Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 21484 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 21484 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nata a SARNO il 05/01/1959
avverso la sentenza del 12/12/2024 della Corte d’appello di Salerno Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata sul punto della omessa applicazione della continuazione fallimentare; rigetto del ricorso nel resto;
udito l’Avv. NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La sentenza oggi al vaglio della Corte è stata deliberata il 12 dicembre 2024 dalla Corte di appello di Salerno, che ha confermato la condanna, pronunziata in sede di rito abbreviato dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Nocera Inferiore, di NOME COGNOME per i reati di bancarotta fraudolenta documentale e da operazioni dolose, a lei ascritti quale
amministratrice dal 26 febbraio 2011 al 23 dicembre 2015 della RAGIONE_SOCIALE dichiarata fallita dal Tribunale di Nocera Inferiore il 20 aprile 2017.
In particolare, secondo la sentenza di primo grado e la sentenza impugnata:
-l’omessa tenuta della contabilità della società in frode ai creditori dopo il 6 aprile 2012 (data di una denunzia di smarrimento delle scritture contabili sporta dalla COGNOME, di cui non si è ipotizzata la falsità) aveva impedito la ricostruzione delle vicende che l’avevano riguardata; a tale scopo non era stata utile la produzione, da parte del liquidatore NOME COGNOME di mere riproduzioni delle scritture contabili stampate nel maggio 2017, prive di firma e relative ad operazioni contabili che la società aveva effettuato dal 2009 al 2015.
-la mancata presentazione delle dichiarazioni dei redditi per gli anni 2011, 2012, 2013, 2014 e 2015 e l’omesso pagamento delle relative imposte con un montante complessivo di circa 570.000 euro aveva determinato il dissesto della IMA;
-l’attività sociale consistente in riparazione di macchinari usati e danneggiati si svolgeva in due capannoni di altra società, con la quale non intercorreva alcun contratto di locazione, e senza dipendenti regolarizzati.
Gli originari coimputati NOME COGNOME amministratore prima della COGNOME e liquidatore dopo la cessazione della carica dell’imputata e NOME COGNOME, amministratore prima di COGNOME, erano stati prosciolti in udienza preliminare.
Avverso detta sentenza ricorre l’imputata a mezzo del difensore di fiducia.
2.1. Con il primo e il secondo motivo di ricorso, la parte deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla conferma della sentenza impugnata in ordine al reato di bancarotta da operazioni dolose. Nell’atto di appello esordisce l’impugnativa si era precisato che l’esposizione debitoria che integrerebbe la bancarotta si era determinata, per la grandissima parte, prima che la ricorrente assumesse la carica amministrativa, vale a dire per 163.230,39 euro nel 2009 e per 362.602,24 euro nel 2011, mentre, dopo che la COGNOME divenne amministratrice, era iscritto a ruolo un debito di soli 334,07 euro per il 2012 e di 343,86 euro per il 2013. D’altra parte, NOME COGNOME, liquidatore della società dal 23 dicembre 2015, aveva riferito e il curatore aveva accertato che dal 2011 la IMA aveva interrotto qualsiasi attività e, quindi, la COGNOME si era limitata alla riscossione dei crediti vantati dalla società, attività tuttavia preclusa dal furto delle scritture contabili. La Corte di merito avrebbe dovuto individuare il momento in cui il debito fiscale era sorto.
2.2. Con il terzo e il quarto motivo di ricorso, la ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione sempre quanto alla bancarotta da operazioni dolose e ricorda che, nell’appello, aveva rappresentato che il debito fiscale di cui all’imputazione era sorto non già per il sistematico inadempimento tributario, ma per gli accertamenti dell’Agenzia delle Entrate relativi agli anni 2009 e 2011, quando ormai la società era inattiva. La ricorrente enumera gli importi ascrivibili a sanzioni, interessi e oneri di riscossione e quelli riferibili alla sorte capitale, che era stata determinata dall’Agenzia delle entrate secondo un procedimento induttivo elaborato sulla base del reddito dichiarato l’anno precedente, a seguito della mancata presentazione della dichiarazione. L’accertamento per l’anno 2011 era stato notificato presso la casa comunale e la Mancuso, colposamente, non ne era venuta a conoscenza. Sotto altro profilo, si era evidenziato che l’obbligo di pagare l’imposta era sorto solo con la notifica dell’avviso di accertamento, avvenuta quando l’attività di impresa era cessata da anni e, soprattutto, pochi giorni prima che l’imputata cessasse dalla carica e che la società fosse messa in liquidazione. A fronte di questa esposizione, le argomentazioni della Corte di appello, che il ricorso trascrive, sarebbero incongruenti. Il travisamento del motivo di impugnazione sarebbe confermato dalla sintesi riportata in sentenza, del tutto errata.
2.3. Il quinto e il sesto motivo di ricorso lamentano violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla conferma della condanna per bancarotta fraudolenta documentale. La parte insiste sulla cessazione dell’attività della società dal 2011 e rappresenta che, a dispetto del furto subito, parte sostanziale della contabilità venne tempestivamente depositata dal liquidatore della società e che, contrariamente a quanto riferito dal curatore, doveva ritenersi utile per la ricostruzione del movimento degli affari della fallita; tanto più che le scritture originali erano state sottratte da ignoti nel 2012, donde era divenuta impossibile la produzione della documentazione originale. Anche in questo caso, la risposta della Corte territoriale, che la ricorrente riporta testualmente, non sarebbe soddisfacente.
2.4. Il settimo e l’ottavo motivo di ricorso lamentano violazione di legge e vizio di motivazione sempre quanto alla conferma per bancarotta fraudolenta documentale. Dato il subentro del liquidatore all’imputata il 23 dicembre 2015 si legge nel ricorso doveva presumersi che la contabilità fosse stata consegnata dall’una all’altro, come dimostrato dal fatto che il primo stese il bilancio per l’anno 2015, operazione che sarebbe stata impossibile se non avesse avuto la disponibilità delle scritture contabili. Anche in questo caso, la risposta della Corte di merito sarebbe stata insoddisfacente.
2.5. Il nono e il decimo motivo di ricorso deducono violazione di legge e vizio di motivazione. La ricorrente sostiene che la sentenza impugnata non avrebbe spiegato perché l’omessa tenuta delle scritture contabili aveva prodotto un concreto pregiudizio ai creditori.
2.6. L’undicesimo e il dodicesimo motivo di ricorso lamentano violazione di legge e vizio di motivazione per ciò che attiene alla circostanza aggravante del danno di rilevante gravità, riconosciuta nonostante l’imputata non avesse concretamente gestito la società e, quindi, non avesse potuto cagionare alcun danno. La sentenza impugnata sarebbe errata quando ha fatto riferimento a ‘beni sottratti all’esecuzione concorsuale’, nonostante non vi fosse stata alcuna attività predatoria.
2.7. Il tredicesimo e il quattordicesimo motivo di ricorso lamentano violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla risposta della Corte di appello alla doglianza che aveva riguardato il riconoscimento della continuazione ex art. 81 c.p. piuttosto che quella fallimentare, più favorevole.
2.8. Il quindicesimo e il sedicesimo motivo di ricorso denunciano, rispettivamente, violazione di legge e vizio di motivazione quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche, tema che la Corte territoriale ha affrontato ritenendo, erroneamente, che il Giudice dell’abbreviato le avesse già concesse.
Il 2 maggio 2025, l’Avv. NOME COGNOME per la ricorrente, ha depositato una memoria a sostegno della fondatezza del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato.
Colgono nel segno, innanzitutto, i primi quattro motivi di ricorso, con cui la COGNOME ha lamentato violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla conferma della sentenza impugnata in ordine al reato di bancarotta da operazioni dolose, per avere omesso il pagamento delle imposte nel periodo in cui era amministratore della società.
1.1. Allo scopo di tracciare la cornice teorica nell’ambito della quale si è mosso lo scrutinio odierno, va ricordato che, per la sussistenza del reato di cui all’art. 223 comma 2 n. 2, legge fall., la causazione del fallimento deve essersi verificata con dolo o per effetto di operazioni dolose.
Al riguardo, l’esegesi di legittimità ha chiarito che la disposizione anzidetta prevede due autonome fattispecie criminose, che contemplano entrambe una condotta dei soggetti qualificati che ha determinato il dissesto da cui è scaturito
il fallimento; da un punto di vista oggettivo, in particolare, questa Corte insegna che, nel caso delle ‘operazioni dolose’, il pregiudizio patrimoniale discende non già direttamente dall’azione dannosa del soggetto attivo, ma da un fatto di maggiore complessità strutturale, riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all’esito divisato (Sez. 5, n. 12945 del 25/02/2020, Mora, Rv. 279071 – 01).
Per quanto di specifico interesse in questa sede, le operazioni dolose di cui all’art. 223, comma 2, n. 2, legge fall. possono consistere nel sistematico inadempimento delle obbligazioni fiscali e previdenziali, frutto di una consapevole scelta gestionale da parte degli amministratori della società, da cui consegue il prevedibile aumento della sua esposizione debitoria nei confronti dell’erario e degli enti previdenziali con ogni conseguenza ipotizzabile in termini di dissesto dell’impresa a seguito delle iniziative del creditore pubblico tese alla riscossione di quanto non versato, degli interessi e delle sanzioni (Sez. 5, n. 30735 del 05/04/2019, Cassano, Rv. 276996; Sez. 5, n. 24752 del 19/02/2018, COGNOME e altri, Rv. 273337; Sez. 5, n. 15281 del 08/11/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 270046; Sez. 5, n. 45672 del 01/10/2015, COGNOME e altri, Rv. 265510, non 3 massimata sul punto; Sez. 5, n. 47621 del 25/09/2014, COGNOME e altri, Rv. 261684; Sez. 5, n. 29586 del 15/05/2014, COGNOME, Rv. 260492; Sez. 5, n. 12426 del 29/11/2013, dep. 2014, COGNOME e altri, Rv. 259997).
Quanto al coefficiente soggettivo, nell’ipotesi di causazione dolosa del fallimento, quest’ultimo è voluto specificamente, mentre, nel fallimento conseguente ad operazioni dolose in cui può essere inquadrata la bancarotta cosiddetta tributaria esso è solo l’effetto di una condotta volontaria, ma non intenzionalmente diretta a produrre il dissesto fallimentare, anche se il soggetto attivo dell’operazione ha accettato il rischio della stessa (Sez. 5, n. 11945 del 22/09/1999, de Rosa G ed altri, Rv. 214856) e lo ha previsto come conseguenza della condotta antidoverosa (Sez. 5, n. 16111 del 08/02/2024, COGNOME, Rv. 286349 – 01). In altri termini, nella bancarotta da operazioni dolose, non è necessaria la volontà diretta a provocare il dissesto, il quale è, piuttosto, l’effetto, dal punto di vista della causalità materiale, di una condotta volontaria ma non diretta a produrlo, anche se il soggetto attivo dell’operazione si rappresenta e accetta la probabilità concreta che il dissesto si verifichi a seguito delle operazioni realizzate.
1.2. Tenendo presenti tali coordinate ermeneutiche e la verifica concreta che esse impongono, ci sono due aspetti rispetto ai quali la motivazione della sentenza impugnata appare deficitaria, l’uno che attiene al profilo oggettivo del reato, l’altro a quello soggettivo.
Avuto riguardo al primo tema, va in primo luogo sgomberato il campo da un argomento critico adoperato dalla ricorrente, vale a dire la sua estraneità alla mancata presentazione delle dichiarazioni e alla morosità tributaria per l’anno 2011, a dispetto del fatto che ella aveva assunto la carica fin dal 23 febbraio di quell’anno, il che la rendeva responsabile della presentazione della dichiarazioni e del pagamento delle imposte dovute a far data dal suo ingresso nella società. Ciò premesso, è tuttavia opinione del Collegio che la Corte di appello di Salerno abbia omesso di affrontare un argomento censorio che si leggeva nell’atto di appello, ossia quello concernente la determinazione del quantum di imposta evasa per l’anno 2011 (che costituiva il debito fiscale di gran lunga più rilevante), ricostruito induttivamente dall’amministrazione finanziaria sulla base di quello prodotto nell’anno precedente, con un sistema di calcolo che l’appellante aveva specificamente censurato e che la decisione avversata fronteggia sbrigativamente non entrando nel dettaglio, ma limitandosi ad affermare che sarebbe stato onere della ricorrente impugnare l’accertamento fiscale. Ebbene, di fronte alla necessità di verificare l’eziologia tra il fallimento e l’operazione dolosa, che nella specie si identifica nella ‘latitanza’ con il fisco, la verifica concreta dell’incidenza della condotta dell’amministratore rispetto al dissesto passava attraverso quella dell’ an e del quantum del debito tributario, tema su cui l’appellante aveva specificamente sollecitato la Corte territoriale, che tuttavia non ha colto appieno detta sollecitazione. Inducono a questa conclusione anche altre due considerazioni. La prima è che l’appello aveva anche rappresentato che la notificazione dell’accertamento tributario era avvenuta con deposito presso la casa comunale e nell’imminenza dell’abbandono della carica da parte della COGNOME, il che quantomeno depotenziava l’argomento del consolidamento del debito tributario legato alla mancata impugnativa dell’avviso di accertamento. La seconda è che la società era rimasta inattiva nel lasso di tempo cui la COGNOME l’aveva amministrata, circostanza dedotta nell’appello prima e nel ricorso poi e che pure emerge dalla lettura delle sentenze di merito, il che, per un verso, poteva avvalorare le contestazioni della parte circa la determinazione del debito tributario e, per l’altro, poteva mettere in dubbio la capacità della società di corrispondere l’imposta e, quindi, l’effettiva volontarietà delle omissioni registratesi.
Sono altresì fondati i motivi di ricorso che riguardano la bancarotta fraudolenta documentale, per diverse, concorrenti ragioni.
2.1. Quanto alla ricostruzione della fattispecie, la sentenza impugnata, così come anche la sentenza di primo grado, ricalca innanzitutto l’ambiguità del capo di imputazione, laddove era contestato che « al fine di procurarsi un ingiusto
profitto e comunque di recare pregiudizio ai creditori, non tenevano i libri e le altre scritture contabili obbligatorie relative alla predetta società in modo da non consentire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari per l’anno 2012, 2013, 2014 e 2015 » .
La Corte di appello di Salerno, infatti, attribuendo alla prevenuta l’omessa tenuta di libri e scritture contabili e ricollegandola all’impossibilità di ricostruire il patrimonio e la dinamica societaria, ha errato nell’individuazione della tipicità della condotta, confondendo due diverse ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale. L’errore risiede nel fatto che l’occultamento delle scritture contabili, per la cui sussistenza è necessario il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori, consistendo nella fisica sottrazione delle stesse alla disponibilità degli organi fallimentari, anche sotto forma della loro omessa tenuta ascritta all’imputata nella specie, costituisce una fattispecie autonoma ed alternativa in seno all’art. 216, comma primo, n. 2), legge fall. rispetto alla fraudolenta tenuta di tali scritture che, invece, integra un’ipotesi di reato a dolo generico e presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dai predetti organi (Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, COGNOME, Rv. 279838 – 01;Sez. 5, n. 26379 del 05/03/2019, COGNOME, Rv. 276650 Sez. 5, n. 43966 del 28/06/2017, COGNOME, Rv. 271611; Sez. 5, n. 18634 del 01/02/2017, Autunno e altro, Rv. 269904). In altri termini, l’incidenza della condotta rispetto alla ricostruzione delle vicende societarie cui allude impropriamente la Corte di appello costituisce il risultato tipico non già dell’omessa tenuta in frode ai creditori, ma della tenuta fraudolenta della contabilità, ipotesi di condotta a dolo generico che presuppone che le scritture contabili siano consegnate o, comunque, siano venute in possesso della curatela, ma che non assolvano alla funzione documentativa per cui sono state pensate dal legislatore. Come ribadito di recente da questa Corte (Sez. 5, n. 42546 del 07/11/2024, COGNOME, Rv. 287175 -01, in motivazione), la bancarotta fraudolenta documentale cosiddetta generale si differenzia dall’omessa tenuta perché presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dagli organi fallimentari e si realizza attraverso una falsità ideologica contestuale alla tenuta della contabilità, e cioè mediante l’annotazione originaria di dati oggettivamente falsi o l’omessa annotazione di dati veri, realizzata con le ulteriori connotazioni modali descritte dalla norma incriminatrice.
2.2. Al netto di questa cattiva impostazione che costituisce la spia di una malintesa costruzione della fattispecie la decisione avversata patisce anche un vuoto motivazionale quanto al coefficiente soggettivo, su cui pure era chiamata a pronunziarsi dall’appellante; la Corte di merito, infatti, sembra avere esaurito il
proprio scrutinio circa la sussistenza della bancarotta fraudolenta documentale ricollegando impropriamente l’omessa tenuta all’impossibilità ricostruttiva, senza affrontare il tema del dolo specifico, aspetto di fondamentale rilevanza quando occorre domandarsi se l’omessa tenuta della contabilità integri la bancarotta semplice piuttosto che quella fraudolenta, data la coincidenza dell’oggettività della condotta. Come già accennato, infatti, l’omessa tenuta della contabilità interna integra gli estremi del reato di bancarotta documentale fraudolenta, e non di quello di bancarotta semplice, se lo scopo dell’omissione è quello di recare pregiudizio ai creditori (Sez. 5, n. 18320 del 07/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 279179; Sez. 5, n. 11115 del 22/01/2015, COGNOME, Rv. 262915; la rilevanza ex art. 216 legge fall. dell’omissione laddove collegata al fine pregiudizievole è richiamata anche in Sez. 5, n. 42754 del 26/05/2017, COGNOME, Rv. 271847 e Sez. 5, n. 47923 del 23/9/2014, COGNOME, rv. 261040).
Non basta, a questo riguardo, la notazione di pag. 14 della sentenza impugnata in cui per giustificare la mancata derubricazione si accenna al rilevante danno per i creditori rinveniente dal divario tra passivo e attivo, giacché questo fugace accenno all’effetto della condotta attiene ad un piano diverso da quello che rileva ai fini del distinguo tra bancarotta fraudolenta e bancarotta semplice e non riguarda il tema dell’atteggiarsi soggettivo dell’omissione addebitata all’imputata, rimasto quindi inesplorato.
2.3. La pronunzia impugnata è altresì viziata, laddove rendendo, sul punto, una giustificazione del tutto assertiva non ha affrontato le doglianze difensive circa l’insussistenza della condotta omissiva per avere la COGNOME tenuto la contabilità e per averla consegnata al COGNOME all’atto del passaggio di consegne del 23 dicembre 2015, limitandosi ad attribuire valore dirimente alla circostanza che l’imputata era legale rappresentante della società nel periodo in cui le scritture contabili dovevano essere tenute.
La fondatezza del ricorso quanto al giudizio di responsabilità impone l’annullamento della sentenza impugnata assorbiti gli ulteriori motivi di ricorso con rinvio alla Corte di appello di Napoli, che dovrà riesaminare per intero la regiudicanda con pieni poteri di cognizione e senza la necessità di soffermarsi sui soli punti oggetto della pronunzia rescindente, rispetto ai quali, tuttavia, dovrà attenersi ai principi di diritto sopra rievocati e dovrà evitare di incorrere nuovamente nei vizi rilevati, fornendo in sentenza adeguata motivazione in ordine all’ iter logico-giuridico seguito (Sez. 5, n. 33847 del 19/04/2018, COGNOME e altri, Rv. 273628; Sez. 5, n. 34016 del 22/06/2010, COGNOME, Rv. 248413).
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Napoli.
Così è deciso, 09/05/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME