Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 43145 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 43145 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CAVA DE’ TIRRENI il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 29/01/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che si è riportato alla requisitoria depositata, concludendo per l’inammissibilità del ricorso;
lette le conclusioni del difensore della parte civile, AVV_NOTAIO, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso o il suo rigetto, con rimborso delle spese di giudizio;
udito il difensore dell’imputato, AVV_NOTAIO, che si riporta ai motivi del ricorso e insiste per l’accoglimento dello stesso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di Roma ha confermato la condanna del ricorrente, NOME COGNOME, per i reati di bancarotta fraudolenta, sia distrattiva che
documentale, per avere, quale amministratore della RAGIONE_SOCIALE, dal 18/02/2009 al 26/07/2010 e dal 04/02/2013 al 21/07/2017, data del fallimento:
distratto euro 320.000,00, prezzo della vendita di un immobile avvenuta il 24/06/2010;
sottratto, allo scopo di procurarsi un ingiusto profitto e di recare pregiudizio ai creditori, i libri e le altre scritture contabili, in modo rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari.
È stata ritenuta l’aggravante dei plurimi fatti di bancarotta fraudolenta.
Ha proposto ricorso per Cassazione l’imputato, lamentando vizi di motivazione e violazioni di legge.
In sintesi, la Corte d’appello, da un lato, in relazione alla distrazione aveva invertito l’onere della prova, addossandolo all’imputato, e aveva comunque trascurato il provato utilizzo della somma a fini aziendali, dall’altro lato, ave desunto il dolo specifico della bancarotta documentale dalla mera mancata collaborazione col curatore fallimentare, da parte dell’imputato, senza considerare il disturbo depressivo maggiore da cui questi era affetto.
2.1. In dettaglio, col primo motivo parte ricorrente lamenta la violazione degli artt. 216, comma 1, numero 1, 219, comma 2, numero 1, e 223 r.d. 267/1942, nonché l’illogicità ed insufficienza della motivazione in relazione alla condanna per la distrazione contestata.
Si assume che la Corte d’appello avesse ritenuto provata tale distrazione desumendola dalla mera omessa consegna della contabilità, in tal modo invertendo l’onere della prova a carico dell’imputato, costretto a dimostrare la specifica destinazione di ciascuna entrata al fine di sottrarsi all’accusa.
Si evidenzia, comunque, come il corrispettivo in oggetto fosse stato incassato oltre sette anni prima del fallimento e come, in ogni caso, fosse stato dimostrato il suo impiego per esigenze aziendali. Infatti, a fronte del riliev operato dal giudice d’appello, secondo cui le fatture asseritamente pagate con l’importo in questione, emesse dalla RAGIONE_SOCIALE, risalissero al 2009, e cioè a prima della vendita, lo stesso giudice non avrebbe considerato:
gli importi comunque spesi nel 2010 dalla fallita, pari ad euro 266.059,74, di cui alla consulenza tecnica prodotta dall’imputato;
la vendita di beni e la prestazione di servizi, per euro 412.377,00, e l’acquisto di beni o servizi, per euro 310.082,00, negli anni 2014/2016, come da informativa della polizia giudiziaria datata 8/11/2018, ciò che dimostrava esborsi superiori al prezzo di cui alla detta vendita;
la nomina del COGNOME, quale amministratore della società poi fallita, solo in data 01/03/2013, tre anni dopo la menzionata vendita.
La Corte d’appello avrebbe violato il principio giurisprudenziale secondo cui il rinvenimento dei beni asseritamente distratti o l’individuazione specifica della · loro effettiva destinazione a favore della società fossero idonei a dar cont dell’insussistenza della distrazione. Tale principio, peraltro, secondo parte ricorrente non sarebbe neanche applicabile al denaro, ma a beni diversi da esso.
Infine, per la difesa del COGNOME non sarebbe stato erroneamente valorizzato quanto scritto nella relazione del curatore, secondo cui, più che una distrazione del corrispettivo, si sarebbe trattato di una vendita simulata dell’unico bene immobile della società a favore della figlia dell’amministratore e socia della fallita
3.2. Col secondo motivo, si lamentano la violazione degli artt. 216, comma 1, numero 2, 219, comma 2, numero 1, e 223 r.d. 267/1942 e vizi di motivazione circa la ritenuta ricorrenza del dolo specifico della bancarotta fraudolenta documentale.
La Corte d’appello non avrebbe adeguatamente considerato il disturbo depressivo maggiore da cui era affetto l’imputato, valorizzando elementi – il falso indirizzo di posta elettronica agli organi fallimentari e l’incarico dato dal Torrett un legale, al fine di fornire i documenti necessari alla curatela, cui non era stat dato alcun seguito – inidonei a provare il dolo specifico anzidetto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è infondato, mentre va accolto il secondo.
1.1. Circa il primo motivo, è pacifico che la prova della distrazione dei beni sociali, desumibile dalla «mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore, della destinazione di tali beni al soddisfacimento delle esigenze della società o al perseguimento dei relativi fini, deve valere non solo per quei cespiti che in epoca prossima al fallimento (è riscontrato che) fossero nella disponibilità della società dichiarata fallita, ma anche per quelli che parimenti risultassero nella disponibilit della medesima sulla scorta degli ultimi documenti contabili attendibili redatti in esercizi anche distanti rispetto al fallimento, prima che gli amministratori venissero meno all’obbligo di tenuta dei libri contabili, o in modo integrale o comunque con una gestione della contabilità con modalità tali da impedire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari» (così, in motivazione, Sez. 5, n. 6548 del 10/12/2018, dep. 2019, Rv. 275499-01; confronta, negli stessi termini Sez. 5, n.
17228 del 17/01/2020, Rv. 279204-01). Orbene, il principio appena richiamato è stato affermato proprio in relazione all’accusa di distrazione di una cospicua somma di denaro. Del resto, non si vede perché mai lo stesso dovrebbe valere solo per beni diversi dal denaro, come sostiene la difesa dell’imputato.
Nella specie, nulla oppone parte ricorrente all’affermazione secondo cui le fatture della RAGIONE_SOCIALE, che il COGNOME aveva sostenuto fossero state pagate col prezzo ricavato dalla menzionata vendita, fossero anteriori a questa. Anzi, l’allegazione, in questa sede, di altre ipotetiche destinazioni del denaro conferma che esso non fu usato per pagare tali fatture.
Sennonché, anche a prescindere dalla novità di questi ultimi assunti, per la prima volta addotti in questa sede, gli stessi si rivelano pure inidonei a scalfire l motivazione impugnata.
Anzitutto, gli importi spesi nel 2010 dalla fallita, per euro 266.059,74, non coprono, comunque, l’intero prezzo della vendita di cui si tratta, pari ad euro 320.000,00. In secondo luogo, correttamente la sentenza impugnata ha rilevato che una contabilità parziale ben potrebbe essere confezionata ad hoc, proprio allo scopo di far apparire una data situazione, diversa da quella reale: con una “ricostruzione dell’andamento degli affari sociali in termini fittizi e di comodo” d tutto inattendibile. Nello specifico, non si vede cosa possa dimostrare il generico dato contabile relativo alle spese societarie del 2010, “orfano” dell’altro elemento all’uopo significativo, relativo agli introiti societari in quell’anno. Né si vede c possa prescindersi dall’analisi anche della contabilità degli anni precedenti.
E non si comprende perché tanto invertirebbe l’onere della prova: nella specie, la Corte d’appello si è limitata a prendere atto che il provato incasso di determinate somme non trovi corrispondente adeguata giustificazione della loro destinazione a favore della società.
Analogamente, la ricostruzione, da parte degli organi inquirenti, delle spese e degli incassi, per gli anni 2014/2016, rispettivamente pari ad euro 310.082,00 ed euro 412.377,00, è inidonea a giustificare l’impiego del prezzo della menzionata vendita: essendo, evidentemente, l’esborso sostenuto complessivamente in tali anni per tabulas stato finanziato dai coevi maggiori introiti.
In definitiva, correttamente la sentenza impugnata ha ritenuto, da un lato, che la contabilità parziale fornita dall’imputato fosse inidonea a dar conto della destinazione del prezzo della vendita in esame al soddisfacimento delle esigenze della società, essendo del tutto inaffidabile, e, dall’altro lato, che neppure ricostruzione delle operazioni societarie, da parte degli inquirenti, desse contezza di detta destinazione.
In tal modo, la Corte d’appello si è uniformata al già citato principio,
affermato da questa Corte, secondo cui deve ritenersi provata la distrazione di quei beni entrati nel patrimonio societario del cui destino nulla si sappia (Sez. 5, n. 6548 del 10/12/2018, dep. 2019, Rv. 275499-01; Sez. 5, n. 17228 del 17/01/2020, Rv. 279204-01).
Da ultimo, inidonei a scalfire la logica motivazione qui censurata sono gli ulteriori argomenti difensivi di cui al ricorso, peraltro anch’essi qui dedotti per prima volta.
La nomina del COGNOME, quale amministratore della fallita, solo in data 1/3/2013 non considera l’accertamento, rimasto senza alcuna censura, secondo cui lo stesso era stato amministratore anche dal 18/02/2009 al 26/07/2010, ovvero allorché era avvenuta la vendita dell’immobile, il 24/06/2010.
L’assunta, e non provata, simulazione della vendita è persino contraddittoria rispetto alla tesi sostenuta sino all’atto d’appello: non avendo, sin lì, mai negato COGNOME la ricezione del prezzo in questione, asserendone, anzi, il menzionato suo reimpiego per pagare le fatture emesse nel 2009 dalla RAGIONE_SOCIALE
1.2. Il secondo motivo di ricorso è, come anticipato, fondato.
È pacifico che la fattispecie di occultamento, omessa tenuta o distruzione delle scritture contabili di cui all’art. 216, comma 1, numero 2, prima parte, r.d. 267/1942 possa ritenersi integrata anche in presenza di fisica mancata consegna delle stesse agli organi fallimentari e che sia fattispecie alternativa, in seno al medesima disposizione, rispetto alla fraudolenta tenuta di tali scritture, tale da impedire la ricostruzione del patrimonio o gli affari dell’impresa: reato, quest’ultimo, a dolo generico che presuppone un accertamento condotto sulle scritture contabili rinvenute (Sez. 5, n. 26379 del 5/3/2019, Rv. 276650-01; Sez. 5, n. 26613 del 22/02/2019, Rv. 276910-01; Sez. 5, n. 18634 del 1/2/2017, Rv. 269904-01), laddove, invece, la fattispecie di occultamento, omessa tenuta o distruzione delle scritture contabili richiede il fine di recare pregiudizio ai credi o di procurare a sé o altri un ingiusto profitto (Sez. 5, n. 10968 del 31/01/2023, Rv. 284304-01, in motivazione; Sez. 5, n. 2900 del 02/10/2018, dep. 2019, Rv. 274630-01).
Entrambe le fattispecie, poi, si distinguono dalla bancarotta documentale semplice, di cui all’art. 217, comma 2, r.d. 267/1942.
Tale fattispecie non richiede che si impedisca la ricostruzione del volume d’affari o del patrimonio del fallito ed il relativo dolo generico (Sez. 5, n. 277 del 28/05/2024, Rv. 286641-01; Sez. 5, n. 11390 del 09/12/2020, dep. 2021, Rv. 280729-01; Sez. 5, n. 2900 del 02/10/2018, dep. 2019, Rv. 274630-01).
E neppure richiede il detto dolo specifico correlato alla mancanza della contabilità, volto a recare pregiudizio al ceto creditorio o a perseguire un ingiusto
profitto (Sez. 5, n. 44293 del 17/11/2005, Rv. 232816-01; Sez. 5, n.18868 del 24/01/2023, non massinnata).
È infatti sufficiente, per la bancarotta documentale semplice, che l’agente ometta, anche per negligenza, di tenere le scritture contabili per il periodo ivi indicato.
Nel caso di specie, la Corte d’appello dà conto, assieme al dato oggettivo della mancata consegna delle scritture contabili, dell’atteggiamento non collaborativo del COGNOME e delle infondate giustificazioni date al riguardo da costui.
Orbene, in taluni precedenti di questa Corte, tale condotta, che, di per sé sola integrerebbe in effetti il solo elemento oggettivo del reato, se connotata da alcune peculiarità, quali la sottrazione di alcuni beni, la cui destinazione rest incerta proprio per la mancata consegna della contabilità, oppure l’ingente esposizione debitoria finale, è stata ritenuta sintomo del fine specifico qui in discussione (Sez. 5, n. 10968 del 31/01/2023, Rv. 284304-01, in motivazione; Sez. 5, n. 47762 del 16/12/2022, non massimata).
Ma è altrettanto vero che, né dalla sentenza d’appello, né da quella di primo grado si desume (con sufficiente chiarezza) la sussistenza di analoghi elementi che possano, in qualche modo, “colorare” la condotta omissiva.
Tali sentenze non chiariscono, insomma, se le condotte da esse valorizzate siano (come si richiede in simili casi, ai fini della dimostrazione del dolo specifico) inserite in un contesto di qualificato pregiudizio per il ceto creditorio.
Neppure risulta che le dette omissioni, reiterate e mal giustificate dall’imputato, siano collegate ad altri “indici” rivelatori del fine in discussione.
Sicché manifestamente insufficiente e carente si rivela, all’uopo, la motivazione della sentenza impugnata laddove fa perno sull’omessa collaborazione dell’imputato con la curatela, per quanto con le connotazioni “elusive” indicate dalla medesima Corte d’appello, senza indicare ulteriori elementi che, unitamente considerati con quelli detti, siano tali da far desumere la sussistenza anche del menzionato dolo specifico: aspetto su cui il giudice di rinvio dovrà operare, sulla base dei menzionati criteri, una nuova valutazione.
La domanda di rifusione delle spese formulata dalla parte civile va opportunamente esaminata all’esito della definitiva decisione sulle esatte responsabilità dell’imputato, di modo da consentire la precisa applicazione del principio di soccombenza.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di bancarotta documentale, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Roma. Rigetta nel resto il ricorso. Spese della pc al definitivo.
Così deciso in data 19/9/2024
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