Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 35345 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 35345 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME nato a Roma il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 9 febbraio 2024 della Corte d’appello di Roma;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME, che ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Oggetto dell’impugnazione è la sentenza con la quale la Corte d’appello di Roma, confermando, sostanzialmente, la condanna pronunciata in primo grado (riformata solo in termini di trattamento sanzionatorio), ha ritenuto NOME COGNOME responsabile del delitto di bancarotta fraudolenta documentale, perché, nella sua qualità di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE (dichiarata fallita il 26 settembre 2014) avrebbe sottratto (o distrutto) i libri e le altre scritture con-
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tabili della predetta società allo scopo di recare pregiudizio ai creditori e di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, in guisa da non rendere possibile la corretta ricostruzione del patrimonio e del volume degli affari.
2. Il ricorso si compone di due motivi d’impugnazione.
2.1. Il primo deduce la mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento oggettivo del reato contestato. La difesa premette che la formulazione del capo di imputazione lascerebbe intendere la contestazione di entrambe le ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale, quella generica (aver tenuto la documentazione in modo tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari) e quella specifica (aver distrutto, sottratto o occultato la documentazione contabile al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o arrecare pregiudizio ai creditori).
Ebbene, a fronte di tale duplicità di contestazioni, la sentenza di primo grado avrebbe rilevato la sussistenza di entrambe le ipotesi delittuose, mentre la Corte territoriale, senza riformare la precedente decisione, avrebbe ritenuto sussistente solo quella specifica. In ciò la dedotta illogicità della motivazione e la necessità di escludere l’accertamento della responsabilità del ricorrente in ordine alla bancarotta generica, comunque, in sé, insussistente in ragione della pacifica assenza della documentazione.
2.2. Il secondo motivo censura la motivazione posta a sostegno della ritenuta responsabilità in riferimento, appunto, alla bancarotta documentale specifica, quanto, in particolare, al profilo psicologico che, in ipotesi, avrebbe assistito la condotta contestata.
La difesa premette che la sussistenza del dolo specifico sarebbe stata desunta da una pluralità di circostanze specificamente indicate: a) l’aver acquistato, nel corso dell’anno 2011, beni per 262.471 euro, a fronte di un incasso di soli 5.236 euro; b) l’aver fatto subentrare alla sorella NOME, quale nuovo amministratore, NOME COGNOME, un mero prestanome che non avrebbe svolto alcuna attività gestoria; c) l’aver effettuato prelevamenti di denaro contante per 70.000 euro.
Ebbene, sotto il primo profilo, da un canto, sarebbe contro ogni logica indebitarsi volontariamente per una somma così ingente (262.471 euro) sottraendo le relative risorse al proprio guadagno personale; dall’altro, il fallimento è stato dichiarato su istanza di un creditore, RAGIONE_SOCIALE, per un credito modesto e lo stesso debito totale della fallita risulterebbe di poco superiore. E tanto dovrebbe far dedurre come la condotta evidenziata non avrebbe prodotto alcun danno materiale per i creditori.
Quanto al secondo profilo, da un canto, la nomina di un prestanome non sarebbe condotta distrattiva (per cui non potrebbe assumere valenza probatoria in
relazione alla sussistenza del dolo specifico); dall’altro, non sarebbe stato specificato se tale amministratore sia stato inserito dal ricorrente (NOME COGNOME) o dall’amministratore di diritto (NOME COGNOME).
Quanto al terzo profilo, la Corte territoriale non avrebbe dato conto della circostanza per cui l’imputato ben avrebbe potuto effettuare i numerosi prelievi di denaro per pagare i clienti fornitori del supermercato in contanti, così da ricevere ovvi vantaggi economici; circostanza avvalorata dal fatto che nessun fornitore ha mai vantato alcun credito insoddisfatto nei confronti della fallita. E tanto varrebbe per i dipendenti, per gli enti previdenziali e, in ultimo, per la società proprietaria dell’immobile dato in affitto alla fallita.
In ogni caso, le scritture contabili mai gli sarebbero state richieste.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo è infondato.
Va premesso che il reato di bancarotta fraudolenta documentale si può manifestare nelle sue due alternative forme descritte (entrambe) al n. 2 dell’art. 216 I. fall.: l’occultamento, la sottrazione o la distruzione delle scritture contabili (per la cui sussistenza è necessario il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori, consistendo, anche sotto forma della loro omessa tenuta, nella fisica sottrazione delle stesse alla disponibilità degli organi fallimentari) e la fraudolenta tenuta di tali scritture (che, invece, integra un’ipotesi di reato a dolo generico, che presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dai predetti organi: Sez. 5, n. 18634 del 1/2/2017, Autunno, Rv. 269904; Sez. 5, n. 26379 del 5/3/2019, COGNOME, Rv. 276650).
Ciò considerato, il ricorrente è stato tratto a giudizio per aver sottratto (o distrutto e, comunque, non consegnato) i libri contabili della società da lui amministrata al fine specifico di recare pregiudizio ai creditori o di procurarsi un ingiusto profitto, rendendo, così, impossibile la ricostruzione del patrimonio e del volume degli affari. Ebbene, formulata in questi termini, essendo chiaramente indicata la condotta che caratterizza la fattispecie (la fisica sottrazione delle stesse alla disponibilità degli organi fallimentari), peraltro concordemente ritenuta da entrambi i giudici di merito e non negata dal ricorrente nella sua oggettività, la contestazione deve intendersi riferita alla bancarotta fraudolenta documentale specifica, nonostante il successivo (pleonastico) riferimento alla “impossibilità di una ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari”; inciso non solo del tutto irrilevante nell’economia della fattispecie, ma anche oggettivamente tautologico, comportando, in sé, la condotta materiale contestata, la logica impossibilità della prospettata ricostruzione.
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Ciò premesso, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, il giudice di primo grado (con valutazione confermata in appello), avendo chiaramente indicato la specifica finalizzazione della condotta posta in essere, non ha ritenuto sussistente entrambe le fattispecie (tra loro ontologicamente incompatibili, laddove riferite alle medesime scritture), ma solo quella specifica, rilevando la consapevolezza dello stato di dissesto quale elemento logico, sotto il profilo probatorio, dal quale dedurre il coefficiente psicologico.
Da ciò l’infondatezza del primo motivo di ricorso.
Con il secondo, per come si è detto, il ricorrente lamenta la mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza del coefficiente psicologico che deve assistere la bancarotta fraudolenta documentale specifica.
Il motivo è infondato.
Va premesso che il reato contestato, per come costantemente ritenuto da questa Corte, si caratterizza, sotto il profilo soggettivo, per la particolare finalizzazione della condotta, che deve essere posta in essere allo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori; un profilo, quello della frode, che distingue le figure delittuose di bancarotta documentale di cui all’art. 216, comma 1, n. 2, legge fall. dalle ipotesi, che ne sono prive, di bancarotta semplice, previste dal successivo art. 217, il cui secondo comma incrimina, parimenti, l’omessa o irregolare tenuta dei libri contabili, sia essa volontaria o dovuta a mera negligenza (Sez. 5, n. 2900 del 02/10/2018, dep. 2019, Pisano, Rv. 274630-01).
Sotto il profilo probatorio, lo scopo fraudolento che deve caratterizzare il fatto può essere desunto (in ragione della natura psicologica del dato da apprezzare) dalla complessiva ricostruzione della vicenda e dalle circostanze del fatto che la caratterizzano, significativi della finalizzazione del comportamento omissivo all’occultamento delle vicende gestionali (Sez. 5, n. 2228 del 04/11/2022, dep. 2023, Occhiuzzi, Rv. 283983).
Ciò considerato, la Corte territoriale ha dato atto che:
l’imputato era il dominus della RAGIONE_SOCIALE;
tutta la documentazione era in possesso del ricorrente, al quale era stata consegnata dalla società RAGIONE_SOCIALE;
la società, dopo aver effettuato ingenti acquisti nell’anno 2011 ed averne al contempo venduto una minima parte, aveva chiuso il supermercato di Guidonia, unica sua fonte di reddito;
prima della chiusura, l’amministratore di diritto (sorella dell’imputato) aveva rassegnato le proprie dimissioni dalla carica ed era subentrato NOME COGNOME,
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risultato essere mero prestanome, con identiche funzioni in un numero elevatissimo di aziende;
dall’analisi dei conti correnti bancarimerano emersi numerosi prelievi nel corso dell’anno 2011, per un complessivo importo di oltre 70.000 euro, tutti privi di causale e di giustificazione contabile (circostanza rilevante nella sua oggettività, a prescindere dalla sussistenza di formali contestazioni);
sempre nel corso del 2011, la fallita aveva effettuato numerosi acquisti – per 262.471 euro – a fronte di uno scarsissimo incasso (di poco superiore ai cinquemila euro), dell’assenza di qualsiasi traccia contabile della successiva alienazione e del mancato rinvenimento dei beni acquistati al momento dell’apertura del fallimento.
Ebbene, alla luce di tale analitica motivazione, le censure sollevate dalla difesa: a) si limitano a richiamare parti di singoli elementi di prova, senza considerare che la valutazione del compendio istruttorio impone di considerare ogni singolo fatto e il loro insieme non in modo parcellizzato e avulso dal generale contesto probatorio, ma nel loro vicendevole rapporto, all’interno di una costruzione logica, armonica e consonante (Sez. 2, n. 33578 del 20/05/2010, Rv. 248128): b) seppur formulate sotto i profili della violazione di legge (in termini di mancanza di motivazione) o di asserita illogicità, si risolvono in una rivalutazione dei dati probatori acquisiti, dimenticando che la valutazione delle emergenze probatorie postula, intrinsecamente, la necessità di comparare e coordinare i singoli elementi di prova, nella loro individuale e complessiva valenza dimostrativa. Un apprezzamento in fatto riservato, ontologicamente, al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare in modo accurato le ragioni del proprio convincimento (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, Rv. 271623).
In ultimo, la circostanza che la documentazione non fosse stata richiesta dal curatore è del tutto irrilevante ai fini dell’accertamento della responsabilità.
L’imprenditore dichiarato fallito, infatti, ha lo specifico obbligo di consegnare al curatore tutte le scritture contabili inerenti all’impresa e ogni ulteriore documentazione da lui richiesta (art. 86 I. fall., oggi 194 CCI). Un obbligo che si pone come adempimento ulteriore e differente rispetto a quello indicato nel decreto di convocazione (art. 15 I. fall., oggi 41 CCI) e, successivamente, nella sentenza dichiarativa del fallimento (art. 16 I. fall., oggi 49 CCI).
Questi ultimi, diversamente caratterizzati per l’oggetto (i soli bilanci o le complessive scritture contabili) e per la funzione (verifica e controllo della sussistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi di fallibilità, art. 15; iniziale controllo della consistenza statica e dinamica dell’impresa in quanto strumentale ai primi improcrastinabili adempimenti del curatore), attengono alla sola documentazione relativa agli ultimi tre anni di vita dell’impresa. Mentre la “consegna” di cui all’art. 86
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avviene nelle mani del curatore e riguarda tutta la documentazione contabile della quale è obbligatoria la conservazione (e, quindi, degli ultimi dieci anni di attività: art. 2220 cod. civ.).
Tale ultima previsione, in particolare, è finalizzata alla necessaria ricostruzione della consistenza patrimoniale dell’impresa, nelle sue componenti attive e passive, statiche e dinamiche, quale attività prodromica alla successiva liquidazione. Attività che, all’evidenza, presuppongono una completa ed attendibile ricostruzione della documentazione contabile (ed extracontabile) e che trovano il loro prius logico nelle disposizioni normative contenute nell’art. 2214 cod. civ. e, sotto il profilo tributario e fiscale, nelle norme riportate nel d.P.R. 600/73.
Che tale obbligo (quello della consegna di tutta la documentazione contabile) discenda direttamente dalla legge e prescinda da una specifica richiesta formulata dal curatore è logica conseguenza della necessaria strumentalità, nei termini evidenziati, della documentazione stessa rispetto alle ineludibili attività di accertamento e liquidazione strutturalmente connesse alla procedura fallimentare. In tal senso, infatti, l’inciso contenuto nel richiamato art. 86 (alla richiesta del curatore) si riferisce, esplicitamente, alla sola documentazione ulteriore e diversa rispetto a quella strictu sensu contabile, ove ritenuta necessaria dagli organi fallimentari.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 10 luglio 2024
Il Consigliere estensore
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i Presidente