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Bancarotta documentale: la Cassazione fa chiarezza

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12728/2024, ha confermato la condanna per bancarotta fraudolenta documentale e distrattiva a carico degli amministratori di una società fallita. La Corte ha ribadito che, ai fini del reato, la sottrazione o distruzione delle scritture contabili è equivalente alla loro omessa tenuta, qualora impedisca la ricostruzione del patrimonio. Inoltre, in caso di beni aziendali non rinvenuti, spetta all’amministratore l’onere di fornire una prova specifica della loro destinazione per escludere la distrazione.

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Pubblicato il 9 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Bancarotta Fraudolenta Documentale: La Cassazione chiarisce la responsabilità dell’amministratore

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 12728/2024) offre importanti chiarimenti sulla bancarotta fraudolenta documentale e sulla bancarotta per distrazione, delineando con precisione le responsabilità degli amministratori nella gestione contabile e patrimoniale di una società in crisi. La pronuncia conferma un orientamento rigoroso, volto a tutelare i creditori e la trasparenza del mercato.

I fatti del processo

Il caso riguarda due amministratori di una S.r.l., dichiarata fallita, condannati in appello per concorso in bancarotta fraudolenta. Le accuse erano principalmente due:
1. Bancarotta fraudolenta documentale: Gli amministratori erano accusati di aver sottratto o distrutto le scritture contabili relative agli ultimi sei mesi di vita della società, rendendo impossibile per il curatore fallimentare ricostruire il patrimonio e il movimento degli affari. Inoltre, negli anni precedenti, avevano iscritto in bilancio ricavi fittizi per mascherare le perdite e rappresentare una situazione economica più solida di quella reale.
2. Bancarotta fraudolenta per distrazione: Uno degli amministratori era anche accusato di aver distratto beni e rimanenze per un valore di oltre 500.000 euro, beni che, pur risultando dalla contabilità, non sono stati trovati al momento del fallimento.

Gli imputati hanno presentato ricorso in Cassazione, contestando le conclusioni della Corte d’Appello.

I motivi del ricorso in Cassazione

La difesa ha sollevato diverse obiezioni. In primo luogo, per la bancarotta fraudolenta documentale, ha sostenuto che vi fosse un difetto di correlazione tra l’accusa (sottrazione e distruzione dei libri contabili) e la motivazione della sentenza, che avrebbe considerato la condotta equivalente a una ‘omessa tenuta’ delle scritture, mai formalmente contestata. Inoltre, si contestava la sussistenza del dolo specifico, ovvero l’intenzione di arrecare pregiudizio ai creditori.

Per quanto riguarda i ricavi fittizi, la difesa ha argomentato che si trattava di entrate reali, maturate ma non fatturate per evitare di dover versare l’IVA in un momento di impossibilità di incasso dal cliente. Infine, in merito alla distrazione, si lamentava che non fosse stato chiaramente identificato l’oggetto reale dei beni distratti.

L’analisi della Corte sulla bancarotta fraudolenta documentale

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente i ricorsi, ritenendoli infondati. Sul primo punto, ha chiarito un principio fondamentale: ai fini del reato di bancarotta fraudolenta documentale, le condotte di sottrazione, distruzione, occultamento o omessa tenuta delle scritture contabili sono equivalenti quando producono lo stesso risultato, ossia impedire la ricostruzione del patrimonio e degli affari. Non sussiste, quindi, alcuna violazione del diritto di difesa se la condanna si fonda su una condotta (omessa tenuta) che, pur non esplicitata nel capo d’imputazione, rappresenta il nucleo del fatto contestato (la sparizione dei documenti contabili).

Per quanto riguarda l’iscrizione di ricavi fittizi, la Corte ha sottolineato che tale condotta integra il reato perché fornisce una rappresentazione fallace della situazione patrimoniale della società, ritardando la percezione dello stato di decozione da parte dei creditori. Per questa fattispecie, è sufficiente il dolo generico, ovvero la consapevolezza e volontà di falsificare le scritture, senza che sia necessario provare il dolo specifico di voler danneggiare i creditori.

La prova della distrazione dei beni

Un altro aspetto cruciale della sentenza riguarda la bancarotta per distrazione. La Cassazione ha ribadito il principio consolidato della cosiddetta ‘inversione dell’onere della prova’. Quando, a fronte di registrazioni contabili che attestano la presenza di determinati beni, questi non vengono rinvenuti dal curatore fallimentare, spetta all’amministratore fornire una spiegazione attendibile e specifica della loro destinazione.

Non è sufficiente, secondo i giudici, addurre giustificazioni generiche, come il deterioramento dei beni o il loro utilizzo per far fronte ai costi gestionali. L’amministratore deve fornire indicazioni precise e concrete che permettano di individuare l’effettiva sorte del patrimonio sociale. In assenza di tale prova, la mancata reperibilità dei beni costituisce una prova logica della loro distrazione.

Le motivazioni

La Corte ha ritenuto che i ricorsi degli imputati fossero finalizzati a una rivalutazione dei fatti, inammissibile in sede di legittimità. Le motivazioni della Corte d’Appello sono state giudicate logiche, coerenti e giuridicamente corrette. La sentenza impugnata ha correttamente applicato i principi giurisprudenziali in materia, stigmatizzando sia la mancata consegna della contabilità relativa ai mesi cruciali prima del fallimento, sia la falsificazione dei bilanci che aveva mascherato lo stato di crisi. La Corte ha inoltre confermato che la responsabilità per la distrazione sorge dalla mancata giustificazione della destinazione dei beni che dovrebbero trovarsi nel patrimonio aziendale, un onere che grava direttamente sull’amministratore.

Le conclusioni

La sentenza n. 12728/2024 rafforza la tutela dei creditori e del corretto funzionamento del mercato. Le conclusioni che se ne traggono sono chiare:
1. Gli amministratori hanno un dovere inderogabile di tenere e conservare correttamente le scritture contabili fino alla fine. La loro sparizione, a prescindere dal fatto che sia qualificata come sottrazione, distruzione o omessa tenuta, costituisce un grave reato se impedisce la trasparenza contabile.
2. La rappresentazione di una situazione finanziaria migliore del reale attraverso artifici contabili è sempre sanzionata, poiché inganna i terzi sulla solidità dell’impresa.
3. L’amministratore è il custode del patrimonio sociale. In caso di fallimento, deve essere in grado di rendere conto di ogni bene. L’impossibilità di farlo, senza una spiegazione plausibile e documentata, equivale a una confessione di distrazione.

Nascondere i libri contabili è diverso dal non averli mai tenuti ai fini della bancarotta fraudolenta documentale?
No, per la Cassazione le condotte si equivalgono. Se il risultato è impedire la ricostruzione del patrimonio, la condanna per bancarotta fraudolenta documentale è legittima anche se l’accusa menzionava la sottrazione e la sentenza si basa sull’omessa tenuta, poiché la difesa ha avuto modo di comprendere il nucleo dell’accusa.

Se un amministratore non ritrova i beni della società fallita, cosa deve dimostrare per evitare una condanna per bancarotta per distrazione?
L’amministratore ha l’onere di fornire una spiegazione specifica e documentata sulla destinazione dei beni mancanti. Secondo la Corte, non è sufficiente un’affermazione generica che i beni siano stati assorbiti dai costi di gestione o si siano deteriorati. Deve fornire informazioni precise che consentano il loro recupero o l’individuazione della loro effettiva destinazione.

Registrare in bilancio ricavi non ancora fatturati per nascondere le perdite costituisce bancarotta fraudolenta documentale?
Sì. La Corte ha stabilito che mantenere appostazioni attive fittizie in contabilità, anche se basate su lavori realmente eseguiti ma non fatturabili, costituisce il reato. Tale condotta fornisce una rappresentazione falsa della situazione patrimoniale, ritardando la presa di coscienza dello stato di crisi da parte dei creditori e del pubblico, e richiede solo un dolo generico, cioè la consapevolezza di falsificare le scritture.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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