Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 45288 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 45288 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PALERMO il 07/07/1976
avverso la sentenza del 30/11/2023 della Corte d’appello di Palermo
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette la requisitoria e le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
lette le conclusioni, depositate dall’avvocato COGNOME nell’interesse della parte civile RAGIONE_SOCIALE, con le quali si chiede l’inammissibilità o, in s ubordine, il rigetto del ricorso, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali;
lette le conclusioni degli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME che per il ricorrente hanno replicato alle conclusioni della Procura generale, illustrando ulteriormente i motivi di ricorso e chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Palermo, con la sentenza emessa il 30 novembre 2023, confermava quella del G.u.p. del Tribunale palermitano, che, per quanto qui rilievo, aveva accertato la penale responsabilità di NOME COGNOME, in ordine ai delitti di bancarotta societaria da causazione del fallimento ovvero per effetto di operazioni dolose (capo C), nonché di bancarotta societaria fraudolenta per distrazione (capo D), commessi nella qualità di amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita con sentenza del Tribunale civile palermitano emessa in data 8 febbraio 2016.
In particolare, quanto alla condotta sub capo C), il cagionamento del fallimen to o le operazioni dolose consistevano nell’avere aggravato il dissesto dando attuazione alla delibera con la quale veniva assegnato allo stesso COGNOME, nella qualità di direttore tecnico, l’importo di 15mila euro. La delibera era stata assunta in sede d i assemblea ordinaria del 30 giugno 2015, ove l’imputato interveniva quale socio di maggioranza e presidente della assemblea medesima, nella qualità di amministratore unico.
Quanto al capo D), invece, veniva ritenuta sussistente la distrazione di: d1) euro 7500,00, dovuta alla società fallita da parte della debitrice RAGIONE_SOCIALE , della quale lo stesso COGNOME era socio, quale canone di locazione per un immobile in Palermo, che veniva ad essere oggetto della compensazione di un debito personale di pari importo che COGNOME vantava vero la RAGIONE_SOCIALE a titolo di «prestito infruttifero soci»; d2) euro 18mila movimentati attraverso nove bonifici dai conti della società fallita all’imputato, aventi causale «acconto di INDIRIZZO»; d3) euro 30.717,59 , mediante bonifici e prelievi eseguiti dal conto della società fallita subito prima della dichiarazione di fallimento; d4) euro 21mila movimentati con un assegno in favore della società RAGIONE_SOCIALE, della quale l’imputato era amministratore, incassato nel mese di aprile 2015 a titolo di acconto sull’acquisto di un immobile in Palermo, acquisto mai definito.
Il ricorso per cassazione proposto nell’interesse di NOME COGNOME consta di sei motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Il primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione, lamentando il ricorrente che la Corte territoriale non abbia fatto buon governo del principio per cui integra il delitto di bancarotta preferenziale -estinto per prescrizione nel caso in esame -e non di bancarotta fraudolenta distrattiva, il pagamento effettuato dalla società all’amministratore, in caso di delibera esistente e congruo compenso rispetto alla prestazione assicurata.
A riguardo, il motivo di ricorso lamenta che nel caso in esame esisteva la delibera e nessun accertamento, quanto alla congruità del compenso, avrebbe svolto la Corte di merito -nonostante l’orientamento sul punto della giurisprudenza di legittimità -errando nel valorizzare lo stato di decozione, del tutto irrilevante rispetto al caso in esame, per altro non essendosi confrontata la sentenza impugnata con la circostanza che solo alcuni dei protesti indicati dal G.u.p. nella sentenza di primo grado risultavano poi ammessi allo stato passivo.
Il secondo motivo deduce vizio di motivazione in ordine alla condotta distrattiva d1). A fronte della ritenuta compensazione fra il debito di COGNOME -pari a 7.500,00 euro -verso la RAGIONE_SOCIALE e del credito vantato dalla fallita verso la medesima società -per 16.150,00 euro -il ricorrente lamenta contraddittorietà e illogicità della sentenza.
Quanto al primo vizio, lo stesso conseguirebbe alla circostanza che la sentenza per un verso dava atto che il denaro da COGNOME veniva portato indebitamente in compensazione di un proprio debito, ma al tempo stesso affermava che l’imputato lo aveva incassato direttamente senza mai versarlo nelle casse della società.
Quanto al secondo profilo, lo stesso riguarderebbe le dichiarazioni rese dalla amministratrice della società RAGIONE_SOCIALE, COGNOME, che descriveva il meccanismo della compensazione del debito di COGNOME verso tale società con il credito vantato dalla fallita, ma la sentenza impugnata attribuiva a COGNOME un credito personale verso la società RAGIONE_SOCIALE.
Difetterebbe, poi, anche una motivazione in ordine alla censura mossa con l’appello , quanto alla circostanza che la dichiarazione di COGNOME risulterebbe autoindiziante: la dichiarante avrebbe concorso nell’aggravamento , rendendo così inutilizzabile la dichiarazione anche se in giudizio abbreviato, e comunque non riscontrata, in quanto generico sarebbe il richiamo alla documentazione bancaria. Né l’argomentazione della Corte di appello, relativa alla natura non autoindiziante della dichiarazione di COGNOME è immune da vizi, in quanto la stessa era ben consapevole di aver compensato il proprio debito con quello di soggetto diverso dal creditore e, dunque, non legittimato. Inoltre, data la non terzietà della dichiarante, occorreva dare conto della attendibilità della stessa ex art. 192 cod. proc. pen.
Infine, la Corte di appello non si sarebbe confrontata con la consulenza della difesa che rilevava come parte del credito della RAGIONE_SOCIALE verso RAGIONE_SOCIALE era stato ceduto ad alcuni fornitori della prima, che dunque furono pagati, complessivamente per 9932,00 euro da tale ultima società.
Il terzo motivo di ricorso lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla condotta sub d2).
L’argomento che sia fittizia l’operazione di vendita quale causa dei pagamenti ricevuti dall’imputato , per l’assenza del contratto preliminare in favore della fallenda dell’immobile di proprietà di COGNOME risulterebbe illogico rispetto all’ipotesi che possa procedersi direttamente alla vendita e , comunque, difetta ogni valutazione delle censure mosse sul punto.
Il quarto motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla condotta sub d3).
La Corte di appello non avrebbe valutato la consulenza di parte e i relativi allegati, attestanti la destinazione sociale dei prelievi effettuati.
Il quinto motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla condotta sub d4).
A differenza di quanto ritenuto dalla sentenza impugnata il versamento dell’acconto di 21mila euro risultava comprovato dalla scheda contabile di RAGIONE_SOCIALE, cosicchè la tesi della fittizietà dell’operazione risulta infondata, come anche non è stato considerato che l’amministratore di RAGIONE_SOCIALE dal 7 ottobre 2015, dopo il pagamento della menzionata caparra, non è più COGNOME, ma COGNOME che ebbe a incassare la caparra quale penale per la società RAGIONE_SOCIALE, facendo valere il termine essenziale per la stipula del definitivo.
Alla data del versamento della caparra la situazione della fallita non era ancora di decozione, cosicché non si verte in tema di indice di fraudolenza, e comunque anche l’eventuale stato di decozione non integrerebbe il dolo specifico ri chiesto e il nesso causale fra la condotta di COGNOME e il fallimento.
Quanto al sesto motivo, deduce il ricorrente violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alle non riconosciute circostanze attenuanti generiche e alla dosimetria della pena, trascurando la Corte territoriale l’arco temporale ristretto delle condotte contestate, la circostanza che la decozione derivava dalla morosità del debitore Policlinico di Palermo, e comunque il patrimonio immobiliare garantiva i creditori. Come pure non valutata risultava l’assoluzione per gli ulteriori reati che avrebbe dovuto condurre alla attenuazione e riduzione della pena, risultando
invece privo di motivazione l’aumento per la continuazione fallimentare di mesi sei di reclusione.
Il ricorso, depositato dopo il 30 giugno 2024, è stato trattato senza l’intervento delle parti, ai sensi del rinnovato art. 611 cod. proc. pen., come modificato dal d.lgs. n. 150 del 2022 e successive integrazioni,
Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso, osservando come il primo motivo sia manifestamente infondato e generico, oltre che versato in fatto; i motivi dal secondo al quinto mirano a una non consentita rivalutazione nel merito della prova, e in ordine al punto d1), «a parte alcune imprecisioni lessicali nella motivazione ove per chiaro errore materiale si indica l’imputato creditore verso la società debitrice della fallita», «rimane oggettivamente incontestata nel motivo di ricorso la sostanza economica della operazione avente un effetto di depauperazione fraudolenta del patrimonio sociale»; quanto al punto d2) «le censure non contrastano nella sos tanza l’operazione, ma si limitano a obiettare che non sarebbe necessario dare dimostrazione del contratto preliminare per iscritto, sottraendosi invece al confronto con la sentenza impugnata su quanto in essa argomentato in ordine al conflitto di interessi tra chi paga e chi riceve, quanto alla tempistica prossima al fallimento della operazione, quanto alla inverosimile assenza di qualsiasi documentazione contrattuale giustificativa dell’operazione »; doglianze della stessa genericità sono quelle relative ai prelievi di cassa in assenza di giustificazione documentale, a fronte di contabilità mancante ( sub d3), ↔ rivestendo l’imputato al momento della operazione commerciale il doppio ruolo di amministratore e legale rappresentante delle due parti contrattuali non essendo apprezzabili nei motivi di censura le ragioni per cui fosse da attribuire a tale modifica soggettiva il depauperamento della società e non già nella operazione effettivamente contestata, priva di giustificativo contrattuale, posta in essere dall’imputato »; infine corretta risulta la negazione delle circostanze attenuanti generiche per assenza di elementi positivi e la dosimetria della pena, vertendosi in tema di pena nel minimo edittale con aumento per la continuazione contenuto.
Il difensore della parte civile ha depositato conclusioni, chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso o rigettarlo in subordine, rappresentando come si verta in tema di cd. doppia conforme con delibazione del medesimo materiale probatorio e motivazione di secondo grado immune da vizi logici, consistendo le
doglianze proposte in censure non consentite in quanto versate in fatto e proponenti una non possibile rilettura del materiale probatorio.
Il ricorrente, a mezzo del difensore, ha depositato conclusioni in replica a quelle della Procura generale, rappresentando quanto al capo C), che la doglianza propone una riqualificazione della condotta in bancarotta preferenziale, quindi una violazione di legge e non un vizio di motivazione non consentito; quanto al capo sub d2), insistendo ulteriormente nelle ragioni di ricorso, esplicitando la contraddizione logica della motivazione, che non può essere minimizzata a imprecisione lessicale, come invece rileva la Procura generale, come anche gli argomenti quanto alla inutilizzabilità e alla assenza di riscontri relativi alle dichiarazioni di COGNOME; anche in relazione agli ulteriori capi viene dedotta la irrilevanza del conflitto di interessi e la sussistenza di annotazioni contabili attestanti le ragioni del pagamento (capo d3), controdeducendo sulla assenza di prova di un accordo pregresso fra l’imputato e il terzo che ebbe a procedere all’incasso (capo d4) e ribadendo i motivi di ricorso quanto al trattamento sanzionatorio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è complessivamente infondato.
In ordine al primo motivo di ricorso va osservato quanto segue.
2.1 Va premesso che il richiamo alla sentenza di questa Corte di cassazione, Sez. 5, n. 36416 del 11/05/2023, COGNOME, Rv. 285115 -01, come anche a Sez. 5, n. 21570 del 16/04/2010, COGNOME, Rv. 247964 -01 e Sez. 5, n. 48017 del 10/07/2015, COGNOME, Rv. 266311 -01, non è pertinente al caso in esame.
Le citate pronunce afferivano al diverso caso dei prelievi effettuati dall’amministra tore di società fallita correlati al compenso spettantegli in ordine alla prestazione assicurata come amministratore, affermando Sez. 5 Ciri che, in tema di bancarotta fraudolenta, spetta al giudice di merito verificare se, in assenza di una delibera assembleare o di una quantificazione statutaria del compenso per l’attività svolta, cui ha diritto il soggetto che abbia ritualmente accettato la carica di amministratore di una società di capitali, il prelevamento da parte di quest’ultimo di denaro dalle casse della società in dissesto configuri il delitto di bancarotta preferenziale o, diversamente, quello di bancarotta fraudolenta per distrazione, a seconda che il diritto al compenso sia correlato o meno a una prestazione effettiva e il prelievo sia o meno congruo rispetto all’impegno profuso. In sostanza l’assenza di delibera assembleare o di previsione statutaria quanto al
compenso risulta indice di fraudolenza ma può condurre alla qualificazione della condotta come di bancarotta preferenziale, e non fraudolenta distrattiva, nel caso in cui il compenso abbia le caratteristiche di congruità rispetto alla prestazione effettiva.
Il caso che riguarda il ricorrente COGNOME invece, risulta del tutto estraneo a tale dinamica, in quanto il compenso deliberato in as semblea per l’importo di 15mila euro e prelevato nella misura di 7.500,00 euro risulta invero dovuto per la prestazione che l’imputato aveva svolto non quale amministratore, bensì quale direttore tecnico di un cantiere in Enna.
È di tutta evidenza, dalla lettura della sentenza del caso COGNOME, che il presupposto dell’argomentare che conduce alla verifica delle effettività della prestazione e della congruità del compenso dell’amministratore , quindi all ‘ accertamento della liquidità e esigibilità del credito, sia la sussistenza di una regolare attribuzione dell’incarico societario di amministratore, che in sé porta il diritto, rinunciabile, al compenso.
Nel caso di prestazione estranea all’incarico di amministratore, come è per quello in esame, si verifica la coincidenza fra amministratore e creditore in relazione a una prestazione diversa da quella propria di amministratore, cosicché l’argomentare di Sez. 5 Ciri e delle altre pronunce citate non è applicabile, in quanto il rapporto creditorio è avulso dalla relazione di immedesimazione fra amministratore e società.
Nel diverso caso in esame, la Corte di appello in modo non manifestamente illogico chiarisce che la delibera di liquidazione del compenso a COGNOME -quale tecnico di lavori svolti ad Enna -non indicava i criteri di liquidazione né supportava con elementi fattuali la congruità della somma, cosicché le doglianze si risolvono in una censura in fatto non consentita a fronte della cd. doppia conforme. Difatti anche il G.u.p. nella sentenza di primo grado rilevava (fol. 17 e s.) la natura assolutamente ingiustificata dell’importo deliberato all’unanimità dalla assemblea, presieduta dallo stesso COGNOME, amministratore unico e socio di maggioranza e alla presenza del socio di minoranza NOME COGNOME circostanza questa, anche rimarcata dalla Corte di appello. Inoltre, anche il G.u.p. rilevava l’assenza di documentazione a sostegno del compenso fondato genericamente sulla «cospicuità dei lavori».
In tale prospettiva infondato è il motivo di ricorso , in quanto l’argomentare delle sentenze di merito esclude la sussistenza della certezza, liquidità ed esigibilità del credito, il che fa rifluire la condotta in quella della bancarotta distrattiva e non preferenziale, non essendo certo, come osserva senza aporie logiche la Corte di appello, né l’ an né il quantum del credito arbitrariamente liquidato.
D’altro canto, pacificamente , è proprio quello della inesigibilità del credito -che in sé implica la certezza e la liquidità, mancanti nel caso in esame -il criterio distintivo fra bancarotta distrattiva e preferenziale nel consolidato orientamento di questa Corte (cfr. Sez. 5, n. 27446 del 08/03/2024, COGNOME, Rv. 286623 -01, che ha affermato che il prelievo di somme di denaro a titolo di restituzione dei versamenti operati dai soci in conto capitale -o indicati con analoga dizione -integra la fattispecie della bancarotta fraudolenta per distrazione non dando luogo tali versamenti ad un credito esigibile nel corso della vita della società, mentre il prelievo di somme quale restituzione dei versamenti operati dai soci a titolo di mutuo, determinando il sorgere in capo a questi ultimi di un credito chirografario, effettivo ed esigibile, integra la fattispecie di bancarotta preferenziale; conf. N. 32930 del 2021 Rv. 281872 – 01, N. 14908 del 2008 Rv. 239487 – 01, N. 3880 del 2023 Rv. 284309 – 01, N. 1793 del 2012 Rv. 252003 – 01, N. 8431 del 2019 Rv. 276031 -01).
2.2 Va inoltre rilevato che l’imputazione sub capo C), alla quale si correla il motivo in esame, è quella di bancarotta impropria da causazione del fallimento o per effetto di operazioni dolose, ex art. 223, comma 2, n. 2, l. fall.
La motivazione ora impugnata è tesa a argomentare in ordine al delitto di bancarotta fraudolenta societaria per distrazione e va evidenziato come tale riqualificazione, implicita, in quanto non rifluita in una espressa valutazione sul punto da parte dei Giudici di merito, risulti accettata e non contestata da parte della difesa del ricorrente, che, anche con il motivo di ricorso ha chiesto solo che la ritenuta bancarotta fraudolenta distrattiva sia ricondotta alla fattispecie di bancarotta preferenziale.
A ben vedere già la sentenza di primo grado, al fol. 18, chiaramente indicava il reato sub capo C) come bancarotta fraudolenta per distrazione, confermata poi dalla Corte di appello, che motivava, a fronte dell’ impugnazione, sempre sulla configurabilità della bancarotta fraudolenta per distrazione rispetto a quella preferenziale, cosicché la difesa è stata nel doppio grado in condizione di verificare e eventualmente contestare la diversa qualificazione giuridica ritenuta in sentenza rispetto a quella proposta dall’imputazione , circostanza che non si è verificata, avendo invece accettato la riqualificazione, facendo leva sulla stessa per sollecitare la ulteriore riqualificazione nel meno grave delitto di bancarotta preferenziale.
2.3 Ne consegue la infondatezza del motivo primo di ricorso, essendo corretta la riqualificazione operata dalla Corte di appello e non corretto il richiamo alla giurisprudenza in tema di bancarotta preferenziale per il compenso dell’amministratore in ordine alle attività svolte in tale qualità, per quanto in precedenza evidenziato.
Quanto al secondo motivo, acclarata dalla Corte di appello -e non contestata -è la circostanza che COGNOME era debitore verso la società RAGIONE_SOCIALE, in quanto socio della stessa che aveva fruito di «prestiti infruttiferi soci» per il valore di 7500,00 euro.
La Guardia di finanza, come emerge dalla sentenza di primo grado (foll. 20 e ss.), accertava che il 13 luglio 2015 l’importo menzionato, corrispondente ai canoni di locazione maturati per un immobile, dovuti dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE, veniva invece pagato al COGNOME, che non versava tale importo sul conto corrente della società creditrice, che amministrava, bensì lo «reimpiegava» in relazione ai prestiti infruttiferi nella RAGIONE_SOCIALE.lRAGIONE_SOCIALE
A ben vedere la prima censura, che lamenta che la sentenza ora impugnata risulterebbe contraddittoria, non si confronta con il dato che ‘ compensazione ‘ non avvenne senza spostamento del denaro, bensì proprio operando lo spostamento dello stesso.
Il riferimento alla ‘compensazione’ deve intendersi richiamato ne ll’imputazione in modo atecnico, in quanto il presupposto della forma satisfattoria evocata è l’identità dei soggetti, ex art. 1241 cod. civ. («Quando due persone sono obbligate l’una verso l’altra…» ) e l’assenza di spostamento del denaro.
D’altro canto, è la stessa Corte di appello che chiarisce che COGNOME, amministratrice della società debitrice, abbia effettuato materialmente il pagamento al soggetto legittimato, COGNOME quale amministratore della società creditrice.
COGNOME poi, nella ricostruzione di merito, non ha immesso nelle casse sociali della RAGIONE_SOCIALE l’importo e l’ha riutilizzato per estinguere il proprio debito presso la RAGIONE_SOCIALE
Ciò dimostra -nella non illogica argomentazione delle sentenze di merito -che COGNOME ha sottratto denaro spettante alla società fallita, avvalendosi della qualità di amministratore e utilizzando l’importo a fini personali: in tal senso non rileva che il denaro non sia entrato nelle casse sociali della fallenda, in quanto la distrazione non deve avere necessariamente ad oggetto somme di denaro, entrate fisicamente nelle casse sociali, ed è configurabile anche in caso di un indebito vantaggio patrimoniale realizzato in favore di un terzo estraneo alla società, con riduzione del patrimonio della fallita e quindi della garanzia per i creditori (cfr. anche Sez. 5, n. 14380 del 14/10/1999, COGNOME, Rv. 215186 -01).
In conclusione, proprio la ricostruita dinamica -che vede l’effettività dei pagamenti e non la compensazione in senso tecnico -come già rilevava la sentenza di primo grado qualificando l’operazione come «reimpiego» (fol. 21), rende logica anche la motivazione qui impugnata, che quindi non si contraddice
riferendo di un incasso della somma da parte di COGNOME che agiva quale amministratore della società creditrice, tanto da essere pagato dalla debitrice nella qualità (fol. 13 della sentenza impugnata).
Per altro, il riferimento ai crediti in luogo dei debiti, nell’intero contesto dell’argomentazi one della Corte di appello, risulta sostanzialmente un errore materiale marginale e non decisivo.
Quanto, poi alla circostanza che le dichiarazioni di COGNOME sarebbero autoindizianti, la Corte di appello spiega come il ruolo di COGNOME -amministratore della creditrice -escluda che la dichiarante avesse contezza che il denaro fosse destinato alle casse private dello stesso senza transitare nelle casse della società. La circostanza che COGNOME abbia riferito che il pagamento fu utilizzato per compens are il debito di COGNOME non ne implica la responsabilità per l’operazione, non emergendo in alcun modo che dovesse avere contezza degli interna corporis della fallenda.
Si tratta di argomentazione, quella della Corte di appello, non manifestamente illogica, quindi non sindacabile in questa sede, in quanto -come affermato da Sez. U, n. 15208 del 25/02/2010, Mills, Rv. 246584 -01, in tema di prova dichiarativa, allorché venga in rilievo la veste che può assumere il dichiarante, spetta al giudice il potere di verificare in termini sostanziali, e quindi al di là del riscontro di indici formali, come l’eventuale già intervenuta iscrizione nominativa nel registro delle notizie di reato, l’attribuibilità allo stesso della qualità di indagato nel momento in cui le dichiarazioni stesse vengano rese, e il relativo accertamento si sottrae, se congruamente motivato, al sindacato di legittimità (nello stesso senso, Sez. 4, n. 46203 del 19/09/2019 , COGNOME, Rv. 277947 -01; conf.: N. 20098 del 2016 Rv. 267129 – 01, N. 51840 del 2013 Rv. 258069 -01).
Infine, quanto ai riscontri documentali, la Corte di appello li richiama, la sentenza di primo grado li cita esplicitamente, facendo riferimento alla informativa della Guardia di finanza, e il ricorrente, per smentire il contenuto degli stessi, avrebbe dovuto censurare un travisamento per inesistenza della prova, ma ciò non è avvenuto in modo specifico, con l’allegazione della informativa richiamata e degli atti correlati.
Pertanto, anche le dichiarazioni di COGNOME, in vero non decisive a fronte della ricostruzione documentale, restano comunque riscontrare da queste ultime, cosicché non manifestamente illogica è a valutazione della prova correttamente operata ex art. 192 cod. proc. pen.
Ne consegue la infondatezza del motivo.
Quanto al terzo e quinto motivo, strettamente connessi in quanto si versa in tema di trasferimenti immobiliari, per il capo sub d2), COGNOME riceveva dalla
società fallenda, nella doppia veste di proprietario di 1/3 dell’immobile in INDIRIZZO e amministratore acquirente , l’importo di 18mila euro. Va evidenziato come la sentenza impugnata correttamente faccia riferimento all’assenza di scritture che attestino la causa dei pagamenti, in quanto risulta evidente per la Corte palermitana che l’assenza di un contratto preliminare costituisca un deficit di garanzie per la società acquirente, che COGNOME doveva tutelare. Si tratta di argomento corretto e logico, cosicché la dazione di 18mila euro viene qualificata in modo congruo esclusivamente una distrazione senza causa di denaro per finalità non sociali, tanto che alcuna iniziativa di recupero fu posta in essere dall’amministratore a tutela della società per la mancata definizione del trasferimento.
Analogamente corretta e non viziata è la motivazione impugnata quanto alla condotta sub d4) che valorizza il conflitto di interessi, nonché l’assenza di scritture che potessero garantire la società fallita, amministrata da COGNOME, che aveva versato un acconto in favore della COGNOME immobiliare, anche amministrata dall’attuale imputato.
La circostanza che vi sia stata annotazione nella contabilità di NOME dell’acconto versato, come anche che sia subentrato altro amministratore che avrebbe trattenuto l’acconto quale caparra, resta nell’ambito delle affermazioni del ricorrente, a fronte della sentenza di primo grado che evidenziava come anche il nuovo amministratore non sapesse dell’esistenza di documentazione giustificativa dell’op erazione (fol. 23 della sentenza di primo grado). In tal senso, la Corte di appello evidenzia come non sia stata documentata dall ‘appellante l’effettività dell’operazione immobiliare e il motivo ora in esame si limita a richiamare la consulenza tecnica allegata al ricorso in modo assolutamente generico.
Resta il dato che comunque l’operazione risulta assolutamente inadeguata a tutelare le ragioni della società fallita, che per altro, amministrata da COGNOME, non esperisce alcuna azione per il recupero della somma versata.
La motivazione impugnata, ravvisando nelle operazioni in esame l’assenza di contratto a tutela della società fallita, come anche il conflitto di interessi del COGNOME e lo stato di decozione della società al momento delle operazioni, fa buon governo del principio per cui, in tema di bancarotta fraudolenta per distrazione, l’accertamento dell’elemento oggettivo della concreta pericolosità del fatto distrattivo e del dolo generico deve valorizzare la ricerca di “indici di fraudolenza”, rinvenibili, ad esempio, nella disamina della condotta alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell’azienda, nel contesto in cui l’impresa ha operato, avuto riguardo a cointeressenze dell’amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte, nella irriducibile estraneità del fatto generatore dello squilibrio tra attività e passività rispetto a canoni di ragionevolezza imprenditoriale, necessari a
dar corpo, da un lato, alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell’integrità del patrimonio dell’impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori, e, dall’altro, all’accertamento in capo all’agente della consapevolezza e volontà della condotta in concreto pericolosa (Sez. 5, Sentenza n. 38396 del 23/06/2017, COGNOME, Rv. 270763).
Né l’inedito riferimento all’art. 2475 -ter cod. civ., che viene evocato solo in sede di conclusioni, risulta valutabile, fermo restando che, per un verso, si tratta solo di uno degli indici di fraudolenza -l’argomento , inoltre, non viene prospettato come decisivo -e, per altro verso, sussiste nel caso di specie l’evidente contrasto dell’atto dispositivo con l’interesse sociale della fallita, per quanto evidenziato dalle sentenze di merito, il che renderebbe comunque annullabile il contratto.
L’ul timo motivo esaminato fa riferimento alla necessità del dolo specifico, ma sul punto è del tutto infondato: infatti, l’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è costituito dal dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016 dep. 27/05/2016, COGNOME e altro, Rv. 26680501).
Ne consegue l’infondatezza dei motivi.
Quanto al quarto motivo relativo al capo sub 3), lo stesso è infondato.
La Corte di appello rende conto dell’assenza di giustificazione dei prelievi, chiarendo che l’imputato non ha fornito la prova della destinazione sociale degli stessi.
Pertanto, certi i prelievi, trova applicazione il principio per cui la prova della distrazione può essere desunta anche dalla mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore, della destinazione al soddisfacimento delle esigenze della società dei beni.
Nel caso in esame da parte dell’imputato alcuna spiegazione in ordine alla destinazione aziendale dei beni risulta offerta, né richiamata neanche dal ricorso. E in tal senso assolutamente consolidato è l’orientamento che trae la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della società dichiarata fallita dalla mancata dimostrazione, ad opera dell’amministratore, della destinazione dei suddetti beni (Sez. 5, n. 8260/16 del 22 settembre 2015, Aucello, Rv. 267710; Sez. 5, n. 19896 del 7 marzo 2014, COGNOME, Rv. 259848; Sez. 5, n. 11095 del 13 febbraio 2014, COGNOME, Rv. 262740; Sez. 5, n. 22894 del 17 aprile 2013, COGNOME, RV. 255385; Sez. 5, n. 7048/09 del 27 novembre 2008, COGNOME, Rv. 243295; Sez. 5, n. 3400/05 del 15 dicembre 2004, COGNOME, Rv. 231411).
Solo nel caso in cui vi sia una indicazione specifica della destinazione aziendale dei beni da parte del fallito, il giudice non può ignorarne l’affermazione, quando però le informazioni fornite alla curatela, al fine di consentire il rinvenimento dei beni potenzialmente distratti, siano specifiche e consentano il recupero degli stessi ovvero l’individuazione della effettiva destinazione (Sez. 5, n. 17228 del 17/01/2020, Costantino, Rv. 279204 -01; mass. conf. n. 19896 del 2014 Rv. 259848 – 01). Ma nel caso in esame non risulta alcuna informazione fornita alla curatela da parte di COGNOME né tantomeno il rinvio alla consulenza tecnica allegata al ricorso -che comunque sollecita una valutazione non consentita a questa Corte, se non in caso di formale travisamento non dedotto -consente di individuare in modo dettagliato i destinatari degli asseriti pagamenti, come richiesto dal consolidato principio di diritto ora richiamato.
In ordine al sesto motivo, sia per l’aumento per la cd. continuazione fallimentare, da considerarsi circostanza aggravante, sia per l’esclusione delle circostanze attenuanti generiche, sono state valutate la condotta rilevante in favore di sé stesso e delle società facenti capo all’imputato e la natura reiterata delle distrazioni, a riprova della intensità del dolo. Per escludere le circostanze attenuanti generiche si tratta di motivazione adeguata, ben potendo il Giudice esercitare la relativa discrezionalità nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo, anche quindi limitandosi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod.pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio ( ex multis Sez. 6 n. 41365 del 28 ottobre 2010, Straface, rv 248737; Sez. 2, n. 3609 del 18 gennaio 2011, COGNOME e altri, Rv. 249163; Sez. 5, n. 43952 del 13 aprile 2017, COGNOME, Rv. 271269). Quanto all’aumento per la continuazione fallimentare il parametro valutativo è desumibile dal testo della sentenza nel suo complesso argomentativo, non dovendo essere tratto necessariamente solo dalla parte destinata alla quantificazione della pena (Sez. 3, n. 38251 del 15/06/2016, COGNOME, Rv. 267949).
Quanto alla pena base, la stessa è determinata nel minimo e non richiede alcuna motivazione a riguardo.
Il motivo è quindi infondato.
Ne consegue il complessivo rigetto del ricorso, con condanna alle spese processuali del ricorrente. Al rigetto consegue anche la condanna alla rifusione delle spese processuali in favore della parte civile, che vanno liquidate nella misura di euro 3.800,00., oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, il ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che liquida in complessivi euro 3.800,00, oltre accessori di legge.
Così deciso il 07/11/2024