Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 47284 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 47284 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 24/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a BERGAMO il 2/09/1963
avverso la sentenza del 30/01/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente al delitto di bancarotta fraudolenta documentale e la declaratoria di inammissibilità nel resto;
udito, per l’imputato, l’avv. COGNOME che ha concluso riportandosi ai motivi di ricorso e chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 30 gennaio 2024, la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Milano in data 20 aprile 2023 con la quale, all’esito di giudizio abbreviato, NOME COGNOME era stato condannato, con la diminuente del rito, alla pena di 2 anni e 2 mesi di reclusione in quanto riconosciuto colpevole dei delitti previsti dagli artt. 223, comma 1, n. 1, 216, comma 1, nn. 1 e 2, r.d. 16 marzo 1942, n. 267. Secondo quanto accertato in sede di merito, COGNOME nella sua qualità di socio al 95%, di amministratore unico e di presidente del consiglio di amministrazione dall’Il novembre 2003 al 10 giugno 2015, della società RAGIONE_SOCIALE dichiarata fallita dal Tribunale di Milano in data 22 ottobre 2019, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, tra il dicembre 2012 e il maggio 2015 aveva sottratto la somma complessiva di 694.259,05 euro, attraverso bonifici e assegni non giustificati eseguiti dal conto corrente della società presso la Banca Popolare di Milano (capo B). Inoltre, non aveva provveduto alla consegna al curatore dei libri e delle scritture contabili della fallita, non consentendo la ricostruzione d patrimonio o del movimento degli affari (capo C).
Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione lo stesso COGNOME a mezzo del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME deducendo tre distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, il ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 223, n. 1, 216, comma 1, n. 2, legge fall., nonché il difetto o la manifesta illogicità della motivazione in relazione all’elemento oggettivo e soggettivo del reato e alla mancata riqualificazione dei fatti in bancarotta semplice.
Benché nell’atto di appello la difesa avesse dedotto il travisamento della prova documentale fornita in ordine al coinvolgimento di alcuni professionisti nella tenuta delle scritture contabili della fallita, per la Corte territoriale censura sarebbe infondata poiché l’imputato avrebbe fornito, sul punto, informazioni generiche e imprecise e non avrebbe riferito nulla circa il «passaggio di consegna» a NOME COGNOME succedutogli nell’amministrazione della società dal 2015. Secondo la stessa Corte, inoltre, la responsabilità dell’imputato non sarebbe esclusa neppure ammettendo che egli avesse effettivamente delegato a tecnici esterni la tenuta delle scritture contabili. In realtà, mentre nel primo caso, ricorrerebbe una omessa tenuta delle scritture contabili punibile soltanto ove ricorra il dolo specifico, nella seconda ipotesi, s potrebbe addebitare a COGNOME di non aver verificato la corretta tenuta delle
scritture e di avere, con la propria condotta, reso impossibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento d’affari della fallita, punibile come bancarotta fraudolenta ove sussista il dolo generico e come bancarotta semplice ove ricorra una semplice negligenza o imperizia. E dal momento che tra le ipotesi in questioni ricorrerebbe un rapporto di «vera e propria alternatività», non potendo ascriversi all’agente entrambe le condotte, la Corte di appello sarebbe incorsa in un evidente vizio di motivazione, non avendo compiuto una scelta tra le due possibili opzioni ricostruttive.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorso censura, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 216 comma 1, n. 1, legge fall., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione per travisamento del dato probatorio.
Secondo il primo Giudice, la prova della distrazione era stata ricavata dall’accertamento dell’esistenza di bonifici e pagamenti «disposti a partire dal dicembre 2012 quando la società era di fatto inattiva» (sentenza GUP), laddove dalla relazione del curatore, come dedotto nell’appello, sarebbe emerso che la società era rimasta attiva fino alla cessione delle quote avvenuta nel 2015. Circostanza confermata dalla lettura della movimentazione bancaria, da cui sarebbe emersa una società non in dissesto, ma in attività, grazie principalmente all’attività di COGNOME e collaborazioni e consulenti esterni. Tuttavia, secondo la Corte territoriale, la tesi secondo cui la società avrebbe continuato a operare fino al 2015 è smentita dalle stesse parole di NOME COGNOME che in sede di audizione con il curatore fallimentare ha dichiarato espressamente che dopo il 2006 la società era attiva ma non operativa (sentenza pag. 14).
In ogni caso, la sentenza non avrebbe concretamente accertato né la concreta pericolosità del fatto distrattivo, né l’esistenza dei c.d. indici fraudolenza, richiesti dalla giurisprudenza consolidata per affermare la sussistenza dell’elemento soggettivo.
2.3. Con il terzo motivo, il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 62-bis e 133 cod. pen., nonché la mancanza della motivazione in relazione al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, che sarebbe frutto di un travisamento probatorio, in particolare in relazione alla circostanza che COGNOME abbia riferito al curatore del coinvolgimento di due studi di professionisti nella tenuta delle scritture contabili. Invero, dalla relazione ex art. 33 legge fall. sarebbe emerso, con riferimento all’attività svolta dalla società, che essa «svolgeva l’attività di consulenza gestionale, strategia e amministrativa nonché di mergers and aduisition (relazione pagina 3); e, ancora, che «la società avrebbe continuato la propria attività sino al 2015, dopo di che lo stesso amministratore non avrebbe più avuto informazioni sull’andamento della società,
avendo ceduto l’intero capitale sociale a NOME COGNOME il quale risulta oggi irreperibile» (pag. 3). Dunque, COGNOME avrebbe avuto un comportamento collaborativo compatibilmente con il dato temporale della vicenda, risalente a quasi 10 anni prima, avendo egli ceduto le quote della fallita nel 2015.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è parzialmente fondato e, pertanto, deve essere accolto per quanto di ragione.
Il secondo motivo, concernente la configurabilità della bancarotta fraudolenta patrimoniale, è inammissibile in quanto generico e reiterativo di analoga doglianza già sollevata con l’atto di appello e disattesa, con motivazione congrua e logica, dalla Corte territoriale.
2.1. Secondo quanto accertato in sede istruttoria, in particolare a partire dalle movimentazioni bancarie relative al conto corrente intestato alla società presso la Banca Popolare di Milano, tra il dicembre 2012 e il maggio 2015 NOME COGNOME aveva prelevato dalle casse sociali, attraverso bonifici e assegni bancari/circolari, varie somme di denaro per complessivi 694.295,05 euro.
Tale circostanza di fatto, pacifica e non contestata, è stata valorizzata dalle sentenze di merito per affermare la responsabilità dell’imputato dinnanzi alle giustificazioni dal medesimo addotte, ovvero che i prelievi in questione fossero dirette al pagamento di talune prestazioni professionali che egli aveva reso a beneficio della società, poi fallita. E ciò sul duplice rilievo che, da un lat all’epoca dei prelievi la società, di fatto, non fosse più attiva; e che, dall’alt lato, configuri comunque una condotta distrattiva il prelievo dalle casse sociali, da parte del socio amministratore di una società di capitali, di somme asseritannente corrispondenti a crediti vantati per il lavoro prestato nell’interesse della società, senza l’indicazione di dati ed elementi di confronto che ne consentano un’adeguata valutazione, quali, ad esempio, gli impegni orari osservati, gli emolumenti riconosciuti a precedenti amministratori o a quelli di società del medesimo settore, i risultati raggiunti (in termini Sez. 5, n. 49509 del 19/07/2017, NOME, Rv. 271464 – 01).
A fronte di tale puntuale motivazione, il ricorso ha ribadito le censure già esplicitate nell’atto di appello, ovvero che dalla stessa relazione del curatore emergesse che all’epoca dei prelievi la società non era affatto inattiva, obliterando, nondimeno, il passaggio in cui le sentenze evidenziano come fosse stato lo stesso COGNOME a riferire al curatore che la RAGIONE_SOCIALE pur rimanendo attiva, aveva di fatto cessato di operare sin dal 2006. Passaggio con cui il ricorso omette totalmente di confrontarsi.
Ma, soprattutto, le censure difensive non prendono in alcuna considerazione la parte della motivazione nella quale è stato comunque evidenziato che, in assenza di puntuali e specifiche indicazioni, devono comunque ritenersi di natura distrattiva le condotte di prelievo dei fondi da parte dell’amministratore al fine di soddisfare i crediti di cui ritenga di essere titolare nei confronti della fallita termini si vedano anche Sez. 5, n. 17792 del 23/02/2017, Rossi, Rv. 269639 01, nonché Sez. F, n. 27132 del 13/08/2020, COGNOME, Rv. 279633 – 02), anche tenuto conto che l’art. 2389 cod. civ. stabilisce che la misura del compenso degli amministratori di società di capitali, qualora non sia stabilita nello statuto, si determinata con delibera assembleare (Sez. 5, n. 30105 del 05/06/2018, COGNOME, Rv. 273767 – 01; Sez. 5, n. 50836 del 3/11/2016, COGNOME, Rv. 268433 – 01; Sez. 5, n. 11405 del 12/06/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 263056 01; Sez. 5, n. 46959 del 27/10/2009, COGNOME, Rv. 245399 – 01; Sez. 5, n. 4985 del 19/12/2006, dep. 2007, COGNOME Rv. 236319 – 01).
Quanto, poi, alla mancata enucleazione dei cd. indici di fraudolenza, idonei a dar corpo, da un lato, alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell’integrità del patrimonio dell’impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori, e, dall’altro, all’accertamento in capo all’agente della consapevolezza e volontà della condotta in concreto pericolosa (Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, COGNOME, Rv. 270763 – 01), il ricorso non considera quanto già rilevato nella sentenza di primo grado, ovvero: che i pagamenti avevano cadenza settimanale, del tutto incompatibile con la tesi secondo cui si sarebbe trattato di compensi professionali; che le prestazioni asseritamente rese dall’imputato non trovavano riscontro documentale, tanto è vero che il pagamento, da parte di RAGIONE_SOCIALE, delle fatture nn. 21 e 27 del 2014 emesse dalla BFA era stato oggetto di revocatoria in ragione della mancata prova dell’esistenza di un rapporto contrattuale tra le parti; che, sotto il profilo soggettivo, la carenza di mezz dipendenti o contratti in capo alla società nel periodo in esame postulava la sussistenza degli indici di fraudolenza idonei a dimostrare la consapevolezza di sottrarre beni alla garanzia della massa ereditaria. Fermo restando che, come più volte riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità, i fatti di distrazione, u volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, assumono rilievo in qualsiasi momento siano stati commessi, finanche se la condotta sia stata realizzata quando ancora l’impresa non versava in condizioni di insolvenza (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, COGNOME, Rv. 266804 – 01).
Pertanto, il ricorso sul capo della sentenza impugnata relativo alla bancarotta fraudolenta patrimoniale deve ritenersi complessivamente aspecifico e, come tale, inammissibile.
Il primo motivo di ricorso, relativo alla motivazione resa con riferimento alla bancarotta fraudolenta documentale, è, invece, fondato.
IL Va premesso che l’art. 216, comma 1, n. 2, legge fall., prevede due distinte fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale.
La prima, nella pratica denominata come bancarotta documentale specifica, ricorre con riferimento alle condotte di colui il quale abbia sottratto, distrutto falsificato, in tutto o in parte, i libri o le altre scritture contabili e richiede specifico, consistente nel fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o d recare pregiudizi ai creditori.
La seconda, comunemente definita come bancarotta documentale generica, ricorre nel caso in cui la contabilità sia stata tenuta in modo da rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio della fallita e richiede il dolo generico, costituito dalla consapevolezza nell’agente che la confusa tenuta della contabilità potrà rendere impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio, non essendo, per contro, necessaria la specifica volontà di impedire quella ricostruzione.
Con riferimento alla prima fattispecie, la giurisprudenza di legittimità riconduce all’ipotesi di sottrazione delle scritture contabili sia quella occultamento, atteso che quest’ultima consiste nella fisica sottrazione delle stesse alla disponibilità degli organi fallimentari, sia quella della omessa tenuta, a sua volta assimilata all’omessa consegna delle scritture; tanto è vero che esse sono considerate, tra loro, equivalenti, con la conseguenza che non è necessario accertare quale di queste ipotesi si sia in concreto verificata, se è comunque certa la sussistenza di una di esse (Sez. 5, n. del 47923 del 23/09/2014, COGNOME, Rv. 261040 – 01; Sez. 5, n. 42754 del 26/05/2017, COGNOME, Rv. 271847 01). E come detto, sotto il profilo soggettivo, la condotta di occultamento o di omessa tenuta presuppone il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori, che consente di distinguere tale fattispecie da quella di bancarotta semplice documentale prevista dall’art. 217 legge fall. (Sez. 5, n. 18320 del 7/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 279179 – 01; Sez. 5, n. 11115 del 22/01/2015, COGNOME, Rv. 262915 – 01; Sez. 5, n. 25432 del 11/04/2012, COGNOME, Rv. 252992 – 01; Sez. 5, n. 32173 del 11/06/2009, Drago, Rv. 244494 – 01).
Quanto, invece, alla seconda fattispecie, va evidenziato che gli artt. 2214 e 2241 cod. civ. pongono a carico dell’imprenditore che esercita un’attività commerciale l’obbligo di tenere regolarmente i libri e le scritture contabili nella propria azienda; obbligo che l’art. 2478 cod. civ. pone a carico anche dell’amministratore della società a responsabilità limitata. Dunque, se l’imprenditore può avvalersi dell’opera di un tecnico, suo dipendente o libero professionista, egli resta, comunque, sempre responsabile per l’attività svolta dagli stessi nell’ambito dell’impresa/società, sicché, in caso di fallimento,
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risponde penalmente dell’attività e delle omissioni delle persone da lui incaricate che non hanno tenuto o non hanno tenuto regolarmente i libri e le scritture contabili, presumendosi, sia pure in maniera solo relativa, che i dati siano stati trascritti dai collaboratori dell’imprenditore secondo le indicazioni e i documenti dallo stesso forniti (Sez. 5, n. 2812 del 17/10/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258947 – 01; Sez. 5, n. 11931 del 27/01/2005, COGNOME, Rv. 231707 – 01; Sez. 5, n. 709 del 01/10/1998, dep. 1999, COGNOME, Rv. 212147 – 01; Sez. 5, n. 2055 del 15/12/1993, dep. 1994, Decenvirale, Rv. 197268 – 01).
3.2. Nel caso qui considerato, il capo di imputazione faceva riferimento alla sottrazione dei libri e delle scritture contabili («che non venivano consegnati» alla curatela) allo scopo di procurarsi un ingiusto profitto e di recare pregiudizio ai creditori e, «comunque», alla tenuta di dette scritture in modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari. Tale contestazione doveva certamente ritenersi legittima, considerato l’orientamento secondo cui è ammissibile la contestazione alternativa dei delitti di bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione, distruzione o occultamento di scritture contabili, per la cui sussistenza è necessario il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori, e di fraudolenta tenuta delle stesse, che integra una ipotesi di reato a dolo generico, non determinando tale modalità alcun vizio di indeterminatezza dell’imputazione che (Sez. 5, n. 8902 del 19/01/2021, COGNOME, Rv. 280572 01).
Tuttavia, considerato che, come già osservato, le due fattispecie sono alternative (Sez. 5, n. 43977 del 14/07/2017, COGNOME, Rv. 271753 – 01; in termini Sez. 5, n. 26379 del 05/03/2019, COGNOME, Rv. 276650 – 01; Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, COGNOME, Rv. 279838 – 01), nel senso che la fraudolenta tenuta delle scritture che presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dagli organi fallimentari (ex multis, Sez..5, n. 18634 del 1/02/2017, Autunno, Rv. 269904 – 01); di tal che i Giudici di merito avrebbero dovuto chiarire quale scelta sia stata in concreto compiuta e, dunque, quale delle due fosse, nel caso di specie, configurabile.
Al contrario, la Corte di appello non ha compiuto una chiara scelta tra le due ipotesi di reato.
Infatti, il Giudice di primo grado aveva ritenuto integrato il reato di bancarotta fraudolenta documentale c.d. specifica, sia sotto il profilo oggettivo (consistente nell’omessa consegna delle scritture contabili e nell’avvenuta consegna dei libri contabili all’amministratore subentrante), sia sotto il profilo soggettivo, avendo ritenuto che l’omessa tenuta fosse volta a “coprire” le condotte distrattive di cui al capo B). Viceversa, la Corte territoriale, a front delle censure sollevate dalla difesa, pur avendo ribadito che non era stata rinvenuta e/o consegnata al curatore alcuna scrittura contabile (omessa tenuta
cui equivale l’omessa consegna) e che il ricorrente non aveva fornito la prova della tenuta di dette scritture e della relativa consegna all’amministratore subentrante nel 2015 (data di cessazione dalla carica), ha contraddittoriamente ritenuto integrata anche la c.d. bancarotta fraudolenta documentale generica, che presuppone, come si è detto, una tenuta “irregolare” delle scritture contabili esistenti, ravvisata, nella specie, nel «totale disinteresse di COGNOME rispetto agl obblighi sullo stesso gravanti, risalente già al 2013», non essendosi egli «mai premurato di vigilare l’operato dei professionisti a cui ha dichiarato di avere, nel tempo, delegato la tenuta dei libri contabili». E rispetto ad essa ha, poi, ritenuto sufficiente a integrare il dolo generico la «consapevolezza che l’incompleta tenuta delle scritture contabili potrà rendere impossibile la ricostruzione delle vicende economico-patrimoniali della società».
In questo modo, ritenendo configurabili entrambi le fattispecie nonostante la relazione di alternatività che le caratterizza, la Corte territoriale è incorsa in una motivazione perplessa, che sussiste quando l’apparato argonnentativo si connoti per la presenza di dubbi, che non consentono di determinare quale delle ricostruzioni alternative prese in considerazione dal giudice siano state poste a base del suo convincimento (fra tante, si vedano Sez. 2, n. 12329 del 04/03/2010, COGNOME, Rv. 247229 – 01; Sez. 4, n. 82 del 26/09/1989, dep. 1990, COGNOME, Rv. 182957 – 01; Sez. 5, n. 10834 del 06/04/1988, COGNOME, Rv. 179649 – 01; Sez. 5, n. 326 del 23/09/1982, dep. 1983, COGNOME, Rv. 156914 01, nonché Sez. 3, n. 39678 del 24/04/2018, N., Rv. 273816 – 01, a mente della quale «ricorre il vizio della motivazione perplessa allorquando due o più alternative prospettate dallo stesso giudicante in relazione al fatto oggetto del giudizio non siano al fine risolte, sicché persistano incertezze sulla soluzione accolta, restando indecifrabili le ragioni del suo convincimento»).
Tale non corretto assetto motivazionale impone, dunque, un annullamento del capo della sentenza relativa alla bancarotta documentale, con rinvio al Giudice di merito al fine di porre rimedio alla rilevata aporia.
Il terzo motivo, relativo al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, deve invece ritenersi assorbito, ma non precluso rispetto al successivo giudizio di rinvio, stante l’accoglimento del motivo relativo alla bancarotta documentale che, ovviamente, rende necessario rivalutare il profilo relativo al trattamento sanzionatorio all’esito della nuova valutazione sulla sussistenza di tale ipotesi delittuosa.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere accolto limitatamente al delitto di bancarotta documentale, sicché la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio, per nuovo giudizio sul punto, ad altra Sezione
della Corte di appello di Milano. Nel resto, il ricorso deve essere, invece, dichiarato inammissibile.
PER QUESTI MOTIVI
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al delitto di bancarotta documentale con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Milano. Dichiara il ricorso inammissibile nel resto.
Così deciso in data 24 ottobre 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente