Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 21811 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 21811 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto dalla parte civile COGNOME NOMECOGNOME nato a Brescia il 21/11/1964
nel procedimento a carico degli imputati COGNOME NOMECOGNOME nato a Brescia il 07/03/1964; COGNOME nata a Brescia il 02/08/1974; COGNOME NOMECOGNOME nato a Brescia il 19/04/1970; COGNOME NOMECOGNOME nato a Castegnato il 29/12/1960
inoltre:
COGNOME NOMECOGNOME
COGNOME NOME erede di COGNOME NOME;
avverso la sentenza emessa il 29/06/2023 dalla Corte di appello di Brescia visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
sentite, nell’interesse degli imputati, le seguenti conclusioni:
l’avv. NOME COGNOME nell’interesse di COGNOME, ha chiesto il rigetto del ricorso;
l’avv. NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME ha chiesto l’inammissibilità e, in via subordinata, il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa il 17 dicembre 2017 il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Brescia, procedimento con giudizio abbreviato, assolveva gli imputati NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME dai delitti rispettivamente ascrittigli ai capi A, B, C, D, E e F della rubrica perché il fatto non costituisce reato.
Con sentenza pronunciata l’1 giugno 2020 la Corte . di appello di Brescia, pronunciandosi sull’impugnazione del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brescia, del Procuratore generale presso la Corte di appello di Brescia e della parte civile NOME COGNOME in parziale riforma della decisione di primo grado, giudicava NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME colpevoli dei reati rispettivamente ascrittigli ai capi E e F della rubrica.
Conseguiva a tali statuizioni la condanna degli imputati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME alla pena di tre anni di reclusione, oltre che alle pene accessorie dell’interdizione dai pubblici uffici, dell’inabilitazione all’esercizi di un’impresa commerciale e dell’incapacità a ricoprire uffici direttivi presso qualsiasi impresa per la durata di cinque anni.
Conseguiva, inoltre, a tali statuizioni la condanna dell’imputata NOME COGNOME alla pena di anni due e mesi quattro di reclusione, oltre che alle pene accessorie dell’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e dell’incapacità a ricoprire uffici direttivi presso qualsiasi impresa per la durata d quattro anni.
Infine, gli imputati NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME, in solido tra loro, venivano condannati al risarcimento dei danni subiti dalla parte civile costituita, nelle persone degli eredi di NOME COGNOME.
Con sentenza deliberata il 25 febbraio 2022, la Corte di cassazione, Quinta Sezione penale, pronunciandosi sull’impugnazione degli imputati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME annullava la decisione impugnata, pronunciata I’l giugno 2020 dalla Corte di appello di Brescia, disponendo il rinvio per un nuovo giudizio ad altra Sezione della stessa Corte.
Per giungere a queste conclusioni, la Corte di legittimità ripercorreva analiticamente la vicenda processuale, evidenziando che agli imputati NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME erano
contestati i reati di cui ai capi E e F, ai sensi degli artt. 112 cod. pen., 223 comma 1, 216, comma 1, nn. 1 e 2, 219, comma 2, n. 1, legge fall., perché, nelle rispettive qualità gestorie, rivestite nell’ambito della società “RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Brescia del 25 agosto 2009, distraevano, dissipavano e dissimulavano risorse finanziarie e patrimoniali dell’ente societario fallito.
In questa cornice, si contestava al capo E agli imputati, nella loro qualità di amministratori della società “RAGIONE_SOCIALE“, la prestazione di garanzie pignoratizie dell’importo di almeno 1.100.000,00 euro, in favore della società “RAGIONE_SOCIALE“, dalla quale non era derivata alcuna utilità economica per l’ente societario fallito, che, al contrario, aveva aggravato la crisi finanziaria nella quale versava.
Si contestava, inoltre, al capo F agli imputati, la cessione contrattuale di un compendio immobiliare del valore di 7.779.000,00 euro, secondo la stima effettuata dalla curatela fallimentare, che veniva acquistato dalla società “RAGIONE_SOCIALE al prezzo di 4.260.000,00 euro, nell’ambito di un’operazione svantaggiosa per l’ente societario, che veniva gravato di clausole particolarmente svantaggiose.
A sostegno dell’annullamento con rinvio della decisione impugnata, la Corte di cassazione evidenziava che la Corte di appello di Brescia, relativamente all’ipotesi di reato di cui al capo E, non aveva compiuto alcuna verifica contabile finalizzata ad accertare le ragioni contrattuali che avevano portato al rilascio di garanzie pignoratizie in favore della società “RAGIONE_SOCIALE, che andavano contestualizzate alla luce della situazione finanziaria nella quale versavano le imprese della famiglia COGNOME.
Si evidenziava, infatti, che l’ipotesi di reato di cui al capo E non poteva essere valutata isolatamente, ma andava correlata alle vicende criminose contestate agli imputati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME ai capi B, C e D, che, a prescindere dall’esito assolutorio, fornivano un quadro attendibile della situazione finanziaria ,delle imprese della famiglia COGNOME. Queste vicende, del resto, riguardavano operazioni economiche riconducibili alla scelta imprenditoriale della società “RAGIONE_SOCIALE“, che doveva essere valutata unitariamente, di delocalizzare la produzione di ghisa in Tunisia, utilizzando per il compimento di tale attività gli impianti della società “RAGIONE_SOCIALE“, che costituiva un tentativo di uscire dalla crisi nella quale il patrimonio aziendale degli imputati, da tempo, si trovava a fronteggiare.
Né discendeva che, come evidenziato dalla Corte di cassazione, Quinta Sezione penale, nel passaggio motivazionale esplicitato a pagina 18 della
decisione di legittimità in esame, la Corte di appello di Brescia, muovendo «dal presupposto, non del tutto esatto, della mancata contestazione di alcuni degli assunti su cui si fonda l’ipotesi accusatoria – tra i quali il dato emergente dalla relazione ex articolo 33 I. fall. del curatore fallimentare, secondo cui l’importo complessivo sborsato dalla RAGIONE_SOCIALE a seguito dell’escussione delle garanzie prestate a favore della società tunisina raggiungerebbe il valore di euro 4.400.000, dovendo le elargizioni per gli anni successivi al 2006 essere quantificare in euro 3.300.000 – finisce col giungere a conclusioni che si fondano su circostanze non del tutto verificate e non adeguatamente approfondite» (Sez. 5, n. 15633 del 25/02/2022, COGNOME, cit.).
Si evidenziava, al contempo, relativamente all’ipotesi di reato di cui al capo F, che non erano state compiute opportune verifiche contabili, finalizzate ad accertare se la vendita del compendio immobiliare controverso alla società “RAGIONE_SOCIALE” era effettivamente avvenuta sottocosto ovvero se tale alienazione era stata supportata dalla consegna di una somma di denaro integrativa del pagamento, corrisposta illecitamente, come sembrava trasparire dalla stessa decisione impugnata, che lasciava prefigurare una sottostante elusione fiscale.
Si segnalava, in proposito, che, nella sentenza impugnata, si era giunti ad affermare la colpevolezza di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME sulla base di elementi probatori che non risolvevano i dubbi contabili relativi alle modalità di pagamento del compendio immobiliare, non essendo stato chiarendo se per l’acquisto di tali, pur cospicui, cespiti erano state corrisposte ai venditori somme in nero, il cui eventuale versamento avrebbe determinato una radicale modifica dell’utilità economica dell’operazione contestata al capo F, non potendosi, in tal caso, ritenersi attendibile il prezzo di 4.260.000,00 euro indicato nell’imputazione.
Ne derivava che, come segnalato dalla Corte di cassazione, nel passaggio motivazionale esplicitato a pagina 19 della decisione in esame, la Corte di appello di Brescia aveva formulato un giudizio di colpevolezza degli odierni imputati svincolati dalle risultanze processuali, non avendo «adempiuto all’obbligo, sulla stessa gravante, in caso di ribaltamento di pronuncia assolutoria, che impone non solo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio ma anche di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza e non può, invece, limitarsi ad imporre la propria valutazione del compendio probatorio, perché preferibile a quella coltivata nel provvedimento impugnato» (Sez. 5, n. 15633 del 25/02/2022, COGNOME, cit.).
Con sentenza del 29 giugno 2023 la Corte di appello di Brescia, pronunciandosi a seguito dell’annullamento con rinvio deliberato dalla Corte di cassazione, Quinta Sezione penale, con sentenza del 25 febbraio 2022, in parziale riforma della sentenza del Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Brescia del 13 dicembre 2017, assolveva gli imputati NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME dal reato loro ascritto al capo E, perché il fatto non costituisce reato.
Nel resto, la sentenza di primo grado veniva confermata.
Questa pronuncia assolutoria veniva adottata sulla scorta delle verifiche contabili eseguite dal prof. NOME COGNOME che era stato nominato dalla Corte di appello di Brescia, ai sensi dell’art. 603 cod. proc. pen., per compiere gli accertamenti contabili imposti dalla sentenza di annullamento con rinvio pronunciata dalla Corte di cassazione, depositando la sua relazione peritale il 14 aprile 2023.
Gli esiti delle verifiche contabili delegategli dalla Corte di appello di Brescia, favorevoli, sul piano della responsabilità penale, ad NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME, venivano esposte dal prof. NOME COGNOME all’udienza del 9 maggio 2023, nel corso della quale il perito veniva esaminato il contraddittorio con il consulente tecnico degli imputati, il dott. NOME COGNOME.
Dalle verifiche peritali condotte dal prof. NOME COGNOME in particolare, emergeva che le attività societarie svolte da NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, nelle rispettive cariche gestionali, ricoperte all’interno della società “RAGIONE_SOCIALE“, al contrario di quanto sostenuto dal Pubblico ministero, non avevano comportato alcuna dispersione del patrimonio sociale. Infatti, tale dispersione patrimoniale, che pure si era verificata, era dovuta alla crisi del settore produttivo siderurgico bresciano che aveva coinvolto pesantemente l’ente societario fallito, determinando, nel corso del 2008, l’irreversibilità dello stato di insolvenza dell’impresa della famiglia COGNOME.
In questa cornice, il prof. COGNOME evidenziava che le cause del dissesto finanziario nel quale incorreva la società “RAGIONE_SOCIALE“, pur essendo molteplici, erano sostanzialmente riconducibili alla sottovalutazione dei segnali di crisi produttiva e di crescente esposizione debitoria che avevano caratterizzato l’attività imprenditoriale dell’ente societario controverso fin dai primi anni Duemila. Tale crisi produttiva, infine, era definitivamente esplosa nel corso del 2006, a partire dal quale gli imputati NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME pur avendo elaborato strategie imprenditoriali per risolvere i problemi finanziari della loro impresa siderurgica, non erano
riusciti a emergere dalla condizione crescente esposizione debitoria, che avrebbe portato, nel 2008, alla dichiarazione di fallimento della società “RAGIONE_SOCIALE“, che veniva pronunziata dal Tribunale di Brescia con sentenza del 25 agosto 2009,.
Pertanto, secondo la ricostruzione peritale del prof. NOME COGNOME che veniva recepita nella decisione impugnata, per fronteggiare la crisi produttiva che attanagliava la società “RAGIONE_SOCIALE” già dall’inizio degli anni Duemila, gli imputati avevano tentato di effettuare la delocalizzazione della produzione di ghisa in Tunisia, senza considerare la “debolezza strutturale dell’impresa” e determinando un significativo “peggioramento della situazione finanziaria” della loro azienda.
Ne discendeva che la delocalizzazione delle attività produttive in Tunisia, anziché comportare un miglioramento della situazione finanziaria dell’azienda familiare, comportava un aggravamento della sua esposizione debitoria, che rendeva difficoltoso il salvataggio del patrimonio aziendale, determinando, in poco tempo, il definitivo tracollo della società “RAGIONE_SOCIALE, che questa operazione imprenditoriale ex post rivelatasi improvvida – aveva accelerato.
Sulla scorta di questa ricostruzione degli accadimenti criminosi, la Corte di appello di Brescia emetteva le statuizioni assolutorie, relative ai capi E e F della rubrica, nei confronti degli imputati NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Avverso la sentenza di appello NOME COGNOME quale erede di NOME COGNOME già parte civile costituita nel giudizio conclusosi con la sentenza emessa dal Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Brescia del 13 dicembre 2017, proponeva ricorso per cassazione, articolando tre censure difensive.
Con il primo motivo di ricorso si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per non avere la Corte di appello di Brescia tenuto conto del fatto che la prescrizione del reato di cui al capo E maturava alla data del 14 gennaio 2023, con la conseguenza che l’incarico peritale, conferito nel giudizio di rinvio al prof. NOME COGNOME – finalizzato verificare la congruità contabile delle operazioni che avevano portato al rilascio di garanzie pignoratizie dell’importo di almeno 1.100.000,00 euro, in favore della società “RAGIONE_SOCIALE, che era collegata alla società “RAGIONE_SOCIALE” – non poteva essere disposto, atteso tale accertamento avrebbe dovuto svolto per le sole finalità civilistiche oggetto di vaglio giurisdizionale, in violazione d principi affermati dalla sentenza della Corte costituzionale 30 luglio 2021, n. 182,
con cui non ci era confrontati.
Ne discendeva che l’accertamento peritale svolto dal prof. NOME COGNOME sulle garanzie pignoratizie rilasciate in favore della società “RAGIONE_SOCIALE” dagli imputati NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME era avvenuto senza tenere conto dell’intervenuta prescrizione del reato di cui al capo E, che non consentiva il compimento delle verifiche contabili disposte dalla Corte di appello di Brescia dopo l’annullamento con rinvio disposto dalla Corte di cassazione, Quinta Sezione penale, con sentenza del 25 febbraio 2022. In presenza di una causa di estinzione del reato, infatti, il giudice è legittimato a pronunciare una sentenza di assoluzione nei soli casi in cui le circostanze idonee a escludere l’illiceità del fatto, emergano dagli atti in modo incontrovertibile, senza il compimento di alcuna attività di accertamento giurisdizionale.
Con il secondo motivo di ricorso si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, per non avere la Corte di appello di Brescia dato adeguato conto delle ragioni che, relativamente all’ipotesi delittuosa di cui al capo E; imponevano di escludere ogni intento fraudolento nella prestazione di garanzie pignoratizie dell’importo di almeno 1.100.000,00 euro in favore della società “RAGIONE_SOCIALE, pur essendo incontroverso che da tale operazione non era derivata alcuna utilità economica per l’ente societario fallito, come affermato dal curatore intervenuto nel fallimento della società “RAGIONE_SOCIALE“. L’illiceità dell’operazione economica, del resto, doveva ritenersi dimostrata dalla emergenze probatorie, dalle quali si evinceva che il rilascio delle garanzie pignoratizie aveva luogo in favore di una società collegata all’ente societario fallito, che, già in quel periodo, versava in una situazione di grave esposizione debitoria.
Con il terzo motivo di ricorso si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che, relativamente all’ipotesi delittuosa di cui al capo F, desse esaustivamente conto delle ragioni che consentivano di ritenere l’operazione -immobiliare controversa vantaggiosa per la società “RAGIONE_SOCIALE“, a fronte delle conclusioni di segno contrario del perito nominato dal curatore fallimentare, l’ing. NOME COGNOME giustificate da una valutazione comparativa con le attività svolte da altre imprese operanti nello stesso settore commerciale.
Non si era, in questo modo, verificata la congruità contabile della stima del compendio immobiliare controverso, quantificato dall’ing. NOME COGNOME in 7.779.000,00 euro, sebbene tale verifica risultasse indispensabile per formulare un giudizio di responsabilità nei confronti degli imputati NOME COGNOME, NOME
COGNOME e NOME COGNOME relativamente all’ipotesi delittuosa ascrittagli al capo F.
Le considerazioni esposte imponevano l’annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso proposto da NOME COGNOME è infondato.
2. Occorre premettere che il ricorso proposto da NOME COGNOME non critica la violazione di specifiche regole inferenziali, ma, postulando indimostrate carenze motivazionali della sentenza impugnata, chiede il riesame della vicenda processuale, relativamente ai reati di cui ai capi E e F, che risulta vagliato dalla Corte di appello di Brescia in conformità dell’annullamento con rinvio pronunciato dalla Corte di cassazione, Quinta Sezione penale, con sentenza emessa il 25 febbraio 2022, in relazione alla decisione pronunciata dalla Corte di appello di Brescia, nell’originario giudizio di secondo grado, I’l giugno 2020.
La Corte di appello di Brescia, invero, si pronunciava in conformità dell’annullamento con rinvio disposto dalla Corte di legittimità, che imponeva di rivalutare il compendio probatorio posto a fondamento del giudizio di colpevolezza degli imputati per i reati di cui ai capi E e F, tenendo conto delle verifiche contabili eseguite nel giudizio di merito, per valutare le quali, ai sensi dell’art. 603 cod. proc. pen., veniva nominato il prof. NOME COGNOME.
Né l’espletamento di tale verifica peritale, anticipando quanto si dirà di qui a breve, determinava un’elusione dei principi posti a presidio dei poteri devoluti al giudice del rinvio, dovendosi, in proposito, richiamare la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, nel giudizio di rinvio, la «cognizione del giudice riguarda il nuovo esame non solo del profilo censurato, ma anche delle questioni discendenti dalla sua rivalutazione secondo un rapporto di interferenza progressiva e dichiarate assorbite nella pronuncia di annullamento» (Sez. 6, n. 49750 del 04/07/2019, COGNOME, Rv. 277438 – 01).
Non è, del resto, dubitabile che, nel giudizio di rinvio celebrato a seguito di un annullamento per carenze motivazionali, i poteri giurisdizionali prefigurati dall’art. 624 cod. proc. pen. non sono limitati all’esame dei singoli punti specificati, come se fossero isolati dal residuo materiale probatorio, potendo il giudice intervenire con gli stessi poteri di accertamento che spettavano al giudice del provvedimento annullato. Sul punto, non si può che richiamare il principio di diritto, che occorre ulteriormente ribadire, secondo cui allorché «la Corte di
cassazione annulla con rinvio la sentenza impugnata per vizio di motivazione mediante l’indicazione dei punti specifici di carenza o contraddittorietà, il potere del giudice di rinvio non è limitato all’esame dei singoli punti specificati, come se essi fossero isolati dal restante materiale probatorio, essendo il giudice stesso tenuto a compiere anche eventuali atti istruttori sui cui risultati basare la decisione, fornendone giustificazione in sentenza » (Sez. 5, n. 33847 del 19/04/2018, COGNOME, Rv. 273628 – 01).
3. Tanto premesso, deve ritenersi infondato il primo motivo di ricorso, con cui si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per non avere la Corte di appello di Brescia tenuto conto del fatto che la data di prescrizione del reato di cui al capo E veniva individuata nel 14 gennaio 2023, con la conseguenza che l’incarico peritale, conferito nel giudizio di rinvio al prof. NOME COGNOME finalizzato a verificare la congruità contabile delle operazioni che avevano portato al rilascio delle garanzie pignoratizie in favore della società “RAGIONE_SOCIALE, non poteva essere conferito, atteso tale accertamento avrebbe dovuto svolgersi per le sole finalità civilistiche oggetto di vaglio giurisdizionali.
Osserva il Collegio che l’assunto difensivo secondo cui le modalità con cui era stato conferito l’incarico al prof. NOME COGNOME avevano penalizzato illegittimamente la parte civile, rappresentata in giudizio da NOME COGNOME sono destituite di fondamento.
Il conferimento dell’incarico peritale in questione, infatti, avveniva nel rispetto della giurisprudenza di legittimità consolidatasi a partire da Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, COGNOME, Rv. 244274 – 01, che, da ultimo, veniva ulteriormente ribadita da Sez. U, n. 36208 del 28/03/2024, COGNOME, Rv. 286880 – 01, non lasciando spazio per ipotizzare soluzioni alternative a quella adottata dalla Corte di appello di Brescia a seguito dell’annullamento con rinvio disposto dalla Corte di cassazione, Quinta Sezione penale, con sentenza del 25 febbraio 2022.
Si consideri che in Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, COGNOME, cit., si è affermato che il proscioglimento dell’imputato prevale sulla causa di estinzione del reato nel caso in cui la liceità del suo comportamento prevalga in modo incontrovertibile, non richiedendo alcuna ulteriore dimostrazione, tenuto conto della chiarezza della situazione processuale.
Su tale passaggio valutativo le Sezioni Unite hanno pronunciato il seguente di diritto: «In presenza di una causa di estinzione del reato il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129 comma secondo, cod. proc. pen. soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad
escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di “constatazione”, ossia di percezione “ictu oculi”, che a quello di “apprezzamento” e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento» (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, COGNOME, cit.; si veda, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. U, n. 36208 del 28/03/2024, COGNOME, cit.).
3.1. Questa opzione ermeneutica, sua volta, deve essere esaminata in correlazione al tema del rapporto tra gli artt. 578 e 129 cod. proc. pen., a proposito del quale occorre evidenziare che la presenza della parte civile impone al giudice di compiere una valutazione più approfondita del compendio probatorio, senza che possa configurarsi alcun vincolo derivante da ragioni di economia processuale, quando la prova dell’innocenza dell’imputato non risulti all’esito di un’attività meramente constatativa del giudicante.
Ne discende che quando risulta costituita la parte civile, il decorso dei termini prescrizionali non assume un rilievo decisivo ai fini dell’accertamento dei fatti di causa, la cui verifica non subisce alcun temperamento in conseguenza dell’eventuale decorso della prescrizione, dovendo essere ancorata ai parametri processuali prefigurati dalla regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio”. Tutto questo rende evidente che, nel caso di specie non sussistevano ostacoli, in sede di rinvio, al conferimento dell’incarico peritale attribuito al prof. NOME COGNOME le cui verifiche non solo non erano ostacolate dalla giurisprudenza di legittimità richiamata (Sez. U, n. 36208 del 28/03/2024, COGNOME, cit.; Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, COGNOME, cit.), ma erano addirittura imposte dalle indicazioni fornite dalla Corte di legittimità in sede di annullamento con rinvio.
Né potrebbe essere diversamente, atteso che, in sede di appello, per effetto della previsione dell’art. 578 cod. proc. pen., la formula assolutoria di merito deve prevalere rispetto alla causa di estinzione del reato e ciò «non solo nel caso di acclarata piena prova di innocenza, ma anche in presenza di prove ambivalenti, posto che alcun ostacolo procedurale, né le esigenze di economia processuale possono impedire la piena attuazione del principio del favor rei con l’applicazione della regola probatoria di cui al secondo comma dell’art. 530 del codice di rito» (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, COGNOME, cit.).
Non può, per altro verso, non rilevarsi che, al contrario di quanto sostenuto dalla difesa del ricorrente, tale opzione ermeneutica non è stata rivista dalla sentenza della Corte costituzionale n. 182 del 2021, n. 182, che, piuttosto, l’ha rafforzata, imponendo di ribadire, che laddove nel processo penale sia costituita la
parte civile, il decorso dei termini prescrizionali non assume un rilievo decisivo ai fini dell’accertamento della responsabilità penale dell’imputato, non potendo la relativa verifica giurisdizionale subire alcun temperamento in conseguenza dell’eventuale decorso della prescrizione.
Si muove, del resta, in questa consolidata direzione ermeneutica la già citata Sez. U, n. 36208 del 28/03/2024, Calpitano, cit., che ha affermato il seguente principio di diritto: «Nel giudizio di appello avverso la sentenza di condanna dell’imputato anche al risarcimento dei danni, il giudice, intervenuta nelle more l’estinzione del reato per prescrizione, non può limitarsi a prendere atto della causa estintiva, adottando le conseguenti statuizioni civili fondate sui criteri enunciati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 182 del 2021, ma è comunque tenuto, stante la presenza della parte civile, a valutare, anche a fronte di prove insufficienti o contraddittorie, la sussistenza dei presupposti per l’assoluzione nel merito».
3.2. Le considerazioni esposte impongono di ribadire l’infondatezza del primo motivo di ricorso.
Parimenti infondato deve ritenersi il secondo motivo di ricorso, con cui si si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, per non avere la Corte di appello di Brescia dato adeguato conto delle ragioni che, relativamente all’ipotesi delittuosa di cui al capo E, imponevano di escludere ogni intento fraudolento nella prestazione di garanzie pignoratizie dell’importo di almeno 1.100.000,00 euro in favore della società “RAGIONE_SOCIALE, pur essendo incontroverso che da tale operazione non era derivata alcuna utilità economica per l’ente societario fallito, come affermato dal curatore intervenuto nel fallimento della società “RAGIONE_SOCIALE“, dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Brescia del 25 agosto 2009.
Osserva il Collegio che il percorso motivazionale seguito dalla Corte di appello di Brescia appare sostenuto da argomentazioni congrue, incentrandosi il giudizio sulla mancanza dell’elemento soggettivo della bancarotta per dispersione patrimoniale su un dato probatorio incontroverso, costituito dalle condizioni economiche che avevano imposto l’emissione del prestito obbligazionario, effettuato nel corso del 2006, sulle quali si soffermava analiticamente il prof. NOME COGNOME nelle verifiche peritali delegategli nel giudizio di rinvio.
L’emissione del prestito obbligazionario, infatti, poteva certamente rappresentare un’operazione economica che, in quel momento, presentava elevati livelli di rischio, tenuto conto delle difficoltà finanziarie delle aziende del famiglia COGNOME, ma tale operazione rispondeva era funzionale alla realizzazione delle strategie imprenditoriali perseguite dagli imputati, collegate
alla delocalizzazione delle attività produttive in Tunisia.
Si aggiunga che l’impiego di risorse economiche appartenenti agli imputati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, si corrobora ulteriormente le conclusioni alle quali giungeva il prof. NOME COGNOME inducendo a escludere la natura dolosa dell’operazione contabile controversa, sostenuta con cespiti personali degli amministratori della società “RAGIONE_SOCIALE“.
A operare diversamente, si finirebbe per negare la possibilità per un imprenditore o un gruppo imprenditoriale di compiere un’operazione rischiosa, senza tenere conto del fatto che il rischio d’impresa è insito nelle scelte di un operatore economico, con la conseguenza che non si può addebitare alla famiglia COGNOME l’erroneità della scelta azienda di delocalizzare la produzione di ghisa in Tunisia iqpare strettamente collegata al rilascio delle garanzie pignoratizie controverse.
Né è dubitabile, come osservato dal prof. NOME COGNOME, che la delocalizzazione delle attività produttive siderurgiche nell’area nordafricana, anziché comportare un miglioramento della situazione finanziaria dell’azienda familiare, determinava un significativo peggioramento della sua esposizione debitoria, del quale però gli imputati non si avvedevano, non rendendosi conto che proprio tale operazione, evidentemente improvvida, determinava il definitivo tracollo della società “RAGIONE_SOCIALE“, che precedeva la declaratoria fallimentare.
Si aggiunga che è incontroverso che la crisi finanziaria che aveva travolto l’impresa della famiglia COGNOME era successiva all’inizio dell’operazione di delocalizzazione produttiva; il che, alla luce delle considerazioni relative al rischio d’impresa corso portato avanti dagli odierni imputati, reso evidente dall’impiego di risorse economiche personali, rende ulteriormente congetturali e non accoglibili le deduzioni difensive.
Appare, in proposito, opportuno richiamare il passaggio motivazionale, esplicitato a pagina 19 della decisione censurata, in cui, tenuto conto delle conclusioni raggiunte dal prof. NOME COGNOME nello svolgimento delle sue verifiche peritali, si evidenziava: «Si può, in altri termini, attribuire a amministratori un comportamento gravemente colposo, per aver dato corso ad un’iniziativa rischiosa in ragione delle condizioni economiche e finanziarie, più volte illustrate dal perito, riguardanti la società italiana e quella tunisina, mentr è dubbio che in tale comportamento possano individuarsi profili dolosi, laddove si consideri che il rilascio delle garanzie si inseriva in una più ampia operazione di investimento industriale, che, in quanto accompagnata da un cospicuo prestito obbligazionario proveniente dagli stessi soci, era evidentemente finalizzata – sia
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pur maldestramente e incautamente – a conseguire vantaggiosi risultati economici per la società».
Non è, infine, possibile ravvisare nelle condotte degli odierni imputati, in via meramente residuale, un’ipotesi di bancarotta semplice, ostando a una tale soluzione ermeneutica il principio diritto affermato da Sez. 5, n. 38835 del 23/10/2002, COGNOME, Rv. 225398 – 01, correttamente richiamato nella decisione censurata, secondo cui: «L’ipotesi di bancarotta fraudolenta per dissipazione si differenzia dalla fattispecie della consumazione di una notevole parte del patrimonio dell’imprenditore per effetto di operazioni manifestamente imprudenti, punita a titolo di bancarotta semplice, sia sul piano soggettivo, in quanto esige la coscienza e la volontà dell’agente di diminuire detto patrimonio per scopi de tutto estranei all’impresa, sia sul piano oggettivo, in quanto l’operazione fraudolenta è priva del pur minimo profilo di coerenza con le esigenze dell’impresa stessa. Ne consegue che il giudice può ritenere integrata “a fortiori” l’ipotesi di bancarotta semplice, qualora non sia raggiunta la prova del dolo tipico della dissipazione, anche nel caso di atti di gestione del tutto estranei alla conduzione dell’impresa».
4.1. In questa, univoca, cornice indiziaria, l’ipotesi alternativa sostenuta dalla parte ricorrente, sulla natura dolosa dell’operazione economica contestata agli imputati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, al capo E, sebbene prospetta /in termini suggestivi, oltre a non essere corroborata dalle emergenze probatorie e dagli esiti della perizia svolta dal prof. NOME COGNOME si pone in contrasto con la giurisprudenza consolidata di questa Corte, secondo cui: «In tema di valutazione della prova, il ricorso al criterio di verosimiglianza e alle massime d’esperienza conferisce al dato preso in esame valore di prova se può escludersi plausibilmente ogni spiegazione alternativa che invalidi l’ipotesi all’apparenza più verosimile, ponendosi, in caso contrario, tale dato come mero indizio da valutare insieme con gli altri elementi risultanti dagli atti» (Sez. 6, n. 5905 del 29/11/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 252066 – 01; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 4, n. 22790 del 13/04/2018, COGNOME, Rv. 272995 – 01; Sez. 6, n. 36430 del 28/05/2014, Schembri, Rv. 260813 – 01; Sez. 2, n. 44048 del 13/10/2009, COGNOME, Rv. 245627 – 01).
Questo orientamento ermeneutico, del resto, si inserisce in un filone giurisprudenziale ormai consolidato, in tema di ricorso al criterio di verosimiglianza e alle massime di esperienza, che è possibile esplicitare richiamando il seguente principio di diritto: «Nella valutazione probatoria giudiziaria – così come, secondo la più moderna epistemologia, in ogni procedimento di accertamento (scientifico, storico, etc.) – è corretto e legittimo
fare ricorso alla verosimiglianza ed alle massime di esperienza, ma, affinché il giudizio di verosimiglianza conferisca al dato preso in esame valore di prova, è necessario che si possa escludere plausibilmente ogni alternativa spiegazione che invalidi l’ipotesi all’apparenza più verosimile. Ove così non sia, il suddetto dato si pone semplicemente come indizio da valutare insieme a tutti gli altri elementi risultanti dagli atti» (Sez. 1, n. 4652 del 21/10/2004, dep. 2005, Sala, Rv. 230873 – 01; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 6, n. 49029 del 22/10/2014, Leone, Rv. 261220 – 01; Sez. 6, n. 31706 del 07/03/2003, COGNOME, Rv. 228401 – 01; Sez. 1, n. 329 del 22/10/1990, dep. 1991, COGNOME, Rv. 186149 – 01).
4.2. Le considerazioni esposte impongono di ribadire l’infondatezza del secondo motivo di ricorso.
5. Analogo giudizio di infondatezza deve essere espresso per il terzo motivo di ricorso, con cui si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che, relativamente all’ipotesi delittuosa di cui al capo F, desse esaustivamente conto delle ragioni che consentivano di ritenere l’operazione immobiliare controversa vantaggiosa per la società “RAGIONE_SOCIALE“, a fronte delle conclusioni di segno contrario del perito nominato dal curatore fallimentare, l’ing. NOME COGNOME giustificate da una valutazione comparativa con le attività svolte da altre imprese operanti nello stesso settore commerciale.
Non può, invero, non rilevarsi che la perizia dell’ing. NOME COGNOME al contrario di quanto sostenuto dalla difesa della parte ricorrente, non veniva valutata isolatamente, ma in correlazione con le verifiche eseguite, nell’interesse degli imputati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, dal dott. NOME COGNOME che, sulla base di un percorso argomentativo congruo e adeguatamente argomentato, la Corte di appello di Brescia riteneva maggiormente rispettoso delle emergenze processuali, sulle quali ci si soffermava analiticamente.
Si consideri, in proposito, che la consulenza tecnica del dott. NOME COGNOME esaminava approfonditamente le ragioni che avevano indotto la famiglia COGNOME a chiudere lo stabilimento di Castegnato – dove si svolgeva la loro attività di industriali siderurgici – e ad aprire una fonderia in Tunisia, compiendo un’operazione immobiliare sulle cui motivazione l’ing. NOME COGNOME non si confrontava adeguatamente.
In tale contesto, il consulente tecnico della difesa ricostruiva le varie tappe dell’operazione economica che aveva portato all’alienazione del compendio immobiliare produttivo alla società “RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE“, per il corrispettivo di 4.260.000,00 euro, precisando che la quantificazione di tale importo economico, teneva conto “sia del costo di demolizione dei fabbricati che di quello per lo smaltimento delle scorie, entrambi costi a carico di parte acquirente”.
In questa cornice, l’ipotesi di una vendita sottocosto, frutto di un’elusione fiscale, non appare corroborata dalle emergenze probatorie e, sul piano contabile, sembra supportata da argomentazioni esclusivamente congetturali, formulate nell’interesse della parte ricorrente.
Senza considerare, per altro verso, che le argomentazioni della parte ricorrente non tengono conto delle strategie industriali sottese all’operazione di alienazione controversa – alle quali si è fatto riferimento nel paragrafo 4, cui si rinvia -, con la quale le conclusioni dell’ing. NOME COGNOME non si confrontano adeguatamente, a fronte dell’accurata ricostruzione del contesto finanziario nel quale si inseriva l’operazione immobiliare di cui al capo F, effettuata dal dott. ·NOME COGNOME.
Appare, in proposito, opportuno il richiamo del passaggio motivazionale esplicitato nelle pagine 21 e 22 della decisione impugnata, in cui si passavano in rassegna le conclusioni del dott. NOME COGNOME in cui si evidenziava: «Invero, il dott. COGNOME dopo aver illustrato le ragioni storiche che avevano indotto la società a valutare la chiusura dello stabilimento di Castegnato e ad aprire una più conveniente attività di fonderia in Tunisia, ha ricostruito le tappe che avevano portato all’alienazione dell’insediamento produttivo in favore della “RAGIONE_SOCIALE” per il corrispettivo di 4.260.000,00, precisando che esso teneva conto “sia del costo di demolizione dei fabbricati che di quello per lo smaltimento delle scorie, entrambi costi a carico di parte acquirente».
Nella stessa direzione, si muove il passaggio motivazionale immediatamente successivo, nel quale si osserva: «Va poi rimarcato come nella relazione del dott. COGNOME trovi spazio un altro aspetto, del tutto pretermesso nella stima redatta dall’ing. COGNOME ovvero la clausola contrattuale in forza della quali la società venditrice ritardava la consegna dell’immobile per 3 anni; ciò che le consentiva di percepire subito il prezzo della vendita e, al contempo, di poter continuare ad utilizzare proficuamente l’immobile per quell’ulteriore periodo di tempo, corrispondendo un canone mensile di € 26.100,00. Clausola che non sembrava affatto “svantaggiosa” per la RAGIONE_SOCIALE.
Le considerazioni esposte impongono di ritenere infondato il terzo motivo di ricorso.
5. Le considerazioni esposte impongono conclusivamente il rigetto del
ricorso con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 21 maggio 2025.