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Bancarotta documentale: basta il dolo generico

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per bancarotta documentale e distrattiva a carico dell’ex presidente di una società. La Corte ha stabilito che per la bancarotta documentale cosiddetta “generale”, ovvero la tenuta irregolare delle scritture contabili, è sufficiente il dolo generico, cioè la consapevolezza di rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio, senza che sia necessario provare il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori.

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Pubblicato il 27 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Bancarotta Documentale: La Cassazione Conferma la Sufficienza del Dolo Generico

Una recente sentenza della Corte di Cassazione penale ha ribadito un principio fondamentale in materia di reati fallimentari, specificando la natura dell’elemento psicologico necessario per integrare il reato di bancarotta documentale. Con la pronuncia in esame, i giudici hanno confermato che per la cosiddetta bancarotta documentale ‘generale’ è sufficiente il dolo generico, ovvero la semplice consapevolezza di tenere le scritture contabili in modo tale da ostacolare la ricostruzione delle vicende patrimoniali della società, senza che sia necessario dimostrare l’intento specifico di frodare i creditori. Questa decisione consolida un orientamento giurisprudenziale cruciale per l’accertamento delle responsabilità degli amministratori.

I Fatti di Causa: Dalla Gestione Societaria alla Condanna

Il caso riguarda l’ex presidente del consiglio di amministrazione di una società di sviluppo urbano, dichiarato fallito a distanza di oltre un decennio dalla cessazione della sua carica. L’imputato è stato condannato in primo grado e in appello per i reati di bancarotta fraudolenta documentale e distrattiva. La difesa ha presentato ricorso in Cassazione, contestando principalmente due aspetti: in primo luogo, la mancata dimostrazione del dolo specifico per la bancarotta documentale, sostenendo che la gestione contabile fosse regolare e che l’eventuale irreperibilità dei documenti non fosse a lui imputabile; in secondo luogo, ha contestato l’accusa di bancarotta distrattiva, asserendo che i pagamenti verso un’altra società da lui amministrata fossero legittimi e giustificati da un incarico per opere di urbanizzazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, dichiarandolo infondato in ogni suo motivo. I giudici hanno confermato integralmente la sentenza di appello, avvalendosi del principio della “doppia conforme”, secondo cui le motivazioni delle sentenze di primo e secondo grado si integrano a vicenda. La Corte ha ritenuto le argomentazioni dei giudici di merito coerenti e ben fondate sul materiale probatorio, respingendo la richiesta della difesa di una nuova valutazione dei fatti, che non è consentita nel giudizio di legittimità.

Le Motivazioni: Analisi della Bancarotta Documentale e del Dolo

La sentenza si sofferma in modo approfondito sulla distinzione tra le diverse forme di bancarotta documentale e sul relativo elemento soggettivo richiesto dalla legge.

Il Dolo Generico nella Bancarotta Documentale

Il punto centrale della motivazione riguarda la bancarotta documentale. La Cassazione chiarisce che il reato contestato all’imputato non era l’omessa tenuta delle scritture, ma la loro tenuta irregolare e incompleta, in quanto “sostanzialmente sprovviste di qualsivoglia supporto documentale a riscontro”. Questa condotta integra la fattispecie di bancarotta documentale cosiddetta ‘generale’.

Per questa forma di reato, la Corte ribadisce che non è necessario il dolo specifico (l’intenzione di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori), ma è sufficiente il dolo generico. Quest’ultimo consiste nella coscienza e volontà dell’amministratore di tenere la contabilità in modo irregolare, con la consapevolezza che ciò renderà difficoltosa o impossibile la ricostruzione delle vicende patrimoniali dell’impresa. Il dolo, in questo caso, è stato desunto dalle modalità stesse della condotta e dalla piena consapevolezza dell’imputato delle strategie criminali dei suoi correi, avendo egli partecipato attivamente al progetto illecito.

La Prova della Bancarotta Distrattiva

Anche per quanto riguarda la bancarotta per distrazione, la Corte ha confermato la responsabilità dell’imputato. I giudici hanno applicato il principio consolidato secondo cui, a fronte della mancata dimostrazione della destinazione dei beni o delle somme prelevate dalle casse sociali, spetta all’amministratore fornire la prova della loro legittima finalità. La mancata giustificazione fa scattare una presunzione di dolosa distrazione. Inoltre, la Corte ha ricordato, citando la nota sentenza ‘Passarelli’ delle Sezioni Unite, che la distanza temporale tra le condotte distrattive e la dichiarazione di fallimento è irrilevante ai fini della configurabilità del reato.

La Costituzione di Parte Civile dopo la Riforma Cartabia

Infine, la Corte ha respinto la censura relativa all’ammissibilità della costituzione di parte civile, sostenendo che l’atto, sebbene depositato prima delle recenti sentenze delle Sezioni Unite sui nuovi requisiti introdotti dalla Riforma Cartabia, conteneva già una specificazione sufficiente delle ragioni della domanda, in linea con i nuovi standard richiesti.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

La sentenza in esame consolida principi fondamentali in materia di reati fallimentari. In primo luogo, rafforza la distinzione tra le diverse ipotesi di bancarotta documentale, chiarendo che per la tenuta irregolare e caotica della contabilità è sufficiente la consapevolezza di rendere opaca la gestione aziendale (dolo generico), alleggerendo così l’onere probatorio per l’accusa. In secondo luogo, ribadisce la posizione di garanzia dell’amministratore, che ha l’onere di giustificare ogni operazione che incida sul patrimonio sociale, pena la presunzione di distrazione. Questa pronuncia serve da monito per gli amministratori sull’importanza di una gestione trasparente e di una contabilità impeccabile, la cui violazione può avere gravi conseguenze penali, anche a prescindere da un fine fraudolento esplicitamente dimostrato.

Che tipo di dolo è necessario per il reato di bancarotta documentale generale?
Per la fattispecie di bancarotta documentale ‘generale’, che consiste nel tenere le scritture contabili in modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio, la sentenza stabilisce che è sufficiente il dolo generico. Non è necessario provare il dolo specifico, cioè l’intento di recare pregiudizio ai creditori o di ottenere un ingiusto profitto.

La distanza di tempo tra gli atti di distrazione e la dichiarazione di fallimento è rilevante?
No, la sentenza conferma che la notevole distanza temporale tra le condotte distrattive e la data del fallimento non ha alcun rilievo. Una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, i fatti di distrazione assumono rilevanza penale in qualsiasi momento siano stati commessi.

A chi spetta l’onere di provare la destinazione dei beni distratti dal patrimonio sociale?
L’onere della prova grava sull’amministratore. In caso di mancato rinvenimento di beni o somme appartenenti alla società, spetta all’amministratore dimostrare che la loro destinazione è stata legittima e nell’interesse dell’impresa. In assenza di tale prova, scatta una presunzione di dolosa distrazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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