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Bancarotta fraudolenta: affitto d’azienda e condanna

La Cassazione conferma la condanna per bancarotta fraudolenta per distrazione di un amministratore che affittò l’intero ramo d’azienda a canone irrisorio a una società collegata, svuotando il patrimonio della fallita e lasciandola con i debiti. Inutile la successiva restituzione dei beni.

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Pubblicato il 15 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Bancarotta fraudolenta: l’affitto d’azienda come strumento di distrazione

La recente sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Penale, n. 44115 del 2024, offre un importante chiarimento sui confini del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione. Il caso analizzato riguarda un’operazione di affitto di ramo d’azienda a un canone irrisorio, utilizzata per svuotare una società dei suoi beni produttivi a danno dei creditori. Questa pronuncia conferma un orientamento consolidato, sottolineando come la sostanza economica di un’operazione prevalga sulla sua forma giuridica nel valutare la sussistenza di condotte distrattive.

I fatti del caso

Un amministratore di una società operante nel settore dell’estrazione e lavorazione di materiali da cava veniva condannato in primo e secondo grado per bancarotta fraudolenta. L’accusa si fondava su una specifica operazione: l’amministratore aveva prima risolto un contratto di affitto di ramo d’azienda con una società terza, per poi stipularne, pochi giorni dopo, uno nuovo con una società di recente costituzione, riconducibile alla stessa famiglia proprietaria della società poi fallita.

Le condizioni del nuovo contratto erano palesemente anomale:

* Canone irrisorio: Il canone annuo era stato ridotto da 57.600 euro a soli 4.000 euro.
* Mancato incasso: Tale canone non veniva mai effettivamente incassato dalla società concedente, in quanto compensato con l’accollo, da parte della nuova società, del debito relativo ai canoni di leasing dei macchinari.
* Durata anomala: Il contratto aveva una durata trentennale.

Di fatto, l’intera attività produttiva veniva trasferita a una nuova entità “pulita”, mentre la società originaria rimaneva con i soli debiti, principalmente verso l’Erario e gli enti previdenziali.

La decisione della Corte di Cassazione

La Corte Suprema ha dichiarato inammissibile il ricorso dell’imputato, confermando la condanna. I giudici hanno respinto tutte le argomentazioni difensive, ribadendo i principi fondamentali in materia di bancarotta fraudolenta per distrazione.

L’irrilevanza della “bancarotta riparativa” nel caso di specie

Uno dei motivi di ricorso si basava sulla cosiddetta “bancarotta riparativa”, sostenendo che la successiva restituzione dei beni alla società fallita, a seguito di un provvedimento giudiziario, avrebbe neutralizzato gli effetti negativi dell’operazione. La Cassazione ha smontato questa tesi, precisando che la semplice restituzione dei beni non è sufficiente. Per escludere il reato, sarebbe stata necessaria una reintegrazione totale del patrimonio, compreso il valore dei canoni di locazione mai incassati e il danno derivante dalla privazione dei beni strumentali per un certo periodo. Tale reintegrazione, inoltre, deve avvenire prima della dichiarazione di fallimento, cosa che non è accaduta nel caso in esame.

La valutazione della condotta di bancarotta fraudolenta per distrazione

La Corte ha ribadito che il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale non richiede un nesso causale diretto tra l’atto di distrazione e il fallimento. È sufficiente che l’agente abbia causato un depauperamento del patrimonio sociale, destinando le risorse a scopi estranei all’attività d’impresa. L’atto distrattivo assume rilevanza penale in qualsiasi momento sia stato commesso, anche quando l’impresa non si trovava ancora in stato di insolvenza.

Le motivazioni

La ratio decidendi della sentenza risiede nella valutazione complessiva dell’operazione come palesemente fraudolenta. I giudici hanno sottolineato come l’affitto di beni aziendali per un canone incongruo e mai riscosso costituisca una condotta idonea a integrare il fatto distrattivo. La Corte ha considerato l’operazione come un meccanismo volto a privare la società fallita dei suoi beni strumentali, sottraendoli alla garanzia dei creditori. L’insieme degli elementi – il canone simbolico, la durata trentennale, il collegamento tra le società, la tempistica delle operazioni – ha delineato un quadro inequivocabile di un’azione preordinata a danneggiare i creditori, svuotando l’azienda del suo valore produttivo. La Corte ha evidenziato che l’operazione non aveva alcuna logica economica per la società concedente, il cui unico risultato era la perdita totale dei suoi asset operativi a fronte di un corrispettivo inesistente.

Le conclusioni

Questa sentenza riafferma un principio cruciale: nella valutazione della bancarotta fraudolenta per distrazione, conta la realtà economica e l’effetto concreto delle operazioni, non la loro veste formale. Un contratto di affitto, di per sé lecito, diventa uno strumento di distrazione quando le sue condizioni (come un canone irrisorio) sono tali da causare un ingiustificato depauperamento del patrimonio sociale. La pronuncia serve da monito per gli amministratori: ogni operazione deve essere giustificata da una valida ragione economica per l’impresa e non deve mai essere finalizzata a sottrarre beni alla garanzia dei creditori. La successiva “riparazione”, se non totale e antecedente al fallimento, non è sufficiente a escludere la responsabilità penale.

Quando un contratto di affitto di ramo d’azienda può integrare il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione?
Un contratto di affitto di ramo d’azienda integra il reato quando comporta un depauperamento del patrimonio sociale, ad esempio attraverso la previsione di un canone incongruo e mai riscosso, che priva di fatto la società dei suoi beni strumentali senza un adeguato corrispettivo, a danno dei creditori.

La successiva restituzione dei beni distratti alla società fallita esclude il reato di bancarotta?
No, la sola restituzione dei beni non è sufficiente. Per escludere il reato, sarebbe necessaria un’integrale reintegrazione del patrimonio, che compensi anche il danno economico subito dalla società (come i mancati canoni), e tale reintegrazione deve avvenire prima della dichiarazione di fallimento.

Per la configurazione del reato di bancarotta fraudolenta è necessario che l’impresa sia già in stato di insolvenza al momento della condotta?
No. La Corte ha ribadito che ai fini della sussistenza del reato non è necessaria l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione e il successivo fallimento. Le condotte distrattive assumono rilevanza penale in qualsiasi momento siano state commesse, anche quando l’impresa non versava ancora in condizioni di insolvenza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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