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Bancarotta distrattiva: ruoli e responsabilità

La Corte di Cassazione esamina un caso di bancarotta distrattiva a carico di due amministratori. La sentenza conferma la condanna per l’amministratore di fatto, chiarendo che i rapporti interni tra società del gruppo non giustificano la sottrazione di beni ai creditori. Al contrario, viene annullata con rinvio la condanna per l’altro amministratore, ritenuto un mero “prestanome”, poiché la corte territoriale non ha adeguatamente provato la sua effettiva consapevolezza delle operazioni illecite.

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Pubblicato il 5 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Bancarotta Distrattiva: Responsabilità dell’Amministratore e Ruolo del Prestanome

La recente sentenza n. 28090/2024 della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti in materia di bancarotta distrattiva, delineando con precisione i confini della responsabilità penale dell’amministratore di fatto e analizzando la posizione del cosiddetto “prestanome”. La decisione distingue nettamente tra la gestione operativa e la mera titolarità formale di una carica, sottolineando come la consapevolezza e la partecipazione attiva siano elementi cruciali per fondare una condanna.

I Fatti del Processo

Il caso riguarda la condanna di due coniugi, amministratori di diverse società operanti nel settore petrolifero. L’amministratore principale era accusato di aver orchestrato una serie di operazioni distrattive ai danni di una delle società, poi dichiarata fallita. In particolare, gli incassi derivanti dalla vendita di carburante venivano sistematicamente dirottati sui conti correnti di altre società del gruppo familiare, sottraendoli così alla garanzia dei creditori della società fallita.

La difesa sosteneva che tale meccanismo fosse giustificato da accordi interni al gruppo, secondo cui la proprietà effettiva del carburante apparteneva a un’altra società. Di conseguenza, le somme incassate non sarebbero mai state di pertinenza della società fallita, escludendo così l’ipotesi di distrazione. L’altro amministratore, la moglie, sosteneva di aver ricoperto un ruolo puramente formale di prestanome, senza alcuna consapevolezza o partecipazione alle decisioni gestionali del marito.

L’Analisi della Corte sulla Bancarotta Distrattiva

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’amministratore di fatto, confermando la sua responsabilità per bancarotta distrattiva. I giudici hanno stabilito un principio fondamentale: ciò che rileva ai fini del reato è il dato oggettivo della sottrazione di risorse economiche dal patrimonio della società fallita. Gli incassi, una volta entrati nella disponibilità giuridica della società, ne costituiscono il patrimonio e sono destinati a soddisfare i creditori.

Qualsiasi accordo interno o rapporto economico tra società dello stesso gruppo è irrilevante se ha come effetto finale quello di spogliare la società poi fallita dei suoi beni. Il trasferimento di tali somme su conti di terzi, anche se appartenenti alla stessa famiglia imprenditoriale, integra pienamente la condotta distrattiva. La Corte ha inoltre respinto la richiesta di applicare l’istituto della continuazione con precedenti reati fallimentari, specificando che la continuazione richiede un unico disegno criminoso pianificato sin dall’inizio, e non una mera tendenza a delinquere o la serialità di condotte illecite nel tempo.

Il Ruolo del Prestanome e la Responsabilità Penale

Di diverso avviso è stata la Corte riguardo alla posizione del secondo amministratore. La sentenza di condanna è stata annullata con rinvio a un’altra sezione della Corte d’Appello. Il motivo risiede nella carenza di motivazione riguardo alla sua effettiva responsabilità.

I giudici di legittimità hanno affermato che non è sufficiente ricoprire formalmente la carica di amministratore per essere automaticamente responsabili dei reati commessi. È necessario dimostrare, al di là di ogni ragionevole dubbio, la reale consapevolezza delle operazioni illecite e una partecipazione, anche solo morale o a titolo di concorso omissivo, alla gestione della società. Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva affermato la responsabilità dell’imputata in modo assertivo, senza un’analisi puntuale dei dati processuali che potessero confermare la sua conoscenza delle modalità gestorie del coniuge. Sarà quindi necessario un nuovo processo per accertare se il suo ruolo fosse effettivamente quello di un prestanome inconsapevole o se, al contrario, fosse cosciente e consenziente rispetto alle condotte distrattive.

Le Motivazioni della Decisione

La motivazione della Cassazione si fonda su una netta distinzione tra il dato formale e quello sostanziale. Per l’amministratore di fatto, la sostanza prevale: il flusso di denaro generato dalla società fallita è stato illecitamente deviato, integrando il reato di bancarotta distrattiva indipendentemente dalle complesse architetture societarie create per giustificarlo. Per l’amministratore formale (prestanome), invece, la forma non è sufficiente a fondare una condanna. È indispensabile provare la sostanza del suo contributo, ovvero la consapevolezza e la volontà di partecipare all’illecito. In assenza di tale prova, la responsabilità penale non può essere affermata.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce che la gestione di un’impresa comporta precise responsabilità, soprattutto in prossimità di uno stato di insolvenza. Chi sottrae beni alla garanzia dei creditori commette il grave reato di bancarotta distrattiva. Al contempo, la decisione tutela la posizione di chi assume cariche sociali in modo puramente formale, stabilendo che la responsabilità penale è personale e richiede un’indagine rigorosa sul reale coinvolgimento e sulla coscienza e volontà del soggetto. Questo principio garantisce che non si verifichino indebite estensioni di responsabilità a chi, di fatto, non ha avuto alcun potere decisionale né consapevolezza delle attività criminali altrui.

Spostare incassi di una società fallita su conti di altre società costituisce bancarotta distrattiva, anche se queste società sono collegate?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, il trasferimento di somme di pertinenza della società poi fallita su conti di terze società, anche se facenti parte dello stesso gruppo, costituisce bancarotta distrattiva perché sottrae tali risorse alla garanzia dei creditori.

Un amministratore “prestanome” è sempre responsabile per i reati commessi dalla società?
No. La sola carica formale non è sufficiente per affermare la responsabilità penale. È necessario che l’accusa dimostri la reale consapevolezza delle condotte illecite e una partecipazione attiva o un concorso omissivo da parte del prestanome.

Quando si può applicare la “continuazione” tra più reati di bancarotta commessi nel tempo?
La continuazione si applica solo quando i diversi reati sono stati concepiti ed eseguiti nell’ambito di un unico e originario programma criminoso. Non può essere riconosciuta se i reati sono semplicemente l’espressione di una serialità criminale o di uno stile di vita illecito, soprattutto se commessi a notevole distanza di tempo l’uno dall’altro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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