Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 17228 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 17228 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 30/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a LAMEZIA TERME il 21/01/1970
avverso la sentenza del 28/03/2024 della CORTE APPELLO di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette/sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME Ulu– e f< -( -< -A -·° n.AA……je udito i GLYPH ensore
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza del 28 marzo 2024, ha confermato la sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Paola che, all’esito di giudizio abbreviato, riqualificato il fatto originariament contestato (art. 216, comma 1, n. 2 I. fall.) nell’ipotesi criminosa di cui al comma 2 dell’art. 216 I. fall. in quanto conseguito alla formale dichiarazione di fallimento e, riconosciute le attenuati generiche equivalenti alla contestata recidiva, ha condannato l’imputato, n.q. di titolare dell’omonima ditta individuale “COGNOME RAGIONE_SOCIALE“, dichiarata fallita il 5 marzo 2019, alla pena di anni due di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali.
NOME COGNOME affida il proprio ricorso a un unico motivo, ampiamente articolato con cui deduce il vizio di erronea applicazione di legge, con riferimento agli artt. 216 I. fall, 99 e 133 cod. pen. l’erronea applicazione dell’art. 192 cod. proc. pen. e la mancanza della motivazione.
2.1. Con la prima censura rileva che il capo di imputazione limiterebbe la mancata consegna documentale ai registri IVA e al registro dei beni ammortizzabili relativo agli anni 2016-2017 per cui, essendo stati consegnati i libri Iva per gli anni 2016-2017 e non essendo il registro dei beni ammortizzabili scrittura obbligatoria ai sensi dell’art. 2214, comma 1, I. fall., non sarebbe configurabile la fattispecie criminosa addebitatagli. Ed invero, rileva ancora il ricorrente, gli estremi della bancarotta documentale intanto sarebbero riscontrabili a causa dell’omessa tenuta del predetto registro solo ove questa fosse richiesta dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa e, pertanto, essendo stata riscontrata, nella specie, la mancanza di attivo, non essendo stati rinvenuti beni, mobilio, immobili di proprietà della fallita o la possibilità di un utile eserci di azioni revocatorie o di recupero crediti, si sarebbe dovuta pronunziare sentenza di assoluzione.
2.2. Anche sotto il versante dell’elemento psicologico, ad avviso del ricorrente, la sentenza presterebbe il fianco a censura posto che la Corte d’appello non avrebbe adeguatamente motivato in ordine alla sussistenza del dolo specifico riconosciuto in capo all’imputato.
2.3. La motivazione inoltre si appaleserebbe del tutto apparente là dove ha riconosciuto la recidiva senza fornire alcun elemento utile per individuare il tempo e la natura del precedente reato commesso sì da giustificare il maggiore inasprimento della pena.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato limitatamente al profilo di seguito indicato.
La prima censura è manifestamente infondata.
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Si deve innanzitutto ricordare che, per il costante orientamento di questa Corte, condiviso da questo Collegio, il regime tributario di contabilità semplificata, previsto per le cosiddette imprese minori, non comporta l’esonero dall’obbligo di tenuta dei libri e delle scritture contabili, previsto dall’art. cod. civ., con la conseguenza che il suo inadempimento può integrare – ove preordinato a rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio dell’imprenditore – la fattispecie incriminatrice del reato di bancarotta fraudolenta documentale o, quando tale preordinazione manchi, il delitto di bancarotta documentale semplice (cfr. ex plurimis, Sez. 5, n. 52219 del 30/10/2014, Rv. 262198 – 01). Come limpidamente chiarito da ultimo da Sez. 5, n. 15743 del 18/01/2023, Gualandri, Rv. 284677-02, non sussiste infatti sovrapposizione tra il regime della contabilità semplificata a fini tributari e l fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale e la condotta richiesta per la sussistenza di quest’ultima fattispecie incriminatrice non necessariamente deve investire la totalità delle scritture contabili. Ciò che rileva, infatti dimostrazione che le concrete modalità di tenuta di quelle scritture / che risultino lacunose, incomplete, inattendibili i abbia comportato l’impossibilità o estrema difficoltà di ricostruzione della vita dell’impresa. L’oggetto del reato di bancarotta fraudolenta documentale può riguardare, infatti, tutti quei documenti contabili, obbligatori o anche facoltativi, utili per integrare e sviluppare i dati forniti da contabilità obbligatoria «posto che l’oggetto materiale del reato di cui all’art. 216, comma 1, n. 2, legge fallimentare, si focalizza non tanto su di una determinata categoria di scritture contabili, bensì sulla modalità della loro tenuta, intesa quale insuscettibilità alla ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, ovvero quale estrema difficoltà ricostruttiva».
Alla luce di siffatte coordinate ermeneutiche deve dunque valutarsi la sentenza della Corte territoriale.
Questa, conformemente a quanto ritenuto dal Giudice di primo grado, ha ritenuto che, a seguito della mancata consegna al curatore, che ne aveva fatto reiterata richiesta, dei «conti economici relativi agli anni 2015 – 2016 – 2017, situazione contabile/finanziaria alla data del fallimento, estra dei conti correnti bancari, elenco dei crediti e dei debiti della ditta falli registro dei beni ammortizzabili riconsegnata al fallito il 9 maggio 2019 dal tenutario ragionier NOME COGNOME» aveva reso impossibile, la ricostruzione del movimento degli affari dell’impresa. La mancanza di elementi contabili sufficienti ai fini della ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, riscontrata dal curatore e non contestata dal ricorrente, per entrambi i giudici di merito – come risulta dalle conformi sentenze che si saldano per formare un unico percorso motivazionale – ha
comportato l’impossibilità di ricostruire il patrimonio e il movimento degli affari «data l’eliminazione della fonte cognitiva cui gli organi della procedura fallimentare avrebbero potuto attingere». Trattasi questa di una valutazione che attiene al merito e come tale non è censurabile in questa sede posto che la motivazione si appalesa lineare, esaustiva, priva di manifeste aporie e conforme ai principi espressi da questa Corte.
Di qui, l’inammissibilità della censura come sopra esaminata.
E’ invece fondata la seconda censura concernente la mancanza di motivazione in ordine all’elemento psicologico.
La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che l’art. 216, comma primo, n. 2, legge falI. individua due fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale.
La prima fattispecie (c.d. “specifica”) consiste nella sottrazione o distruzione o falsificazione (totale o parziale) dei libri e delle altre scritt contabili e richiede il dolo specifico consistente nello scopo di arrecare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori. Anche l’omessa tenuta, parziale o totale, dei libri contabili può essere ricondotta nell’alveo d tipicità dell’art. 216 comma primo, n.2, legge fall., e anche in tale caso la condotta omissiva deve essere sorretta da dolo specifico, perché altrimenti risulterebbe impossibile distinguere tale fattispecie da quella di bancarotta semplice documentale, analoga sotto il profilo materiale. (Sez. 5, n. 18320 del 07/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 279179; Sez. 5, n. 11115 del 22/01/2015, COGNOME, Rv. 262915; Sez. 5, n. 25432 del 11 aprile 2012, COGNOME, Rv. 252992).
La seconda fattispecie (c.d. “generale”) è configurabile allorché la contabilità viene tenuta in modo da rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio della fallita. A differenza della prima ipotesi, tale secondo caso presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dagli organi fallimentari e si realizza «sempre con una falsità ideologica contestuale alla tenuta della contabilità, e cioè mediante l’annotazione originaria di dati oggettivamente falsi o l’omessa annotazione di dati veri, realizzata con le ulteriori connotazioni modali descritte dalla norma incriminatrice». (Sez. 5, n. 5081 del 13/01/2020, COGNOME, Rv. 278321); sotto il profilo soggettivo è sufficiente il dolo generico (Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, COGNOME, Rv. 279838; Sez. 5, n. 26379 del 05/03/2019, COGNOME, Rv. 276650; Sez. 5, n. 43966 del 28/06/2017, COGNOME, Rv. 271611; Sez. 5, n. 18634 del 01/02/2017, Autunno, Rv. 269904)
Qualora emerga, sulla scorta di uno specifico accertamento, che la contabilità sia in parte omessa ed in parte irregolarmente tenuta, e che detta
ultima situazione sia in concreto atta a rendere impossibile o complessa la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, essendo stato contestato il dolo specifico, il giudice dovrà altresì accertare che l’omessa consegna della documentazione sia funzionale a circoscrivere la finalità di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto ovvero di recare pregiudizio ai creditori, accertamento sicuramente più complesso, ma necessario, allorché, come nella vicenda che qui ci occupa, non si siano ravvisate condotte distrattive di alcun tipo. In tal caso, infatti, non può farsi riferimento alla presunzione per l quale l’irregolare tenuta delle scritture contabili è di regola funzional all’occultamento o alla dissimulazione di atti depauperativi del patrimonio sociale. Occorre, quindi, che il giudice fornisca adeguata motivazione che dia conto anche della specifica funzione delle scritture contabili e della finalizzazione della loro omissione alla determinazione dell’evento su cui deve cadere la rappresentazione e la volontà del soggetto agente.
Orbene, la sentenza impugnata e quella di primo grado fondano l’affermazione di responsabilità sostanzialmente sulla base dell’integrazione dell’elemento materiale del reato. La Corte d’appello, sulla specifica censura formulata dall’imputato, infatti, si è limitata ad osservare che «l’accertata presenza della documentazione contabile – che l’imputato aveva ricevuto dal tenutario, ma che ha omesso di consegnare al curatore senza giustificata ragione – denota la chiara volontà di impedire la comprensione delle vicende economiche della fallita e di recare pregiudizio ai creditori». Tale motivazione è però monca in quanto, perché possa ritenersi la sussistenza del dolo specifico è, necessaria la dimostrazione, non solo astratta e presunta, ma effettiva e concreta della consapevolezza di procurare un ingiusto profitto a taluno, attentandosi altrimenti al principio costituzionale della personalità della responsabilità penale (ex multis, Sez. 5, n. 44293 del 17/11/2005, COGNOME, Rv. 232816; Sez. 5, n. 642 del 30/10/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 257950; Sez. 5, n. 40176 del 02/07/2018, COGNOME, n.rn.; Sez. 5, n. 40487 del 28/05/2018, COGNOME, n.m.; Sez. 5, n. 34112 del 01/03/2019, NOME, n.m.). In conclusione, dunque, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Roma che, nella piena libertà valutativa del compendio probatorio, dovrà – alla luce dei principi di diritto illustrati – chiarire quali siano gli indici dai quali desumere il dolo specif di procurarsi un ingiusto profitto o recare pregiudizio ai creditori.
Si rammenta, inoltre, che, in tema di bancarotta fraudolenta documentale (art. 216, comma primo, n. 2, I.fall.), è illegittima l’affermazione d responsabilità dell’amministratore che faccia derivare l’esistenza dell’elemento soggettivo del reato dal solo fatto, costituente l’elemento materiale del reato,
che lo stato delle scritture sia tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, occorrendo chiarire la ragione e gli
elementi sulla base dei quali l’imputato abbia avuto coscienza e volontà di rendere impossibile la ricostruzione degli affari e non, invece, di trascurare
semplicemente la regolare tenuta delle scritture, senza por mente alle conseguenze di tale condotta, considerato che, in quest’ultimo caso, si integra
l’atteggiamento psicologico del diverso e meno grave reato di bancarotta semplice di cui all’art. 217, comma secondo, I. fall. (Sez. 5, n. 172 del
07/06/2006, dep. 2007, INDIRIZZO, Rv. 236032).
La sentenza impugnata dunque deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro restando
assorbita l’ultima censura proposta.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro.
Roma, 30 gennaio 2025