Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 13782 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 13782 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 24/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a BUSACHI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 27/10/2022 della CORTE APPELLO di FIRENZE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; udito il difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO, il quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Firenze riformava parzialmente la sentenza di condanna di primo grado nei confronti del ricorrente, assolvendo lo stesso dal reato di bancarotta fraudolenta preferenziale di cui al capo 3) dell’imputazione.
Avverso la richiamata sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, mediante il difensore di fiducia, AVV_NOTAIO, affidandosi a un unico motivo di impugnazione, con il quale è dedotto che il COGNOME avrebbe avuto solo una condotta negligente nella tenuta delle scritture contabili, riconducibile al delitto di bancarotta documentale semplice.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso – oltre che incomprensibile nella parte in cui richiama la giurisprudenza sull’elemento soggettivo del reato per aver cagionato il dissesto mediante operazioni dolose, pur essendo contestata la sussistenza del dolo necessario ai fini dell’integrazione del delitto di bancarotta fraudolenta documentale – è manifestamente infondato.
Giova premettere che il capo di imputazione non fa alcun riferimento, al capo 1) che riguarda il delitto di bancarotta fraudolenta documentale, alla volontà del COGNOME di arrecare pregiudizio ai creditori bensì, semplicemente, ipotizza che egli ha commesso il predetto reato perché il ricorrente ha sottratto i libri e le scritture contabili prescritte dalla legge e comunque le ha tenute in modo tale da non consentire al curatore un’idonea ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari della società.
A fronte di tale ampio capo di imputazione, nei gradi di merito è stato accertato che il ricorrente ha consegnato alla curatrice fallimentare, che ha reso una dettagliata audizione, solo una parte delle scritture necessarie alla ricostruzione della situazione economico-patrimoniale della società, così rendendo la stessa difficoltosa.
Sicché, correttamente, l’imputato è stato ritenuto responsabile a titolo di dolo generico.
Su detto aspetto sia la sentenza di primo grado che quella di appello forniscono una motivazione congrua, con la quale il ricorrente non si confronta se non in parte.
In particolare è stato evidenziato che dalle dichiarazioni del medesimo COGNOME e della figlia è emerso che la tenuta della contabilità era stata affidata a uno studio di commercialisti e che, dopo che detto studio si era reso indisponibile
a causa dei mancati pagamenti, l’imputato non aveva incaricato altri professionisti ma, come riferito dalla figlia “aveva fatto quel che poteva”.
Poiché la descritta situazione si è protratta per almeno cinque anni, in quanto le ultime scritture risalgono al 2011 ed il fallimento della società è stato dichiarato solo nel 2016, il ricorrente era consapevole che la propria condotta avrebbe reso almeno più difficoltosa la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari della società.
Talché la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione del consolidato principio per il quale la parziale omissione del dovere di annotazione, integrante la fattispecie di cui alla seconda ipotesi dell’art. 216, comma 1, n. 2, legge fall., è punita a titolo di dolo generico, costituito dalla coscienza e volontà della irregolare tenuta delle scritture con la consapevolezza che ciò renda difficoltosa o impossibile la ricostruzione delle vicende patri moniali dell’impresa (Sez. 5, n. 15743 del 18/01/2023, Gualandri, Rv. 284677 – 02).
2. Alla dichiarazione di inammissibilità per manifesta infondatezza segue la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, atteso che l’evidente inammissibilità dei motivi di impugnazione non consente di ritenere il ricorrente medesimo immune da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000).
P.Q.IM.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 24 gennaio 2024 Il Consigliere COGNOME