondato.
2. Il primo motivo di ricorso non ha pregio.
Come noto, da tempo la giurisprudenza di legittimità ritiene che, in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vedendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l'”iter” del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, COGNOME, Rv. 248051; Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, COGNOME, Rv. 205619, nonché, tra le decisioni delle sezioni semplici più reecenti: Sez. 3, n. 24932 del 10/02/2023, Gargano, Rv. 284846 – 04).
Detto altrimenti, il principio di correlazione tra imputazione e sentenza risulta violato quando nei fatti, rispettivamente descritti e ritenuti, non sia possibile individuare un nucleo comune, con la conseguenza che essi si pongono, tra loro, in rapporto di eterogeneità ed incompatibilità tale da rendere impossibile per l’imputato difendersi; da arrecare, cioè, un tangibile pregiudizio al diritto di difes (cfr. Sez. 3, n. 7146 del 4/02/2021, Ogbeifun, Rv. 281477 – 01; Sez. 4, n. 4497 del 16/12/2015, dep. 2016, Addio, Rv. 265946 – 01).
Sotto tale profilo, nel caso di specie, non emergono distanze reali tra la contestazione di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione e la ricostruzione delle vicende economico-societarie collegate al fallimento.
Ed infatti, la sentenza impugnata, e quella conforme di primo grado, hanno messo in risalto “l’articolato sistema” di operazioni economiche tra la fallita e alcune altre società – RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE – riconducibil ricorrente per quote di proprietà da lui stesso possedute e rivelatesi o fittizie (la RAGIONE_SOCIALE, carente di strutture, priva di risorse umane e attrezzature) o in total evasione IVA (le altre due). E tale faro è stato acceso, nelle motivazioni di merito, per fare comprendere come la cifra di 1.572.000 euro pagata per forniture alla RAGIONE_SOCIALE era stata distratta in realtà, non avendo base reale la società emittente le fatture; senza dimenticare l’ulteriore indicatore di fraudolenza rappresentato dal fatto che la più consistente parte delle somme versate alla cartiera risulta essere stata corrisposta in contanti (1.160.000).
Quanto alle altre due società, è emersa la sovrafatturazione certa delle fatture emesse, relative al costo di beni che, dopo appena due anni, erano stati rottamati dalla fallita, con una perdita di valore del 94% in un così breve lasso temporale.
Il sovraprezzo è stato ritenuto, da tale indicatore, ulteriore elemento patrimoniale distratto a favore di società riconducibili al ricorrente e alla sua famiglia.
In sintesi, si è accertato – e la prova è in parte documentale e riposa su precise e puntuali testimonianze e indagini conoscitive del curatore fallimentare che sono stati realizzati pagamenti per operazioni inesistenti o con sovrafatturazioni, mediante i quali si è determinato un ingiustificato impoverimento del patrimonio della fallita in danno dei creditori; accanto, anche la contabilizzazione di merci di magazzino non coerente con le giacenze riscontrate in sede di inventario, per l’acclarata mancanza di macchinari e impianti all’inventario.
Tali condotte non modificano il fatto in relazione al quale è stato esercitato il diritto di difesa in entrambi i gradi di merito, coerentemente all’imputazione, e, in ogni caso, tra le ipotesi di bancarotta distrattiva e quella di bancarotta societaria impropria da operazioni dolose è bene rammentare che non sussiste un rapporto di alternatività, bensì, al limite, potrebbe ritenersi l’assorbimento della seconda nella prima fattispecie.
Il Collegio condivide, invero, l’orientamento giurisprudenziale secondo cui non è configurabile il concorso formale tra il reato di bancarotta fraudolenta distrattiva e quello di bancarotta impropria di cui all’art. 223, comma 2, n. 2, I. fall., ma quest’ultimo deve considerarsi assorbito nel primo quando l’azione diretta a causare il fallimento sia la stessa sussunta nel modello descrittivo della bancarotta fraudolenta, poichè, mentre non è concepibile la realizzazione di un reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale o documentale, che non si accompagni alla volontà deliberata o quanto meno all’accettazione del rischio che la condotta costituisca causa – unica o concorrente – del fallimento, che è elemento costitutivo del reato, in tale atteggiamento psicologico si concreta anche l’elemento soggettivo della bancarotta impropria (Sez. 5, n. 35066 del 05/07/2007, COGNOME, Rv. 237716; conforme anche Sez. 5, n. 44103 del 27/06/2016, COGNOME, Rv. 268207). Nello stesso senso si è affermato che, in tema di reati fallimentari, non è configurabile il concorso formale tra i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale e di bancarotta impropria da operazioni dolose, per il diverso ambito delle due fattispecie, ma il solo concorso materiale qualora, oltre alle condotte ricomprese nello specifico schema della bancarotta ex art. 216 I. fall., siano stati realizzati differenti ed autonomi comportamenti di abuso o infedeltà nell’esercizio della carica ricoperta ovvero atti intrinsecamente pericolosi per
l’andamento economico finanziario della società, che siano stati causa del fallimento (Sez. 5, n. 348 del 07/12/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282396).
Nella fattispecie, nel periodo precedente al fallimento, le operazioni intercorrenti tra diverse società facenti capo alla famiglia COGNOME, nelle quali i ricorrente rivestiva ruoli apicali, mediante il pagamento di fatture per operazioni inesistenti o la sovrafatturazione delle forniture, nonché alcune disposizioni dirette di scarso rilievo, determinavano il drenaggio fraudolento e ingiustificato di risorse patrimoniali della RAGIONE_SOCIALE
Tra le disposizioni dirette, deve rammentarsi quella della distrazione della somma di euro 38.202,82 che è stata annotata il 31.12.2009 nel libro giornale come pagamento ai fornitori, senza indicare il nominativo di colui al quale la fornitura era destinata, ma, anzi, inserendo al posto del nominativo un mero “punto esclamativo”; si tratta di un episodio espressivo della superficialità del ricorrente anche nella condotta fraudolenta, oltre che di un ulteriore tassello utile alla prova del carattere doloso del complesso delle operazioni economiche realizzate nel corso degli anni.
Per questo, è fuori fuoco la censura volta a colpire la sentenza impugnata, là dove, per la prova della distrazione di tale somma, si riconnette alla parte (pag. 21) di quella di primo grado in cui si tratta della bancarotta fraudolenta documentale e non di quella distrattiva: la semplice lettura del brano di motivazione lascia emergere che tale pagamento è stato lì definito “privo di una qualsiasi plausibile giustificazione” e determinativo dell’azzeramento di cassa.
Emerge, così, la realizzazione plastica della prova della bancarotta fraudolenta distrattiva per come declinata dalla giurisprudenza di legittimità: la distrazione o l’occultamento dei beni della società dichiarata fallita è desumibile dalla mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore, della destinazione dei beni suddetti, poiché la responsabilità dell’imprenditore per la conservazione della garanzia patrimoniale verso i creditori e l’obbligo di verità, penalmente sanzionato, gravante ex art. 87 I. fall. sul fallito interpellato dal curatore circa destinazione dei beni dell’impresa, giustificano l’apparente inversione dell’onere della prova a carico dell’amministratore della società fallita, in caso di mancato rinvenimento di beni aziendali o del loro ricavato (Sez. 5, n. 2732 del 16/12/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282652; Sez. 5, n. 17228 del 17/01/2020, COGNOME, Rv. 279204 – 01; Sez. 5, n. 8260 del 22/9/2015, COGNOME, Rv. 267710; Sez. 5, n. 11095 del 13/2/2014, COGNOME, Rv. 263740; Sez. 5, n. 22894 del 17/4/2014, COGNOME, Rv. 255385; Sez. 5, n. 7048 del 27/11/2008, dep. 2009, COGNOME, Rv. 243295).
2.2. Il secondo dei tre argomenti di critica difensiva (numerato come primo “Nel merito” dal ricorso) va risolto confermando il principio di diritto secondo cui,
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in tema di bancarotta fraudolenta per distrazione, ricorrono gli “indici di fraudolenza”, rilevanti per l’accertamento dell’elemento oggettivo della concreta pericolosità del fatto distrattivo e del dolo generico, nella condotta di partecipazione ad un sistema di emissione di fatture per operazioni inesistenti e di ricezione di assegni in assenza di prestazione, solo apparentemente pattuita, realizzato in prossimità del fallimento quando lo stato di dissesto sia già conclamato (Sez. 5, n. 12052 del 19/01/2021, COGNOME, Rv. 280898 – 01).
Prova troppo, d’altra parte, e si rivela illogico, l’argomento del ricorso secondo cui la distrazione non potrebbe abbinarsi a fatturazioni per operazioni inesistenti: tali fatture, invero, costituiscono un indicatore, una “spia” della sottostante operazione illecita di drenaggio e sottrazione di risorse dalla società fallita a quella emittente (priva di operatività, la RAGIONE_SOCIALE), operazione “coperta” da una giustificazione ideologicamente falsa, che, per definizione, non può certo rappresentare una matrice economica reale, ma, appunto, funge da schermo alla celata distrazione.
Infine, per chiudere il ventaglio di risposte dovute al motivo di ricorso, ancorchè generico per tale aspetto, va chiarito che gli eventuali reati fiscali che si fossero integrati non esauriscono la rilevanza penale delle condotte, evidentemente distrattive, trattandosi di fattispecie concorrenti, data la diversità del bene tutelato, dell’elemento oggettivo e di quello soggettivo (cfr., in generale, sebbene in fattispecie differenti, Sez. 5, n. 35591 del 20/06/2017, Fagioli, Rv. 270810 – 01; Sez. 5, n.40009 del 23/04/2014, Conti, Rv. 262212 – 01).
2.3. L’ultimo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
L’annotazione originaria di dati oggettivamente falsi nella contabilità (ovvero l’omessa annotazione di dati veri), sempre che la condotta presenti le ulteriori connotazioni modali descritte dalla norma incriminatrice, integra sempre e comunque la seconda ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale descritta dall’art. 216, primo comma, n. 2), I. fall.”, vale a dire la bancarotta fraudolenta documentale “generica” (ex multis, Sez. 5, n. 42546 del 07/11/2024, Cocozza, Rv. 287175; Sez. 5, n. 5081 del 13/01/2020, COGNOME, Rv. 278321 – 01).
La sentenza impugnata ha spiegato che è stata accertata l’annotazione, nelle scritture contabili della fallita, di un gran numero di operazioni di valore radicalmente diverso da quello reale – dunque, ideologicamente false – che ha determinato una non veritiera rappresentazione della situazione contabile della società RAGIONE_SOCIALE alterando la possibilità di ricostruire in maniera attendibile il movimento degli affari e il patrimonio della fallita (vedi pag. 9 della decisione di appello).
Le circostanze dei fatti, già sin qui descritte, e la reiterazione stessa delle falsificazioni hanno indotto la Corte di merito a bollare come “scientemente” fornita
la falsa rappresentazione; ancora di più, il Tribunale ha messo in linea una serie di indicatori che puntano inequivocabilmente a far ritenere configurabile l’ipotesi fraudolenta di bancarotta documentale e non quella semplice prevista dall’art. 217 I. fall.; in particolare, si sono richiamati la consistenza del materiale documentale da cui si desume la falsità delle indicazioni inserite nei libri societari, nonché l correlazione di tali falsificazioni o omissioni con un’attività distrattiva e il disord contabile in generale (cfr., per tale esemplificazione, Sez. 5, n. 40015 del 11/06/2014, non mass.).
Si tratta di indicatori tutti presenti nel caso di specie, mentre, in aggiunta, si ricorda la valenza, in termini di fraudolenza, dell’accertamento della fittizietà delle fatturazioni collegate alla società non operativa RAGIONE_SOCIALE e l’episodio della fattur con fornitore sconosciuto, indicato con un punto esclamativo.
Le prospettazioni difensive risultano, pertanto, del tutto prive di fondamento.
Il ricorso deve essere, dunque, rigettato, con la conseguenza della condanna del ricorrente alle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 12/09/2025.