Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 7262 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 7262 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 28/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nata a REGGIO CALABRIA il 21/04/1972
avverso la sentenza del 08/07/2024 della CORTE APPELLO di MESSINA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Ritenuto in fatto
Con sentenza in data 8 luglio 2024, la Corte d’appello di Messina, in parziale riforma della decisione del Tribunale di Messina, ha ritenuto NOME responsabile del reato di bancarotta fraudolenta documentale (capo A), alla stessa ascritto nella veste di amministratrice responsabile della società “RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita in data 9 maggio 2018. Ha altresì confermato la responsabilità della stessa per il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione (capo B), assolvendola tuttavia limitatamente alla condotta distrattiva di valori patrimoniali per euro 8.727.729 perché il fatto non sussiste.
Avverso la sentenza l’imputata, tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione articolando tre motivi di censura.
2.1. Il primo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla affermazione di responsabilità per il reato di bancarotta fraudolenta documentale (capo A). Sotto un primo profilo, la ricorrente rileva che la condotta contestata riguarderebbe gli anni 2017-2018, laddove la società era stata cancellata dal Registro delle imprese in data 29.5.2018 e comunque era inattiva già dal 2016, sicché doveva ritenersi venuto meno l’obbligo di tenuta delle scritture contabili. Sotto un secondo profilo si contesta che la Corte territoriale avrebbe ravvisato la sussistenza dell’elemento psicologico del reato nel mero mancato deposito e rinvenimento delle scritture contabili, senza accertare che la condotta fosse preordinata a procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o ad arrecare danno ai creditori.
2.2. Con il secondo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione alla mancata riqualificazione del reato di bancarotta fraudolenta documentale in quello di bancarotta semplice documentale. Nella specie non vi sarebbe stata alcuna distruzione o occultamento delle scritture contabili relative agli anni 2017-2018, ma solo una «mera mancata istituzione» delle stesse in ragione della inattività della società. Pertanto, sarebbe ravvisabile nella specie una mera irregolarità dovuta a trascuratezza, riconducibile all’ipotesi di cui all’art. 217 legge fall.
2.3. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione al reato di bancarotta fraudolenza per distrazione (capo B), difettando la prova che i proventi ricavati dalla vendita dell’impianto fotovoltaico e di un’imbarcazione fossero destinati a scopi diversi da quello doveroso, essendo piuttosto finalizzati a ricercare nuova finanza per ripianare i debiti societari.
Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
Il ricorso è fondato nei limiti di seguito specificati.
Il primo motivo, concernente la sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta documentale è in parte fondato, con assorbimento del secondo.
2.1. Sotto un primo profilo di censura, la ricorrente sostiene che, negli anni 2017 e 2018 oggetto di contestazione, la società non era obbligata a tenere le scritture contabili perché cancellata dal Registro delle imprese in data 29.5.2018
e comunque perché inattiva già dal 2016. Trattasi di censura destituita di fondamento. Invero, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, l’obbligo di tenere le scritture contabili non viene meno se l’azienda non abbia formalmente cessato l’attività, anche se manchino passività insolute, ma viene meno solo quando la cessazione dell’attività commerciale sia formalizzata con la cancellazione dal registro delle imprese (Sez. 5, n. 20911 del 19/04/2011, Rv. 250407 – 01). Trattasi, invero, di reato di pericolo presunto posto a tutela dell’esatta conoscenza della consistenza patrimoniale dell’impresa, il quale sussiste a prescindere dal concreto pregiudizio per le ragioni creditorie (Sez. 5, n. 20514 del 22/01/2019, Rv. 275261 – 01).
Nella specie la sentenza impugnata ha dato conto della circostanza che alla formale cancellazione della società fallita dal Registro delle imprese di Messina in data 29 maggio 2017, era seguita la successiva iscrizione nel Registro delle imprese di Roma; pertanto, correttamente ha ritenuto che non fosse venuto meno l’obbligo di tenuta delle scritture contabili, non rilevando a tal fine lo stato di inattività della stessa.
2.2. Fondato è invece il profilo di censura concernente l’elemento soggettivo. La condotta contestata alla ricorrente attiene alla parziale omessa tenuta delle scritture contabili, la quale è da ricondurre alla prima delle due ipotesi previste dall’art. 216, comma 1, n. 2), legge fall. Questa consiste nella sottrazione o distruzione o falsificazione (totale o parziale) dei libri e delle altre scritture contabili e richiede il dolo specifico consistente nello scopo di arrecare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori. A tale ipotesi può essere ricondotta anche la condotta di omessa tenuta dei libri contabili. L’omissione, al pari della sottrazione, distruzione o falsificazione, può essere anche “parziale” e ricomprende, oltre alla mancata istituzione di uno o più libri contabili, anche l’ipotesi della esistenza dei libri contabili, i quali però sono stati “lasciati in bianco”. È necessario, tuttavia, che la condotta omissiva sia sorretta (al pari delle altre ipotesi) da dolo specifico, perché altrimenti risulterebbe impossibile distinguere tale fattispecie da quella – analoga sotto il profilo materiale – di bancarotta semplice documentale prevista dall’art. 217 legge fall. (Sez. 5, n. 25432 del 11 aprile 2012, COGNOME, Rv. 252992; Sez. 5, n. 11115 del 22/01/2015, COGNOME, Rv. 262915; Sez. 5, n. 18320 del 07/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 279179).
Lo scopo di arrecare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori, in cui si sostanzia il dolo specifico, ben può essere desunto dalla complessiva ricostruzione della vicenda, dalle circostanze del fatto che ne caratterizzano la valenza fraudolenta, colorando di specificità l’elemento soggettivo, il quale può pertanto essere ricostruito sull’attitudine del dato a
evidenziare la finalizzazione del comportamento omissivo all’occultamento delle vicende gestionali (Sez. 5, n. 10968 del 31/01/2023, COGNOME, Rv. 284304 – 01).
Da tale ipotesi si differenzia la seconda fattispecie contemplata dal n. 2) del comma 1 dell’art. 216, la quale è integrata dalla tenuta della contabilità in modo da rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio della fallita; questa ipotesi, diversamente dalla prima, presuppone un accertamento condotto su libri contabili , i quali sono effettivamente rinvenuti ed esaminati dagli organi fallimentari e si realizza attraverso una falsità ideologica contestuale alla tenuta della contabilità, e cioè mediante l’annotazione originaria di dati oggettivamente falsi o l’omessa annotazione di dati veri, realizzata con le ulteriori connotazioni modali descritte dalla norma incriminatrice (Sez. 5, n. 5081 del 13/01/2020, COGNOME, Rv. 278321). Sotto il profilo soggettivo è sufficiente a integrare tale ipotesi il dolo generico (Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, COGNOME, Rv. 279838; Sez. 5, n. 26379 del 05/03/2019, COGNOME, Rv. 276650; Sez. 5, n. 43966 del 28/06/2017, COGNOME, Rv. 271611; Sez. 5, n. 18634 del 01/02/2017, Autunno, Rv. 269904).
Nell’esaminare il rapporto tra le richiamate fattispecie, si è di recente ribadito che rientra nella prima fattispecie delineata dall’art. 216, comma 1, n. 2, legge fall. e richiede il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori o di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, la nozione di omessa tenuta, anche parziale, delle scritture contabili, che comprende non solo la mancata istituzione di uno o più libri contabili, ma anche l’ipotesi della materiale esistenza dei libri “lasciati in bianco” e si differenzia dal caso, caratterizzato invece da dolo generico, dell’omessa annotazione di dati veri allorché l’omissione consista non nella totale mancanza di annotazioni, ma nell’omessa annotazione di specifiche operazioni (Sez. 5, n. 42546 del 07/11/2024, COGNOME, Rv. 287175 – 01).
2.3. Nel caso in esame, la sentenza impugnata, oltre ad evocare indistintamente le due fattispecie, con motivazione apparente si è limitata ad affermare in modo apodittico la sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo specifico, ravvisandolo nella condotta di omessa tenuta delle scritture contabili, senza indagare e dare conto della esistenza in concreto di ulteriori indici di fraudolenza.
L’accertamento del dolo specifico risulta pregiudiziale ai fini della qualificazione della condotta in termini di bancarotta fraudolenta documentale, atteso che l’elemento della frode costituisce il discrimine tra tale reato e le figure delittuose di bancarotta semplice – che ne sono prive – previste dall’art. 217, il cui comma 2 incrimina, parimenti, l’omessa o irregolare tenuta dei libri contabili, sia essa volontaria o dovuta a mera negligenza. Invero, secondo il costante insegnamento di questa Corte regolatrice, l’omessa tenuta della contabilità interna
integra gli estremi del reato di bancarotta documentale fraudolenta, e non di quello di bancarotta semplice, se lo scopo dell’omissione è quello di recare pregiudizio ai creditori (Sez. 5, n. 18320 del 07/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 279179 – 01; Sez. 5, n. 11115 del 22/01/2015, COGNOME, Rv. 262915 – 01).
Tanto determina l’assorbimento del secondo motivo di ricorso.
3. Il terzo motivo è infondato.
3.1. Esso si appunta sulla parte della sentenza impugnata concernente il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione contestato al capo B) dell’imputazione, in relazione al quale la ricorrente sostiene che l’importo derivante dalla vendita dell’imbarcazione era stato interamente versato, mentre l’importo derivante dalla vendita dell’impianto fotovoltaico era stato in parte corrisposto dalla società acquirente e in parte oggetto di compensazione a fronte delle spese di manutenzione impreviste che essa aveva dovuto sostenere.
Trattasi di censura del tutto generica, la quale si risolve nella affermazione, meramente assertiva, della avvenuta corresponsione del prezzo delle vendite dei beni aziendali e della utilizzazione di tali somme per ripianare i debiti societari.
Correttamente i giudici del merito hanno ritenuto integrata la fattispecie della bancarotta per distrazione in ragione della mancata dimostrazione della destinazione del corrispettivo asseritamente derivato dai suddetti atti dispositivi. In tal modo, hanno fatto puntuale applicazione dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui, in tema di bancarotta fraudolenta, la prova della distrazione può essere desunta dalla mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore, della destinazione al soddisfacimento delle esigenze della società dei beni risultanti dagli ultimi documenti attendibili (Sez. 5, n. 17228 del 17/01/2020, Costantino, Rv. 279204 – 01; Sez. 5, n. 6548 del 10/12/2018, dep. 2019 Villa, Rv. 275499 – 01; Sez. 5, n. 11095 del 13/2/2014, COGNOME, Rv. 263740; Sez. 5, n. 22894 del 17/4/2014, COGNOME, Rv. 255385; Sez. 5, n. 7048 del 27/11/2008, dep. 2009, COGNOME, Rv. 243295), e, più in generale dalla mancata dimostrazione della destinazione dei beni suddetti. Nell’affermare tale principio, questa Corte regolatrice ha osservato che la responsabilità dell’imprenditore per la conservazione della garanzia patrimoniale verso i creditori e l’obbligo di verità, penalmente sanzionato, gravante ex art. 87 I. fall. sul fallito interpellato dal curatore circa la destinazione dei beni dell’impresa, giustificano l’apparente inversione dell’onere della prova a carico dell’amministratore della società fallita, in caso di mancato rinvenimento di beni aziendali o del loro ricavato, non essendo a tal fine sufficiente la generica asserzione per cui gli stessi sarebbero stati assorbiti dai costi gestionali, ove non documentati né precisati nel loro
dettagliato ammontare (Sez. 5, n. 8260 del 22/09/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 267710 – 01).
3.2. In ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo – che secondo la ricorrente nella specie difetterebbe -, occorre richiamare l’orientamento del tutto consolidato della giurisprudenza di questa Corte, di recente ribadito dalle Sezioni unite, secondo cui l’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è costituito dal dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, COGNOME, Rv. 266805). Si è inoltre precisato che tale consapevole volontà e di quella di compiere atti che possano cagionare o cagionino danno ai creditori deve essere desunta da tutti gli elementi che caratterizzano la condotta dell’imputato, «valorizzando “indici di fraudolenza” necessari a dar corpo alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell’integrità del patrimonio dell’impresa funzionale ad assicurare la garanzia dei suoi creditori e alla relativa proiezione soggettiva, ossia all’accertamento, in capo all’agente, della consapevolezza e della volontà della condotta in concreto pericolosa» (Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, COGNOME, Rv. 270763 – 01, in motivazione).
3.3. Nel caso in esame, la sussistenza di tali indici è stata in concreto rinvenuta dai giudici di merito nella mancata confluenza delle somme ricavate dalle vendite dei beni aziendali nel patrimonio della società, nonché nella circostanza puntualmente rilevata dalla sentenza di prime cure, le cui motivazioni possono essere lette in modo congiunto con la sentenza di appello, stante l’esito conforme sul punto delle due decisioni – che le due vendite erano stata eseguite in una fase già conclamata di decozione dell’impresa, la quale presentava un’ingentissima esposizione debitoria nei confronti delle banche, dell’erario, degli enti previdenziali, dei dipendenti e fornitori. Pertanto, correttamente i giudici di merito, alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria della società e della congiuntura economica in cui le condotte pericolose per le ragioni del ceto creditorio sono state poste in essere realizzata, hanno ravvisato nelle condotte poste in essere dalla ricorrente la sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto contestato.
Per le ragioni indicate, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente al capo relativo al reato di bancarotta fraudolenta documentale (capo a), con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Messina.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di bancarotta documentale, con rinvio per nuovo esame sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Messina. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso il 28 novembre 2024
Il Consigliere estensore