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Bancarotta documentale: la responsabilità del prestanome

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per bancarotta documentale a carico di un amministratore di diritto, mero ‘prestanome’. Secondo la Corte, pur in assenza di una gestione attiva, la consapevolezza di fungere da frontman per una ‘società-schermo’ destinata a scopi illeciti è sufficiente per configurare il concorso nel reato, a condizione che l’amministratore di fatto agisca con il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori o procurarsi un ingiusto profitto.

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Pubblicato il 13 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Bancarotta documentale: quando risponde l’amministratore prestanome?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7817/2025, affronta un tema cruciale nel diritto penale fallimentare: la responsabilità dell’amministratore di diritto, o ‘prestanome’, nel reato di bancarotta documentale. Questa pronuncia chiarisce fino a che punto la consapevolezza di partecipare a un meccanismo fraudolento, pur senza un coinvolgimento diretto nella gestione, possa fondare una condanna. L’analisi si concentra sulla natura del dolo specifico e sulla sua configurabilità in capo a chi accetta di ricoprire una carica formale in una società utilizzata come mero ‘schermo’ per attività illecite.

I Fatti di Causa: Il Ruolo del Prestanome

Il caso riguarda un soggetto, amministratore unico di una S.r.l.s., condannato in appello per bancarotta fraudolenta documentale. L’accusa era di aver sottratto o comunque non tenuto i libri e le scritture contabili della società, dichiarata fallita, in concorso con l’amministratore di fatto. La difesa dell’imputato sosteneva che egli fosse un semplice prestanome, originariamente assunto come dipendente dall’amministratore di fatto, e che fosse totalmente estraneo alla gestione societaria. Egli avrebbe accettato la carica formale per poi disinteressarsi completamente delle sorti dell’azienda, tornando persino al suo paese d’origine. Inoltre, la difesa evidenziava una presunta contraddizione, dato che l’imputato era stato assolto dall’accusa di bancarotta per distrazione, non essendo stata provata la sua partecipazione agli atti di spoliazione del patrimonio aziendale.

La Decisione della Cassazione sulla bancarotta documentale

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, confermando la condanna. I giudici hanno stabilito che, ai fini della configurabilità del concorso di persone nel reato di bancarotta documentale, non è necessario che tutti i concorrenti agiscano con il dolo specifico di trarre profitto o danneggiare i creditori. È sufficiente che tale dolo sussista in capo a uno dei concorrenti (in questo caso, l’amministratore di fatto) e che l’altro (il prestanome) sia consapevole della proiezione finalistica della condotta illecita.

La Responsabilità dell’Amministratore di Diritto

La Corte ribadisce un principio fondamentale: l’amministratore di diritto ha un obbligo legale personale di tenere e conservare le scritture contabili. L’omissione di tale dovere costituisce l’elemento materiale del reato. La circostanza di essere un mero ‘prestanome’ non esime da questa responsabilità, soprattutto quando si accetta di ricoprire la carica in una cosiddetta ‘società-schermo’.

La Consapevolezza e il Ruolo nella bancarotta documentale

Il punto centrale della decisione riguarda la prova dell’elemento soggettivo. Secondo la Cassazione, la consapevolezza dell’imputato è stata correttamente desunta da una serie di elementi convergenti: l’aver accettato di costituire la società e di assumerne la carica su richiesta dell’amministratore di fatto, il completo disinteresse per la gestione e il destino della società, e l’ammissione che si trattava di una mera ‘società-schermo’. Questa condizione implica inevitabilmente la consapevolezza che tale entità fosse stata creata per mascherare attività illegali e, di conseguenza, per consentire all’amministratore di fatto di perseguire i suoi scopi illeciti, tra cui quello di recare pregiudizio ai creditori attraverso l’occultamento della contabilità.

Le motivazioni della Sentenza

Nelle motivazioni, la Corte spiega che l’assoluzione dal reato di bancarotta per distrazione non è affatto contraddittoria. Per tale reato è richiesta una conoscenza, anche generica, degli atti di disposizione patrimoniale, conoscenza che nel caso di specie non è stata provata. Per la bancarotta documentale, invece, è sufficiente la consapevolezza della finalità illecita generale per cui la società-schermo è stata creata. Chi accetta di fare da prestanome per una società fantasma non può non essere consapevole che la sua funzione è quella di occultare l’identità del vero gestore e di impedire la ricostruzione delle operazioni economiche, scopo tipico del reato di bancarotta documentale. Il dolo specifico dell’amministratore di fatto (danneggiare i creditori) si ‘comunica’ al prestanome, che ne è consapevole e accetta di fornire il proprio contributo causale al disegno criminoso.

Conclusioni: Cosa Implica questa Decisione

La sentenza rafforza il principio secondo cui il ruolo di ‘testa di legno’ non è uno scudo contro la responsabilità penale. Chi accetta di figurare come amministratore, anche senza compiere atti di gestione, si assume doveri e responsabilità precisi. La decisione chiarisce che la partecipazione a un sistema basato su una ‘società-schermo’ integra la consapevolezza necessaria per il concorso nel reato di bancarotta documentale. Per gli operatori del diritto, ciò significa che l’accertamento non deve fermarsi alla ricerca di un dolo specifico diretto in capo al prestanome, ma può basarsi sulla prova della sua cosciente partecipazione a un meccanismo fraudolento orchestrato da altri.

Un amministratore ‘prestanome’ risponde del reato di bancarotta documentale anche se non gestisce l’azienda?
Sì, risponde del reato in concorso con l’amministratore di fatto. La sua responsabilità non deriva dalla gestione diretta, ma dalla violazione dell’obbligo legale di tenere le scritture contabili e dalla consapevolezza di partecipare a un meccanismo illecito (ad esempio, prestandosi a fare da amministratore per una ‘società-schermo’).

Per la condanna per bancarotta documentale in concorso è necessario che tutti i concorrenti abbiano lo scopo di danneggiare i creditori?
No, non è necessario. Secondo la sentenza, è sufficiente che il dolo specifico (cioè lo scopo di procurare un profitto o danneggiare i creditori) sia presente in almeno uno dei concorrenti (tipicamente l’amministratore di fatto) e che l’altro concorrente (il prestanome) sia consapevole di questa finalità illecita.

L’assoluzione dal reato di bancarotta per distrazione è in contraddizione con la condanna per bancarotta documentale?
No, non c’è contraddizione. La bancarotta per distrazione richiede la conoscenza degli specifici atti di spoliazione del patrimonio, che potrebbero non essere noti al prestanome. La bancarotta documentale, invece, si fonda sull’occultamento della contabilità, e la consapevolezza del prestanome può derivare dal semplice fatto di aver accettato di intestarsi una ‘società-schermo’, creata appositamente per rendere impossibile la ricostruzione dei movimenti economici.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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