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Bancarotta da operazioni dolose: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna di due amministratori per bancarotta da operazioni dolose, causata dalla sistematica omissione di versamenti fiscali e previdenziali. La sentenza chiarisce un punto fondamentale: per questo reato, il dolo deve riguardare l’operazione dannosa, mentre il fallimento deve essere solo una conseguenza concretamente prevedibile. Inoltre, viene ribadito che anche il semplice aggravamento di un dissesto preesistente è sufficiente a integrare il reato.

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Pubblicato il 24 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Bancarotta da Operazioni Dolose: Quando il Fallimento è solo Prevedibile

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 24692/2025, torna a delineare i confini di una delle figure più complesse del diritto penale fallimentare: la bancarotta da operazioni dolose. Il caso riguardava due amministratori, una madre e un figlio, accusati di aver causato il fallimento della loro società attraverso una gestione che privilegiava un ‘autofinanziamento’ illecito, accumulando un debito con l’erario di quasi 4 milioni di euro. La Corte ha colto l’occasione per chiarire in modo definitivo la struttura di questo reato, soffermandosi in particolare sull’elemento psicologico richiesto e sul nesso di causalità tra la condotta e il fallimento.

I Fatti: Omissioni Fiscali e il Debito Milionario

Gli amministratori di una società a responsabilità limitata avevano sistematicamente omesso di versare imposte e contributi previdenziali. Questa condotta, protrattasi per anni, era una scelta gestionale consapevole volta a mantenere la liquidità aziendale, ma ha avuto l’effetto di creare un’esposizione debitoria insostenibile nei confronti dello Stato. Quando la società è stata dichiarata fallita, il debito verso l’erario rappresentava la seconda voce più consistente del passivo. La Corte di Appello aveva confermato la condanna, ma gli imputati hanno proposto ricorso in Cassazione lamentando, tra le altre cose, un’errata interpretazione degli elementi costitutivi del reato.

La Decisione della Corte e la definizione della bancarotta da operazioni dolose

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, confermando la condanna. La decisione è di grande importanza perché affronta e risolve alcuni dei dubbi interpretativi più dibattuti in materia. I giudici hanno stabilito due principi cardine:
1. Nesso Causale: Per integrare il reato, non è necessario che le operazioni dolose siano l’unica causa del fallimento. È sufficiente che abbiano contribuito a cagionare o anche solo ad aggravare un dissesto già esistente.
2. Elemento Soggettivo: Il dolo non deve riguardare l’evento-fallimento, ma le singole operazioni dannose. L’amministratore deve agire con la coscienza e volontà di compiere un’operazione pericolosa per la salute economica della società. Il fallimento, invece, deve essere soltanto una conseguenza ‘prevedibile in concreto’ di tale condotta.

Le Motivazioni della Sentenza: Dolo sulle Operazioni, non sul Fallimento

La Corte ha sviluppato un’argomentazione dettagliata per smontare le tesi difensive, offrendo una lettura chiara dell’art. 223 della Legge Fallimentare.

Il Nesso Causale: Aggravare il Dissesto Equivale a Cagionarlo

La difesa sosteneva che la norma punisse solo la ‘causazione’ del fallimento, non il suo aggravamento. La Cassazione ha respinto questa interpretazione restrittiva. Richiamando un orientamento consolidato, ha spiegato che il dissesto è un fenomeno progressivo. Pertanto, qualsiasi condotta che si inserisca in questo processo, peggiorando la situazione finanziaria, costituisce una concausa sufficiente a stabilire il rapporto di causalità richiesto dalla legge. Equiparare la causazione all’aggravamento non è un’interpretazione analogica vietata, ma la corretta applicazione dei principi generali sulla causalità penale (art. 41 c.p.).

L’Elemento Soggettivo nella Bancarotta da Operazioni Dolose

Questo è il cuore della pronuncia. La Corte distingue nettamente tra la bancarotta ‘dolosa’ (in cui l’agente vuole proprio il fallimento) e la bancarotta da ‘operazioni dolose’ (il caso in esame). In quest’ultima ipotesi, il legislatore ha spostato il focus del dolo dalla volontà dell’evento finale (il fallimento) alla volontà della condotta che lo precede. L’amministratore è punito perché compie, deliberatamente, operazioni che sa essere intrinsecamente pericolose e contrarie agli interessi della società, come l’omissione sistematica dei versamenti fiscali.

La Prevedibilità ‘in Concreto’ dell’Evento

Se il fallimento non deve essere voluto, quale coefficiente psicologico lo deve legare all’agente? La risposta della Corte è la ‘prevedibilità in concreto’. Non basta una generica prevedibilità astratta. Il giudice deve accertare, sulla base di tutti gli elementi del caso specifico (come l’aumento esponenziale del debito), che l’amministratore poteva e doveva rappresentarsi il dissesto come uno ‘sviluppo logicamente prevedibile’ della sua gestione illecita. Si richiede quindi una ‘partecipazione psichica’ dell’agente al fatto, che salva la norma da qualsiasi dubbio di incostituzionalità per violazione del principio di colpevolezza.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche per gli Amministratori

La sentenza n. 24692/2025 consolida un’interpretazione rigorosa della bancarotta da operazioni dolose. Il messaggio per gli amministratori è chiaro: le scelte gestionali palesemente dannose o illecite, come utilizzare l’erario come ‘banca’ per finanziare l’impresa, comportano una responsabilità penale grave se da esse deriva, come conseguenza prevedibile, il dissesto societario. Non sarà possibile difendersi sostenendo di non aver mai voluto il fallimento, se questo era una conseguenza logica e prevedibile di una condotta posta in essere con piena consapevolezza e volontà.

Per il reato di bancarotta da operazioni dolose, l’amministratore deve aver voluto il fallimento della società?
No, non è necessario. La Corte di Cassazione ha chiarito che l’intento doloso deve riguardare le operazioni pregiudizievoli per la società (es. la sistematica omissione di versamenti fiscali). Il fallimento, invece, deve essere solo una conseguenza ‘prevedibile in concreto’ di tali operazioni.

Se una società è già in crisi, un amministratore che peggiora la situazione commette bancarotta da operazioni dolose?
Sì. Secondo la sentenza, anche il semplice aggravamento di una situazione di dissesto preesistente è sufficiente per integrare il nesso di causalità richiesto dalla norma. Non è necessario che la condotta dell’amministratore sia la causa unica ed esclusiva del fallimento.

L’omissione sistematica del pagamento di tasse e contributi può essere considerata una ‘operazione dolosa’?
Sì. La sentenza conferma che il protratto e sistematico omesso versamento di imposte e contributi, quando rappresenta una scelta gestionale consapevole per autofinanziare l’impresa, costituisce un’operazione dolosa capace di causare il fallimento, integrando così il reato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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