Bancarotta Fraudolenta: Il Credito del Socio non Salva dalla Condanna
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5959/2024, si è pronunciata su un delicato caso di bancarotta fraudolenta patrimoniale, chiarendo i limiti entro cui un socio può vantare un credito nei confronti della propria società senza incorrere in gravi responsabilità penali. La decisione sottolinea che l’esistenza di un credito non costituisce una giustificazione automatica per il prelievo di somme dal patrimonio sociale, soprattutto in prossimità del fallimento.
I Fatti del Caso: La Distrazione di Fondi Societari
La vicenda riguarda un socio di una società a responsabilità limitata, successivamente dichiarata fallita. L’imputato era stato condannato sia in primo che in secondo grado per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale. L’accusa era di aver distratto, in concorso con l’amministratore, una somma di oltre 37.000 euro, erogata a suo favore dalla società e mai restituita.
Secondo i giudici di merito, tale operazione aveva impoverito il patrimonio sociale, recando un danno diretto ai creditori che, al momento del fallimento, si sono trovati con minori risorse su cui rivalersi.
La Difesa dell’Imputato e il Ricorso in Cassazione
L’imputato ha presentato ricorso per cassazione, basando la sua difesa su un unico motivo: la Corte d’Appello avrebbe erroneamente ignorato le prove che dimostravano l’esistenza di un suo credito nei confronti della società, di importo superiore alla somma contestata.
A sostegno della sua tesi, ha prodotto un decreto ingiuntivo non opposto, emesso dal giudice del lavoro, e una scrittura privata di mutuo. Secondo la difesa, questi documenti avrebbero dovuto provare che il versamento ricevuto non era una distrazione, ma una legittima compensazione di un debito che la società aveva nei suoi confronti.
La Decisione della Corte: Ricorso Inammissibile
La Suprema Corte ha respinto il ricorso, dichiarandolo inammissibile. I giudici hanno ritenuto le argomentazioni difensive non idonee a scalfire la solidità della condanna pronunciata nei gradi precedenti, confermando la responsabilità dell’imputato per il reato di bancarotta fraudolenta.
Le Motivazioni: Perché il Credito Non Giustifica la Bancarotta Fraudolenta
Le motivazioni della sentenza sono cruciali per comprendere i principi applicati. La Corte ha smontato la tesi difensiva attraverso tre argomenti principali:
1. Incongruenza degli Importi: I giudici hanno evidenziato una palese discrepanza. Il credito certo e documentato dal decreto ingiuntivo ammontava a circa 21.500 euro, una cifra nettamente inferiore ai 37.000 euro che l’imputato aveva ricevuto dalla società. Questa differenza rendeva la tesi della compensazione inefficace a giustificare l’intera operazione.
2. Inverosimiglianza dell’Inconsapevolezza: La Corte ha ritenuto del tutto inverosimile che un socio, detentore di una quota significativa del 49%, potesse essere all’oscuro dello stato di decozione della società. La sua posizione all’interno dell’azienda implicava una conoscenza della grave crisi finanziaria, elemento che rafforza l’ipotesi di una volontà cosciente di sottrarre risorse a danno dei creditori.
3. Anomalia della Procedura: Riguardo al presunto rimborso di un mutuo contratto dalla società, la Corte ha sollevato un’obiezione logica e giuridica. Se l’intento fosse stato quello di estinguere un debito della società, il pagamento avrebbe dovuto essere effettuato direttamente al creditore originario (il mutuante), non al socio. L’erogazione di fondi al socio stesso è stata interpretata come un’operazione anomala, finalizzata unicamente a spostare il patrimonio fuori dalla portata dei creditori.
Conclusioni: Implicazioni per Soci e Amministratori
Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale nel diritto fallimentare e penale: vantare un credito verso la propria società non conferisce una “licenza di prelievo” dal patrimonio sociale. Qualsiasi operazione finanziaria che coinvolga soci e amministratori, specialmente in un contesto di crisi aziendale, deve essere trasparente, giustificata e non deve ledere il principio della par condicio creditorum, ovvero la parità di trattamento dei creditori.
La decisione serve da monito: i tribunali esaminano con estremo rigore le transazioni sospette che precedono un fallimento. La difesa basata su presunte compensazioni deve essere supportata da prove chiare, coerenti e logicamente ineccepibili. In caso contrario, il rischio è quello di passare da creditori a imputati per il grave reato di bancarotta fraudolenta.
Un socio che vanta un credito verso la propria società può prelevare fondi aziendali per compensarlo?
Non indiscriminatamente. Secondo questa sentenza, se la società è in stato di crisi, tale prelievo può essere considerato bancarotta fraudolenta, soprattutto se l’importo prelevato è superiore al credito certo o se l’operazione danneggia gli altri creditori.
Perché il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato giudicato inammissibile perché non affrontava in modo adeguato le motivazioni della corte precedente. In particolare, il credito provato era inferiore alla somma distratta e la tesi difensiva sulla restituzione di un mutuo è stata ritenuta illogica e non verosimile.
Quanto è importante la consapevolezza dello stato di crisi della società nel reato di bancarotta fraudolenta?
È un elemento cruciale. La Corte ha sottolineato che è inverosimile che un socio con una quota del 49% non fosse a conoscenza della situazione finanziaria critica. Questa consapevolezza (il dolo) è un presupposto fondamentale per configurare il reato di bancarotta fraudolenta, in quanto dimostra l’intenzione di agire a danno dei creditori.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 5959 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 5959 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a L’Aquila il DATA_NASCITA;
avverso la sentenza del 17 febbraio 2023 della Corte d’appello di L’Aquila;
conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le ricorso;
letta la memoria depositata il 6 dicembre 2023, dall’AVV_NOTAIO;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 17 febbraio 2023, la Corte d’appello di L’Aquila, confermando la condanna pronunciata in primo grado, ha ritenuto NOME COGNOME responsabile, nella sua qualità di socio della RAGIONE_SOCIALE (dichiarata fallita I’ll maggio 2015) e in concorso con l’amministratore della predetta società, del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, per aver distratto la somma di euro 37.219,57 erogati in suo favore e mai restituiti.
Ricorre per cassazione l’imputato formulando un unico motivo di censura, formulato sotto i profili della violazione di legge e del connesso vizio di motivazione, a mezzo del quale deduce che la Corte territoriale non avrebbe rilevato (travisando la relativa documentazione depositata) l’esistenza di un credito, di importo superiore all’asserita distrazione, da lui vantato nei confronti della società, portato dal decreto ingiuntivo emesso dal giudice del lavoro (non opposto e, quindi, con valore di giudicato nei confronti della società) e dalla parallela scrittura privata di mutuo dal quale si evincerebbe che il COGNOME stava rimborsando il debito della società nei confronti del mutuante.
Il 6 dicembre 2023, l’AVV_NOTAIO ha depositato una memoria con la quale insiste per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
In primo luogo in ragione della preclusione conseguente alla concorde valutazione effettuata dai giudici di merito (Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, S., Rv. 277758). In ogni caso, perché non si confronta con le analitiche motivazioni offerte dalla Corte territoriale, che ha dato atto di come il credito portato dal decreto ingiuntivo (pari a 21.597 euro) fosse inferiore alle somme versate in suo favore e, quindi, inidoneo a giustificarne l’erogazione. Tanto più che non sarebbe verosimile una sua pur asserita inconsapevolezza dello stato di decozione della società in ragione della sua significativa partecipazione (pari al 49%).
Quanto all’asserito rimborso del mutuo erogato in favore della società, non si comprende come l’eventuale esistenza di tale debito possa giustificare un’erogazione in favore del socio e non, direttamente, nei confronti del creditore.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.