Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 623 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 623 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a CAMPAGNA il 21/09/1967
avverso la sentenza del 17/05/2024 della CORTE APPELLO di SALERNO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo
Il Procuratore Generale conclude per l’annullamento con rinvio limitatamente alla determinazione della pena, inammissibile per il resto.
udito il difensore
L’avvocato COGNOME per la Parte Civile, chiede dichiararsi inammissibile il ricorso o, in subordine, il rigetto dello stesso riportandosi alle conclusioni che deposita unitamente a nota spese.
L’avvocato COGNOME chiede l’accoglimento del ricorso proposto per COGNOME.
IN FATTO E IN DIRITTO
Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Salerno confermava la sentenza con cui il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Salerno, in data 16.10.2023, all’esito dell’udienza preliminare, decidendo in sede di giudizio abbreviato, aveva condannato COGNOME NOME alle pene, principale e accessorie, ritenute di giustizia, in relazione ai fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, in rubrica ascrittigli, in qualità di amministratore di fatto e di diritto della società “RAGIONE_SOCIALE“, dichiarata fallita in data 28.2.2022, oltre al risarcimento dei danni derivanti da reato in favore della costituita parte civile, curatela fallimentare “RAGIONE_SOCIALE.
Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l’annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione l’imputato, lamentando: 1) violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento al fatto distrattivo di cui al capo 1.9, relativo al mancato rinvenimento nel patrimonio della fallita degli impianti eolici acquistati dalla società “RAGIONE_SOCIALE” da parte del curatore fallimentare all’atto dell’inventario del 23.6.2022, senza considerare che le erogazioni in favore della venditrice sono state effettuate nel 2017 e il COGNOME è stato amministratore solo sino al 18.6.2019, sicché, tenuto conto della regolarità del dato contabile e fiscale delle operazioni di acquisto, a distanza di circa cinque anni dall’acquisto degli impianti eolici e di tre anni dalla cessazione della carica di amministratore, non può escludersi che tali impianti siano stati venduti; 2) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine ai fatti distrattivi di cui ai capi da 1.3. a 1.8, in quanto fondati su dichiarazioni inutilizzabili ai sensi dell’art. 63, co. 2, c.p., perché rese alla Guardia di Finanza, in assenza di difensore, dai rappresentanti legali delle società indicate come destinatarie di pagamenti ritenuti distrattivi, coindagati e coimputati del Bubolo, in due procedimenti connessi, relativi ai reati di emissione di fatture per operazioni inesistenti ed illecite, ex artt. 8 e 2, d.lgs. n. 74 del 2000, e di riciclaggio, ex art. 648 bis, c.p., in relazione ai quali rappresentanti, secondo il ricorrente, esistevano indizi di reità già prima dell’assunzione
delle sommarie informazioni, proprio perché essi erano stati convocati nell’ambito di un controllo amministrativo contabile, di regolare assolvimento degli obblighi normativi, nei confronti della società fallita, senza che la responsabilità del ricorrente possa comunque farsi derivare dalla acquisita informativa della Guardia di Finanza, poiché quest’ultima fonda il proprio presupposto, circa le operazioni contestate al Bubolo, inizialmente ed essenzialmente proprio sulle dichiarazioni degli amministratori delle società connesse alla fallita; 3) violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al fatto distrattivo di cui al capo 1.1., riguardante un finanziamento senza contropartita disposto in favore della società “RAGIONE_SOCIALE“, con successiva cessione del credito alla società “RAGIONE_SOCIALE, avendo la corte territoriale omesso di considerare l’esistenza di un contratto stipulato il 16.11.2017, fra il Bubolo e COGNOME NOME, figlio di COGNOME NOME, amministratore della “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE“, nonché la circostanza, evidenziata nell’atto di appello, che il ricorrente non può essere chiamato a rispondere, per il solo fatto di essere amministratore di diritto al momento della stipula del contratto di finanziamento, di una condotta ascrivibile al solo COGNOME NOME, in assenza, peraltro, di ogni prova di un concorso tra quest’ultimo e il Bubolo.; 4) violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento alla distrazione di cui al capo 1.2, avente a oggetto un finanziamento senza corrispettivo per un importo di 250.000,00 euro, erogato in favore della società “RAGIONE_SOCIALE“, non avendo la corte territoriale considerato che la beneficiaria dell’erogazione ha proceduto ad un prima restituzione del finanziamento in data 6.11.2018, per un importo di 50.000,00 euro, e ad una seconda, il 5.3.2019, per un importo di 25.000,00 euro, senza tacere che il credito vantato dalla società fallita nei confronti della “RAGIONE_SOCIALE è stato oggetto di una transazione autorizzata dal giudice delegato, circostanze tutte che escludono il dolo del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione e l’illiceità delle singole operazioni di finanziamento infruttifero avvenute dal 31.5.2017 all’11.7.2017, emergendo la buona fede genetica del Bubolo; 5) violazione di legge e vizio di motivazione,
con riferimento al reato di bancarotta fraudolenta documentale, in quanto la corte territoriale, da un lato ha omesso di motivare sulla sussistenza del dolo specifico, potendosi addebitare al prevenuto, a tutto voler concedere, una semplice negligenza; dall’altro, ha omesso di considerare che le riscontrate irregolarità contabili riguardano periodi successivi alla data in cui il Bubolo cessò dalla carica di amministratore della società, ragione per la quale egli non può rispondere del delitto in questione; 6) violazione di legge e vizio di motivazione, in quanto, premesso che il vero dominus della società fallita era COGNOME NOME, mentre il Bubolo ne era solo l’amministratore formale, risulta indimostrata la sussistenza del dolo specifico in relazione al fatto distrattivo di cui al capo 1) e al fatto di bancarotta fraudolenta documentale; 7) violazione di legge e vizio di motivazione, in punto di ritenuta sussistenza della circostanza aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità, ex art. 219, I. fall., erroneamente dedotto dalla corte territoriale sulla base del mero computo del danno complessivo asseritamente arrecato ai creditori, piuttosto che sulla diminuzione e sul valore complessivo che la condotta dell’imputato ha sottratto all’esecuzione concorsuale; 8) violazione di legge e vizio di motivazione in punto di mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti ex art. 62 bis, c.p.; 9) violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento agli artt. 81, cpv., c.p., e 219, co. 2, I. fall., in relazione all’aumento di pena, pari a diciotto mesi di reclusione, operato ai sensi dell’art. 219, co. 2, 1.f., sulla pena – base relativa al reato più grave, individuato nel fatto distrattivo di cui al capo 1.9.) dell’imputazione, posto che la corte territoriale, pur riconoscendo il vincolo della continuazione tra i fatti oggetto del presente procedimento e quelli di cui alla sentenza di condanna n. 173/2023 emessa nei confronti del Bubolo sempre dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Salerno, nella determinazione della pena complessiva, fissata nella misura di anni cinque e mesi sei di reclusione, ha omesso di fornire espressa e specifica motivazione in ordine ai singoli aumenti di pena per ciascuno degli ulteriori fatti di bancarotta; 10) violazione del principio del divieto
della reformatio in peius, in quanto il giudice di second 2 nel rideterminare la pena nei confronti dell’imputato a seguito della riconosciuta continuazione di cui si è detto, ha omesso di considerare che con la menzionata sentenza n. 173/2023 al Bubolo era stata applicata la detenzione domiciliare sostitutiva ex art. 545 bis, c.p.p., essendogli stata irrogata una pena contenuta entro il limite di quattro anni di reclusione, laddove l’aver applicato la nuova pena di anni cinque e mesi sei di reclusione, ha comportato ex lege la caducazione degli effetti dell’applicazione della detenzione domiciliare sostitutiva, pur in assenza di appello del pubblico ministero.
Con motivi nuovi depositati il 7.9.2024, il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione, in punto di esposizione delle ragioni per cui la corte territoriale ha ritenuto di individuare nel reato di cui al capo 1.9 il reato più grave e di confermare l’entità della relativa pena-base fissata in quattro anni di reclusione dal giudice di primo grado, pur in presenza di plurime contestazioni di bancarotta caratterizzate da offensività diverse e differenziate anche per l’avvenuta restituzione di somme.
Il ricorso va rigettato, essendo fondato su motivi, in parte infondati, in parte inammissibili.
Con particolare riferimento al primo motivo di ricorso, il ricorrente non tiene nel dovuto conto che in tema di giudizio di cassazione sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr. Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482).
E invero, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte, anche a seguito della modifica apportata all’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., dalla legge n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di Cassazione di sovrapporre la propria
valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito.
In questa sede di legittimità, infatti, è precluso il percorso argomentativo seguito dal ricorrente, che si risolve in una mera e del tutto generica lettura alternativa o rivalutazione del compendio probatorio, posto che, in tal caso, si demanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimità, quale è quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (cfr. ex plurimis, Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Rv. 273217; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Rv. 253099; Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758; Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, Rv. 283370).
In altri termini, il dissentire dalla ricostruzione compiuta dai giudici di merito e il voler sostituire ad essa una propria versione dei fatti, costituisce una GLYPH mera censura di fatto sul profilo specifico dell’affermazione di responsabilità dell’imputato, anche se celata sotto le vesti di pretesi vizi di motivazione o di violazione di legge penale.
Del resto la genericità della proposta lettura alternativa del compendio probatorio emerge plasticamente dal passaggio argomentativo con cui il ricorrente oppone al ragionamento seguito dalla corte territoriale una semplice congettura, ventilando come ipotesi possibile che gli impianti eolici non rinvenuti dal curatore fallimentare siano stati venduti a terzi, all’insaputa dello stesso Bubolo.
Sotto altro profilo il primo motivo di ricorso appare inammissibile per genericità, risolvendosi nella semplice reiterazione di censure già dedotte in appello e puntualmente disattese dalla corte di merito, con la cui motivazione sul punto il ricorrente in realtà non si confronta, censure, pertanto, da ritenere non specifiche, ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Rv. 277710).
La corte territoriale, invero, ha fondato la propria decisione su di un esaustivo percorso argonnentativo fondato su di un dato oggettivamente
acclarato e, a ben vedere, non contestato dallo stesso ricorrente: il mancato rinvenimento nel patrimonio della società fallita degli impianti eolici indicati nel capo 1.9) dell’imputazione, risultanti oggetto di acquisto per la somma complessiva di euro 998.600,00, corrisposta alla società venditrice “RAGIONE_SOCIALE“, facente capo alla famiglia COGNOME, attraverso una serie di bonifici disposti sul conto corrente della “RAGIONE_SOCIALE” nell’anno 2017, senza che l’imputato sia stato in grado di indicare quale sia stata la sorte di tali beni.
Orbene, come affermato costantemente dalla giurisprudenza di legittimità, integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione qualunque operazione diretta a distaccare dal patrimonio sociale, senza immettervi il corrispettivo e senza alcun utile, beni ed altre attività, così da impedirne l’apprensione da parte degli organi fallimentari e causare un depauperamento del patrimonio sociale, in pregiudizio dei creditori (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 36850 del 06/10/2020, Rv. 280106).
Ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, infatti, il distacco del bene dal patrimonio dell’imprenditore poi fallito (con conseguente depauperamento in danno dei creditori), in cui si concreta l’elemento oggettivo del reato di cui si discute, può realizzarsi in qualsiasi forma e con qualsiasi modalità, non avendo incidenza su di esso la natura dell’atto negoziale con cui tale distacco si compie, né la possibilità di recupero del bene attraverso l’esperimento delle azioni apprestate a favore della curatela (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 44891 del 09/10/2008, Rv. 241830; Sez. 5, n. 48872 del 14/07/2022, Rv. 283893).
Integrano, pertanto, il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione tutte le operazioni economiche che, esulando dagli scopi dell’impresa, determinano, senza alcun utile per il patrimonio sociale, un effettivo depauperamento di questo in danno dei creditori (cfr. Sez. 5, n. 15679 del 05/11/2013, Rv. 262655).
Appare, pertanto, dotato di intrinseca coerenza logica e conforme ai principi ora sinteticamente richiamati il percorso argomentativo seguito dalla corte territoriale.
Partendo dal dato, non specificamente aggredito dal ricorrente, della natura sostanzialmente fittizia della “RAGIONE_SOCIALE“, trattandosi di “società non operativa, priva di struttura aziendale e costituita al solo scopo di ottenere in maniera fraudolenta i contributi economici concessi dallo Stato per gli interventi di efficientamento energetico” pari a circa sei milioni di euro (cfr. p. 4 della sentenza di appello: per tale vicenda l’imputato risulta essere stato condannato dallo stesso giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Salerno con sentenza passata in giudicato per il reato di cui all’art. 640 bis, c.p., ritenuto unificato sotto il vincolo della continuazioni con i fatti oggetto del presente procedimento ), il giudice di appello, con logico argomentare, ne ha inferito il carattere del tutto simulato dell’acquisto degli impianti eolici dalla “RAGIONE_SOCIALE“, in favore della quale, nel periodo in cui l’imputato era incontestabilmente amministratore della società, è stata erogata la somma complessiva di euro 998.600, proveniente dai finanziamenti pubblici ottenuti, senza che a tale erogazione corrispondesse l’acquisizione al patrimonio della società fallita dei beni oggetto della falsa compravendita, essendosene perse del tutto le tracce e non risultando quale fosse stata la loro sorte nemmeno dalla documentazione aziendale.
Anche il secondo motivo di ricorso appare inammissibile, per un duplice ordine di motivi.
Al riguardo si osserva che, come affermato dall’orientamento dominante nella giurisprudenza della Suprema Corte, il divieto di utilizzazione “erga omnes” delle dichiarazioni rese da persona che fin dall’inizio doveva assumere la veste di indagato presuppone che a carico del soggetto sussistano indizi di reità già prima dell’assunzione delle sommarie informazioni (cfr., ex plurimis, Sez. 3, Sentenza n. 21747 del 26/04/2005, Rv. 231995; Sez. 6, Sentenza n. 32712 del 11/04/2014, Rv. 259817; Sez. 4, Sentenza n. 40786 del 18/07/2018, Rv. 273926).
Si è, in particolare, chiarito “che la sanzione di inutilizzabilità erga omnes postula che, a carico dell’interessato, siano già stati acquisiti, prima dell’escussione, indizi non equivoci di reità, come tali conosciuti
dall’autorità procedente, non rilevando, a tale proposito, eventuali sospetti od intuizioni personali dell’interrogante (Sez. U., n. 23868 del 23-4-2009, COGNOME, Rv. 243416). L’inutilizzabilità assoluta, ai sensi dell’art. 63, comma 2, cod. proc. pen., richiede quindi l’originaria esistenza, a carico dell’escusso, di precisi, anche se non gravi, indizi di reità, che non possono automaticamente inferirsi dal solo fatto che il dichiarante risulti essere stato, in qualche modo, coinvolto in vicende potenzialmente suscettibili di dar luogo alla formulazione di addebiti di carattere penale a suo carico. Occorre invece che le predette vicende, così come percepite dall’autorità inquirente, presentino connotazioni tali da indurre a ravvisare concretamente la sussistenza di elementi di spessore indiziante sufficiente ad attribuire al soggetto la qualità di indagato” (cfr. la citata Sez. 4, Sentenza n. 40786 del 18/07/2018, Rv. 273926).
Orbene la corte territoriale ha reso sul punto una motivazione del tutto conforme a tali principi, evidenziando come, nel momento in cui vennero convocati dalla Guardia di Finanza, a carico dei rappresentanti legali delle società indicate come destinatarie di pagamenti ritenuti distrattivi non erano emersi precisi indizi di reità nel senso ora chiarito, presentando, piuttosto, la loro audizione un carattere meramente esplorativo, volto a verificare l’effettività o meno delle prestazioni che risultavano essere state effettuate dalla società fallita nei confronti delle società beneficiarie sulla base delle fatture emesse da queste ultime nei confronti della “RAGIONE_SOCIALE” nel periodo compreso tra gli anni 2016 e 2018 (cfr. pp. 11-12 della sentenza di appello).
All’atto della convocazione, dunque, non sussistevano (né il ricorrente indica specificamente quali fossero) elementi di spessore indiziante sufficienti ad attribuire ai rappresentanti legali delle società indicate come destinatarie di pagamenti ritenuti distrattivi la qualità di indagati, che sarebbero emersi solo successivamente alla loro assunzione.
Se ne deduce la manifesta infondatezza del motivo di ricorso.
Sotto altro profilo non può non rilevarsi la violazione da parte del ricorrente dei principi in tema di “prova di resistenza”.
Come affermato dall’orientamento dominante nella giurisprudenza di legittimità, infatti, nell’ipotesi in cui con il ricorso per cassazione si lamenti l’inutilizzabilità di un elemento a carico, il motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta “prova di resistenza”, in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l’identico convincimento (cfr. Cass., Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, Rv. 269218; Cass., Sez. 2, n. 30271 del 11/05/2017, Rv. 270303; Cass., Sez. 5, n. 31823 del 06/10/2020, Rv. 279829).
Siffatto onere non risulta adempiuto dal ricorrente, come sarebbe stato necessario, a fronte di un articolato percorso motivazionale, in cui le dichiarazioni dei rappresentanti legali delle società in precedenza indicate non assumono un valore assorbente nel fondare la responsabilità del Bubolo, posto che, come rileva la corte territoriale, tale responsabilità trova esaustivo fondamento nella circostanza dell’acclarato carattere fittizio “delle operazioni sottostanti i trasferimenti di denaro, avvenuti in assenza di qualsivoglia controprestazione e come tali finalizzati a sottrarre le risorse finanziarie della Greensaving al soddisfacimento dei creditori”, desunta dal giudice di appello, ancora una volta con motivazione logicamente coerente, dalla natura stessa delle società in questione, prive di “struttura di impresa” e della “capacità di fornire servizi alla fallita”, nonché di qualsivoglia documentazione in grado di dimostrare l’effettiva erogazione delle prestazioni che giustificassero la percezione degli emolumenti ricevuti dalla società fallita (cfr. p. 12 della sentenza di secondo grado).
Con tale percorso argomentativo il ricorrente omette del tutto di confrontarsi.
Infondati appaiono il terzo motivo e il quarto motivo di ricorso, che si collocano ai confini della inammissibilità, consistendo in larga parte in censure con le quali l’imputato sollecita, peraltro genericamente, una rivalutazione del compendio probatorio, oltre che meramente reiterative
dei rilievi già articolati in sede di appello, disattesi dal giudice di secondo grado con motivazione immune da vizi.
Invero, in ordine alle operazioni di cui ai capi 1.1.) e 1.2.), la corte territoriale ne ha puntualmente dedotto la natura distrattiva, evidente alla luce dei principi richiamati nelle pagine precedenti in relazione al primo motivo di ricorso.
Il giudice di appello, infatti, con logico argomentare, ha sottolineato come le suddette operazioni si siano risolte in un depauperamento del patrimonio sociale in danno dei creditori della società fallita, trattandosi di finanziamenti che, pur essendo definiti “fruttiferi”, concessi alle società “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE” nel periodo in cui il COGNOME era amministratore di diritto, in realtà non prevedevano alcuna rennunerazione, “in quanto privi di qualsivoglia controprestazione e di una qualsivoglia prospettiva di vantaggio per la società che li eroga, mancando, nel caso di specie, persino l’impegno alla restituzione o al versamento degli interessi” (cfr. p. 10 della sentenza di appello).
Appare, pertanto, evidente come tali finanziamenti si inserissero nel complessivo disegno di spoliazione delle risorse finanziarie incamerate dalla “RAGIONE_SOCIALE” grazie ai finanziamenti pubblici ricevuti, perseguito dall’imputato attraverso una pluralità di condotte distrattive poste in essere dal COGNOME nella sua qualità di amministratore della società fallita, nella piena consapevolezza che le operazioni in questione erano concretamente idonee a esporre a rischio le ragioni del ceto creditorio, proprio perché prive di qualsivoglia utilità per il patrimonio sociale, conformemente alla natura giuridica del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, che, come è noto, è reato di pericolo concreto, per la cui sussistenza non si richiede la prova che la condotta abbia causato un effettivo pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente che l’atto di depauperamento, incidendo negativamente sulla consistenza del patrimonio sociale, sia idoneo a creare un pericolo per il soddisfacimento delle ragioni creditorie, che deve permanere fino al tempo che precede l’apertura della procedura fallimentare (cfr., ex plurimis, Sentenza, Sez. 5, n. 50081 del 14/09/2017, Rv. 271437 (cfr.,
ex plurimis, Sez. 5, Sentenza n. 3229 del 14/12/2012, Rv. 253933; cfr. Sez. 5, Sentenza n. 13382 del 03/11/2020, Rv. 281031).
Sotto questo profilo risulta, pertanto, del tutto irrilevante ai fini dell’esclusione di responsabilità del Bubolo, come correttamente rilevato dalla corte territoriale, la mancata restituzione dei finanziamenti erogati da parte delle società beneficiarie, trattandosi di condotte omissive post delictum inidonee a incidere sulla sussistenza del reato, già perfezionatosi con l’erogazione dei finanziamenti privi di remunerazione e di giustificazione in relazione alle esigenze della società fallita.
Ciò vale anche con riferimento all’operazione di cui al capo 1.2.), in ordine alla quale, inoltre, anche a voler considerare gli eventi rappresentati dal ricorrente, si osserva, da un lato, che non è intervenuta, prima della dichiarazione di fallimento, l’integrale restituzione da parte della “RAGIONE_SOCIALE” del finanziamento ricevuto, pari a 175.000,00 euro (unica circostanza che avrebbe determinato, in applicazione dei principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di bancarotta “riparata”, l’insussistenza dell’elemento materiale del reato: cfr., ex plurimis, Sez. 5, Sentenza n. 4790 del 20/10/2015, Rv. 266025; Sez. 5, Sentenza n. 14932 del 28/02/2023, Rv. 284383); dall’altro, che del pari tali eventi non incidono sulla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, integrato dal dolo generico, per il quale è sufficiente che la condotta di colui che pone in essere l’attività distrattiva sia assistita dalla consapevolezza che le operazioni che si compiono sul patrimonio sociale siano idonee a cagionare un danno ai creditori ,senza che sia necessaria l’intenzione di causarlo ovvero che l’agente abbia consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 21846 del 13/02/2014, Rv. 260407, Sez. 5, n. 51715 del 05/11/2014, Rv. 261739).
Dolo che, nel caso in esame, correttamente la corte territoriale ha desunto dalle concrete circostanze e dalle modalità esecutive dell’azione criminosa (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 30726 del 09/09/2020, Rv. 279908; Sez. 6, Sentenza n. 16465 del 6/4/2011 Rv. 250007), evidenziando la
piena consapevolezza da parte dell’imputato di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte, derivante dalla chiara cognizione in capo al Bubolo dell’inserimento delle menzionate operazioni nel complessivo disegno di spoliazione delle risorse finanziarie della società fallita e della inidoneità delle stesse a produrre un utile per il patrimonio sociale.
7. Infondato risulta anche il quinto motivo di ricorso, posto che, a differenza di quanto denunciato dal ricorrente, la corte territoriale ha reso una specifica motivazione sulla configurabilità dell’elemento soggettivo del reato di bancarotta fraudolenta documentale “generica” di cui al capo 2), che la corte territoriale, con ragionamento logicamente coerente e immune dai denunciati vizi, ha dedotto dallo stretto collegamento esistente tra le riscontrate irregolarità nella tenuta della documentazione contabile, che hanno impedito al curatore fallimentare la ricostruzione e la movimentazione degli affari della società fallita proprio nel periodo (anni 2016, 2017 e 2018), in cui quest’ultima era stata gestita dal Bubolo, e le condotte distrattive poste in essere dall’imputato (cfr. p. 13 della sentenza di appello), conformemente al condivisibile principio affermato da questa Sezione, alla luce del quale, in tema di bancarotta fraudolenta documentale di cui alla seconda ipotesi dell’art. 216, comma 1, n. 2 legge fall., il dolo, generico, può essere GLYPH desunto, GLYPH con GLYPH metodo GLYPH logico-presuntivo, GLYPH dall’accertata responsabilità dell’imputato per fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale, in quanto la condotta di irregolare tenuta dei libri o delle altre scritture contabili, che rappresenta l’evento fenomenico dal cui verificarsi dipende l’integrazione dell’elemento oggettivo del reato, è di regola funzionale all’occultamento o alla dissimulazione di atti depauperativi del patrimonio sociale (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 33575 del 08/04/2022, Rv. 283659)
8. Inammissibile, deve ritenersi il sesto motivo di ricorso, con il quale il ricorrente lamenta che il vero dominus della società fallita fosse COGNOME RAGIONE_SOCIALE, deducendolo, in maniera del tutto generica e assertiva, dalla disponibilità in capo a quest’ultimo del conto corrente bancario
acceso dalla “RAGIONE_SOCIALE” presso la filiale di Eboli della banca “Unicredit” e dalle dichiarazioni rese dall’imputato nel corso del procedimento, del cui contenuto non viene fatta menzione nell’indicato motivo di ricorso.
Del resto che il Bubolo non fosse una semplice “testa di legno”, come sembra adombrare il ricorrente, i giudici di merito lo hanno dedotto da alcuni elementi di indiscusso valore rappresentativo, con i quali il ricorrente non si confronta.
Si tratta, in particolare: del lungo periodo, dalla data di costituzione della società (8.1.2016) all’11.6.2019, in cui l’imputato ha rivestito il ruolo di amministratore di diritto, percependo complessivamente una retribuzione di oltre 104.000,00 euro; della circostanza che, come risulta dalle dichiarazioni del COGNOME, all’esterno la società fallita era percepita come gestita dal COGNOME e dal COGNOME; del fatto che, all’epoca delle contestate distrazioni, l’imputato era non solo amministratore della fallita, ma anche socio unico della medesima società, senza tacere che parte delle distrazioni erano state indirizzate, come si è Ato, ad avvantaggiare una società riconducibile alla moglie dello stesso Bubolo (cfr. p. 6 e 12 della sentenza di appello).
8. Del pari risulta inammissibile il settimo motivo di ricorso, in quanto manifestamente infondato, generico e tale da sollecitare una diversa valutazione sul merito del trattamento sanzionatorio, non consentita in questa sede.
Al riguardo si osserva che per costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, condiviso dal Collegio, in tema di reati fallimentari, ai fini del riconoscimento della circostanza aggravante di cui all’art. 219, comma 1, legge fall., l’entità del danno provocato dai fatti configuranti bancarotta patrimoniale va commisurata al valore complessivo dei beni che sono stati sottratti all’esecuzione concorsuale, piuttosto che al pregiudizio sofferto da ciascun partecipante al piano di riparto dell’attivo, indipendentemente dalla relazione con l’importo globale del passivo (cfr. Sez. 1, Sentenza n. 28009 del 10/04/2024, Rv. 286675; Sez. 5, Sentenza n. 49642 del 02/10/2009, Rv. 245822)
Orbene la corte territoriale ha fatto buon governo di tali principi, evidenziando come “l’importo assolutamente elevato delle somme distratte e sottratte all’esecuzione concorsuale, pari a oltre cinque milioni euro, ha determinato per i creditori dell’ente un danno patrimoniale di entità altrettanto grave” (cfr. p. 13 della sentenza impugnata).
Rispetto a tale esaustivo argomentare, le censure difensive, volte a contestare la configurabilità della menzionata circostanza aggravante in capo al Bubolo in considerazione del ruolo subalterno da quest’ultimo svolto rispetto a COGNOME NOME, potendogli essere ascritta, a tutto voler concedere, esclusivamente la condotta distrattiva di cui al capo 1.2.), avente a oggetto, peraltro, somme di denaro restituite, non integrante per tali ragioni un danno patrimoniale di rilevante gravità, anche in considerazione della complessiva operatività patrimoniale della società fallita, non colgono nel segno, sia perché fondate su di un presupposto, la limitazione della responsabilità del prevenuto a una sola operazione distrattiva, smentito, come si è visto, dalle risultanze processuali, sia in quanto versate in fatto.
9. Tali da sollecitare una rivalutazione dell’entità del trattamento sanzionatorio non consentita in questa sede di legittimità, dunque inammissibili, devono ritenersi i motivi articolati dal ricorrente in punto di mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, nella sua prospettiva concedibili alla luce del corretto comportamento processuale serbato dall’imputato e della sua sostanziale incensuratezza, essendo gravato da un unico precedente penale, risalente al 2006, relativo al reato di omesso versamento di ritenute previdenziali, ex art. 2, I. n. 638 del 1983, oggi depenalizzato, elementi che, pur rappresentati, sono stati negletti dalla corte territoriale.
Come è noto, al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133, c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed
alle modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente (cfr., ex plurimis, Sez. 2, Sen. 23903 del 15/07/2020, Rv. 279549).
In questa prospettiva la giurisprudenza di legittimità, con costante insegnamento, ha chiarito che il diniego del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche si giustifica anche solo sulla base della gravità della condotta o dei soli precedenti penali dell’imputato (cfr., ex plurimis, Sez. 4, Sentenza 28/05/2013, n. 24172; Sez. 3, Sentenza 23/04/2013, n. 23055, rv. 256172; Sez. 5, Sentenza n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269).
A tali principi si è uniformata la corte territoriale, che ha correttamente individuato nella “estrema gravità”, desunta dalla distrazione di ingenti somme di denaro, e dall’assenza di qualsivoglia forma di resipiscenza da parte del Bubolo, l’ostacolo al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
10. Inammissibile perché generico e manifestamente infondato appare il nono motivo di ricorso, articolato nei termini già illustrati.
Al riguardo si osserva che la Corte di Cassazione da tempo ha evidenziato, in sede di interpretazione della previsione della circostanza aggravante di cui all’art. 219, comma secondo, n. 1, I.fall., che, in tema di reati fallimentari, nel caso di consumazione di una pluralità di condotte tipiche di bancarotta nell’ambito del medesimo fallimento, le stesse mantengono la propria autonomia ontologica, dando luogo ad un concorso di reati, unificati, ai soli fini sanzionatori, nel cumulo giuridico previsto dall’art. 219, comma secondo, n. 1, I.fall., disposizione che pertanto non prevede, sotto il profilo strutturale, una circostanza aggravante, ma detta per i reati fallimentari una peculiare disciplina della continuazione derogatoria di quella ordinaria di cui all’art. 81, c.p. (cfr. Sez. U, Sentenza n. 21039 del 27/1/2011, Rv. 249665).
Come è stato successivamente chiarito, la configurazione, sotto il profilo formale, della c.d. continuazione fallimentare, di cui all’art. 219, comma secondo, n.1, I.fall., quale circostanza aggravante, ne comporta l’assoggettabilità al giudizio di bilanciamento con le circostanze attenuanti (cfr., ex plurimis, Sez. 5, Sentenza n. 21036 del 17/4/2013,
Rv. 255146; Sez. 5, Sentenza n. 51194 del 12/11/2013, Rv. 258675; Sez. 5, Sentenza n. 50349 del 22/10/2024).
Ne GLYPH consegue GLYPH l’esclusione GLYPH dell’applicazione GLYPH alla GLYPH “continuazione fallimentare” della disciplina prevista dall’art. 81, cpv., con l’ulteriore conseguenza di ritenere illegale la pena costruita ai sensi dell’art. 81, cpv. c.p., in relazione all’art. 219, comma secondo, n. 1, 1.fall., senza seguire l’unico metodo valutativo sanzionatorio corretto, che disegna la cd. continuazione fallimentare come istituto peculiare, vale a dire un ibrido che, pur descrivendo una speciale forma di continuazione, prevista appositamente per i reati fallimentari relativi alla medesima procedura concorsuale, impone l’applicazione della disciplina delle circostanze aggravanti per quanto concerne il concreto computo di tale fattore (cfr., ex plurimis, Sez. 5, Sentenza n. 48361 del 17/9/2018, Rv. 274182; Sez. 5, Sentenza n. 45360 del 4/10/2019, Rv. 277956), mentre, per altro orientamento, deve ritenersi illegittima solo la pena determinata sulla base dell’erroneo metodo di calcolo della continuazione fallimentare, basato sull’applicazione della disciplina ordinaria del reato continuato, piuttosto che di quella specifica costruita come circostanza aggravante, soggetta a bilanciamento (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 3550 del 21/11/2018, Rv. 275369). Risulta, pertanto, del tutto incongrua l’eccezione difensiva, con cui, in definitiva, il ricorrente invoca una non consentita estensione della disciplina del reato continuato di cui all’art. 81, cpv., c.p., alla “continuazione fallimentare”, di cui all’art. 219, comma secondo, n.1, l.fall., avendo, nel caso in esame, la corte territoriale, una volta escluso il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in favore del Bubolo, confermato l’aumento, pari a diciotto mesi di reclusione, operato sulla pena-base dal giudice di primo grado, in applicazione della menzionata circostanza aggravante, sulla base di una valutazione complessiva ancorata alla “estrema gravità dei fatti e alla spregiudicata personalità dell’agente” (cfr. p. 13 della sentenza impugnata).
10. Infondato appare il decimo motivo di ricorso, che risulta contraddetto dai principi affermati in subiecta materia dalla giurisprudenza di legittimità, condivisa dal Collegio, secondo cui il
giudice di appello che, su richiesta dell’appellante, procede alla nuova determinazione della pena per effetto della continuazione tra fatti oggetto di procedimenti diversi, è chiamato ad operare una autonoma valutazione dell’intero quadro delle conseguenze che scaturiscono dal relativo riconoscimento. Non sussiste pertanto violazione del divieto di “reformatio in peius” ove il giudice di appello escluda l’applicazione della pena sostitutiva, già riconosciuta in primo grado rispetto ad una delle condanne riunite (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 1773 del 08/09/1998, Rv. 212629).
11. Infine devono essere ritenuti inammissibili i motivi nuovi presentati in data 7.9.2024, per due ordini di ragioni.
Innanzitutto perché, l’inammissibilità degli originari motivi di ricorso relativi al trattamento sanzionatorio, rende inammissibile anche i motivi nuovi, che di essi costituiscono una successiva articolazione, ai sensi dell’art. 585, co. 4, c.p.p.
Inoltre, perché con i motivi nuovi si svolgono rilievi attinenti al merito del trattamento sanzionatorio, a fronte di una motivazione che, come si è detto, in ossequio ai parametri indicati dall’art. 133, c.p., fonda la dosimetria della pena sulla gravità dei fatti e la capacità a delinquere dell’imputato.
12. Al rigetto del ricorso, segue la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.
L’imputato va, altresì, condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla costituita parte civile, che si liquidano in complessivi euro 3.500,00, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, altresì, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che liquida in complessivi euro 3.500,00, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma il 25.9.2024.