Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 20221 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 20221 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 26/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a NAPOLI il 14/04/1971
avverso la sentenza del 06/11/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME che ha concluso chiedendo
Il Proc. Gen. conclude per l’annullamento con rinvio limitatamente alla distrazione dei beni in leasing; rigetto nel resto.
udito il difensore
L’avvocato COGNOME chiede l’accoglimento del ricorso; insiste per l’annullamento con rinvio con riferimento al primo motivo di ricorso come già richiesto dal Procuratore generale.
IN FATTO E IN DIRITTO
1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Milano confermava la sentenza con cui il tribunale di Monza, in data 2.10.2023, aveva condannato COGNOME NOME, alle pene, principale e accessorie, ritenute di giustizia, oltre al risarcimento dei danni derivanti da reato in favore della costituita parte civile, in relazione ai fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, di bancarotta fraudolenta di cui all’art. 223, co. 2, n. 2), Lfall., e di bancarotta fraudolenta documentale, in rubrica ascrittigli nei capi da 1) a 4) dell’imputazione, in qualità di amministratore unico della “RAGIONE_SOCIALE“, dichiarata fallita dal tribunale di Monza in data 28.3.2018. 2. Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l’annullamento, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, articolando nove motivi di ricorso, con cui lamenta: 1) violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione alla ritenuta distrazione dei beni aziendali, detenuti a titolo di leasing operativo, in quanto tali beni, tenuto conto delle caratteristiche del suddetto contratto di leasing, sulle quali il ricorrente si sofferma, rimanendo nella proprietà della società concedente, non sono entrati nel patrimonio della società fallita, oltre ad essere privi di ogni rilevanza economica, perché tecnologicamente obsoleti, sicché il mancato rinvenimento di tali beni non ha causato alcun pregiudizio concreto per la massa dei creditori (primo e secondo motivo di ricorso); 2) violazione di legge e vizio di motivazione sulla sussistenza di un nesso causale tra le condotte distrattive e il danno per i creditori (terzo motivo di ricorso); 3) violazione di legge e vizio di motivazione, in quanto, con particolare riferimento al fatto distrattivo di cui al capo 2), avente a oggetto crediti per un valore di 400.000,00 euro, la corte territoriale non ha considerato che per tale fatto è intervenuta sentenza di assoluzione da parte del giudice di primo grado, per essere stato assorbito nel reato di bancarotta fraudolenta documentale di cui al capo 4), stante l’impossibilità di rinvenire con certezza tali crediti nella contabilità della società fallita (quarto motivo di ricorso); 4) vizio di motivazione con riferimento al fatto di bancarotta
fraudolenta da operazioni dolose, relative all’omesso pagamento dei debiti verso enti pubblici, per mancanza di motivazione sul dolo specifico e sulle doglianze rappresentate dall’appellante, avendo la corte territoriale rinviato per relationem, alla motivazione sul punto del giudice di primo grado (quinto motivo di ricorso); 5) violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento al fatto di bancarotta fraudolenta documentale, difettando la motivazione sulla sussistenza del dolo generico, non avendo la corte territoriale, inoltre, preso in considerazione il comportamento collaborativo dell’imputato e la mancanza di un effettivo pregiudizio per i creditori, senza tacere che non risulta dimostrata la volontarietà della mancata consegna delle scritture contabili, di cui, peraltro, il COGNOME ha denunciato il furto da parte di terzi, per cui la condotta dell’imputato andrebbe ricondotta alla previsione normativa, di cui all’art. 217, I. fall. (sesto e settimo motivo di ricorso); 6) violazione di legge e vizio di motivazione, in punto di mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, con giudizio di prevalenza sulla ritenuta circostanza aggravante di cui all’art. 219, ultimo comma, I. fall., e di dosimetria della pena, ritenuta eccessiva, rispetto alla natura secondaria e marginale delle condotte contestate nel capo 1) e alla qualificazione del fatto di cui al capo 4), in termini di bancarotta semplice.
Il ricorso non può essere accolto, essendo sorretto da motivi in parte inammissibili, in parte infondati.
Con particolare riferimento ai primi tre motivi di ricorso, non può non rilevarsene l’infondatezza.
Le condotte distrattive di cui si discute, come rilevato dalla corte territoriale, riguardano i dispositivi elettronici “Ipad” indicati nel capo 1) dell’imputazione, oggetto di un contratto di leasing operativo, di cui la società concedente “RAGIONE_SOCIALE ha rivendicato la proprietà, una volta dichiarato il fallimento, risultando dall’esame dell’imputato che la società fallita aveva avuto effettivamente in godimento i beni in questione, dati in dotazione ai dipendenti (cfr. pp. 2-3).
Si osserva, al riguardo, che costante appare l’orientamento giurisprudenziale, secondo cui, in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, in caso di bene pervenuto all’impresa a seguito di contratto di “leasing”, qualsiasi manomissione del medesimo che ne impedisca l’acquisizione alla massa o che comporti per quest’ultima un onere economico derivante dall’inadempimento dell’obbligo di restituzione integra il reato poiché determina la distrazione dei diritti esercitabili dal fallimento con contestuale pregiudizio per i creditori a causa dell’inadempimento delle obbligazioni assunte verso il concedente (cfr. Sez. 5, n. 21933 del 17/04/2018, Rv. 272992; Sez. 5, n. 15403 del 13/02/2020, Rv. 279212).
Ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, infatti, il distacco del bene dal patrimonio dell’imprenditore poi fallito (con conseguente depauperamento in danno dei creditori), in cui si concreta l’elemento oggettivo del reato di cui si discute, può realizzarsi in qualsiasi forma e con qualsiasi modalità, non avendo incidenza su di esso la natura dell’atto negoziale con cui tale distacco si compie, né la possibilità di recupero del bene attraverso l’esperimento delle azioni apprestate a favore della curatela (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 44891 del 09/10/2008, Rv. 241830; Sez. 5, n. 48872 del 14/07/2022, Rv. 283893).
Integrano, pertanto, il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione tutte le operazioni economiche che, esulando dagli scopi dell’impresa, determinano, senza alcun utile per il patrimonio sociale, un effettivo depauperamento di questo in danno dei creditori (cfr. Sez. 5, n. 15679 del 05/11/2013, Rv. 262655).
Proprio la natura di reato di pericolo del delitto di cui si discute rende del tutto irrilevante ai fini della sua configurabilità, sotto il profilo dell’elemento oggettivo e soggettivo del reato, l’assenza di un danno per i creditori (cfr. Sez. 5, n. 13382 del 03/11/2020, Rv. 281031).
In questa prospettiva, si è ulteriormente chiarito che, da un lato, integra il reato di bancarotta patrimoniale la distrazione di beni entrati nella effettiva disponibilità della società fallita in virtù di un contratto di
‘leasing’, GLYPH risolto GLYPH prima GLYPH della GLYPH dichiarazione GLYPH di GLYPH fallimento GLYPH per inadempimento. Quel che rileva, a tal fine, è, infatti, la disponibilità di fatto, in capo all’utilizzatore, dei beni successivamente distratti, considerato che, comunque, la sottrazione del bene comporta un pregiudizio per la massa fallimentare che viene gravata dell’onere economico derivante dall’inadempimento dell’obbligo di restituzione, ai sensi dell’art. 79 I. fall. (cfr. Sez. 5, n. 44350 del 17/06/2016, Rv. 268469); dall’altro, che del pari integra il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale la sottrazione o dissipazione di un bene pervenuto alla società fallita a seguito di contratto di “leasing”, anche se risolto dopo la dichiarazione di fallimento, in quanto la perdita del valore del bene, suscettibile di riscatto, e l’onere economico derivante dall’inadempimento dell’obbligo di restituzione verso il concedente determina un pregiudizio per la massa fallimentare (cfr. Sez. 5, n. 15403 del 13/02/2020, Rv. 279212).
Quel che il ricorrente trascura, in altri termini è che nel cd. leasing operativo, su cui egli sofferma la sua attenzione nel secondo motivo di ricorso, il bene oggetto della negoziazione entra nella disponibilità di fatto dell’utilizzatore.
Tale profilo viene ben evidenziato nella motivazione della richiamata sentenza di questa Sezione n. 15403 del 13/02/2020 (p. 3), in cui, anche con pertinenti richiami giurisprudenziali, si afferma che “ove il fallimento, come nel caso di specie, riguardi l’utilizzatore, può venire in rilievo la sola disponibilità di fatto, essendo pacifico che il soggetto non ha la disponibilità giuridica, almeno sino alla fine rapporto e, cioè, sino a quando, previo esercizio del diritto di opzione, il medesimo non abbia corrisposto il prezzo di riscatto, acquisendo così la proprietà del bene. La disponibilità di fatto – la sola configurabile in capo all’utilizzatore postula, pur sempre, l’avvenuta consegna del bene oggetto di contratto di leasing; verificatosi tale indefettibile presupposto, la relativa appropriazione da parte sua integra distrazione, in quanto la sottrazione (o la dissipazione) del bene comporta un pregiudizio per la massa fallimentare che viene privata del valore dello stesso – che avrebbe
potuto essere conseguito mediante riscatto al termine del rapporto negoziale – e, al tempo stesso, gravata di ulteriore onere economico scaturente dall’inadempimento dell’obbligo di restituzione (Sez. 5, n. 9427 del 03/11/2011, del 2012, COGNOME, Sez. 5, n. 44159 del 20/11/2008, COGNOME, Rv 241692; Sez. 5, n. 33380 del 18/07/2008, COGNOME)”.
Di tali principi la corte territoriale ha fatto specifica applicazione, uniformandosi all’orientamento costante della giurisprudenza di legittimità (cfr. pp. 15-17).
Quanto alla manifesta infondatezza del rilievo sulla mancata dimostrazione di un effettivo pregiudizio per i creditori e di un nesso causale tra le condotte distrattive e il danno subito da questi ultimi, si è già detto, in disparte la natura meramente tautologica dell’affermazione difensiva in ordine alla obsolescenza, da cui dedurre il modesto valore economico, dei beni distratti.
Manifestamente infondato e inammissibile per difetto di interesse, appare il quarto motivo di ricorso, avendo la corte territoriale, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, rilevato, nel non prendere in considerazione i rilievi difensivi articolati in relazione alla condotta distrattiva di cui al capo n. 2) dell’imputazione, che nessuna condanna era intervenuta in primo grado per tali fatti, essendo stati dichiarati assorbiti all’interno del capo d’imputazione n. 4), relativo alla contestata GLYPH bancarotta GLYPH fraudolenta GLYPH documentale, GLYPH in GLYPH ragione dell’impossibilità di rinvenire con certezza il credito di 400.000,00, di cui si è fatta menzione, nella contabilità della società fallita, avendo l’imputato prodotto soltanto la fatture “autoannotate” nel proprio registro I.V.A. (cfr. p. 17 della sentenza di appello; p. 8 della sentenza di primo grado).
Infondato appare il quinto motivo di ricorso.
Al riguardo appare opportuno ribadire i consolidati principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in sede di interpretazione della previsione normativa di cui all’art. 223, comma secondo, n. 2), I. fall.
Si è da tempo evidenziato, infatti, che, in tema di bancarotta fraudolenta, le operazioni dolose di cui all’art 223, comma secondo, n. 2, I. fall., attengono alla commissione di abusi di gestione o di infedeltà ai doveri imposti dalla legge all’organo amministrativo nell’esercizio della carica ricoperta, ovvero ad atti intrinsecamente pericolosi per la “salute” economico-finanziaria della impresa e postulano una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente non già direttamente dall’azione dannosa del soggetto attivo (distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione), bensì da un fatto di maggiore complessità strutturale riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all’esito divisato (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 47621de1 25/09/2014, Rv. 261684; Sez. 5, n. 12945 del 25/02/2020, Rv. 279071; Sez. 5, n. 846 del 04/10/2022, Rv. 284015).
In applicazione di tali principi, la Suprema Corte ha ritenuto corretta la qualificazione di operazione dolosa data nella sentenza impugnata proprio al protratto, esteso e sistematico inadempimento delle obbligazioni contributive, che, aumentando ingiustificatamente l’esposizione nei confronti degli enti previdenziali, rendeva prevedibile il conseguente dissesto della società (cfr. Cass., Sez. 5, n. 47621de1 25/09/2014, Rv. 261684).
Può affermarsi, pertanto, che costituisce oramai “diritto vivente” l’approdo interpretativo secondo cui le operazioni dolose di cui all’art. 223, comma 2, n. 2, legge fall. possono consistere nel sistematico inadempimento delle obbligazioni fiscali, assistenziali e previdenziali, frutto di una consapevole scelta gestionale da parte degli amministratori della società, da cui consegue il prevedibile aumento della sua esposizione debitoria nei confronti dell’erario e degli enti previdenziali (cfr., ex plurimis, Cass. Sez. 5, n. 30735 del 05/04/2019, Rv. 276996; Cass., Sez. 5, n. 24752, del 19/02/2018 Rv. 273337; Cass., Sez. 5, n. 15281 del 08/11/2016, Rv. 270046; Cass., Sez. 5, n. 29586 del 15/05/2014, Rv. 260492).
Sotto il profilo dell’elemento psicologico del reato, infine, si è opportunamente sottolineato come, in tema di bancarotta fraudolenta impropria, nell’ipotesi di fallimento causato da operazioni dolose non determinanti un immediato depauperamento della società, la condotta di reato sia configurabile quando la realizzazione di tali operazioni si accompagni, sotto il profilo dell’elemento soggettivo, alla prevedibilità del dissesto come effetto della condotta antidoverosa (cfr. Sez. 5, n. 45672 del 01/10/2015, Rv. 265510).
Sostanziandosi il fallimento determinato da operazioni dolose, in un’eccezionale ipotesi di fattispecie a sfondo preterintenzionale, l’onere probatorio dell’accusa, come è stato opportunamente rilevato, si esaurisce nella dimostrazione della consapevolezza e volontà dell’amministratore della complessa azione arrecante pregiudizio patrimoniale nei suoi elementi naturalistici e nel suo contrasto con i propri doveri a fronte degli interessi della società, nonché dell’astratta prevedibilità dell’evento di dissesto quale effetto dell’azione antidoverosa, non essendo invece necessarie la rappresentazione e la volontà dell’evento fallimentare (cfr. Cass., Sez. 5, n. 38728 del 3/04/2014, Rv. 262207).
Pertanto, ai fini della configurabilità della bancarotta impropria da operazioni dolose, non deve risultare dimostrato il dolo specifico diretto alla causazione del fallimento, ma solo il dolo generico, ossia la coscienza e volontà delle singole operazioni e la prevedibilità del dissesto come conseguenza della condotta antidoverosa (cfr. Sez. 5, n. 16111 del 08/02/2024, Rv. 286349), che è insita nel protratto, esteso e sistematico inadempimento delle obbligazioni contributive, come del resto affermato dallo stesso ricorrente (cfr. pp. 8-9 del ricorso).
Orbene la corte territoriale ha reso una decisione del tutto conforme ai menzionati principi, evidenziando proprio la sistematicità delle omissioni contributive ascrivibili al Gramaglia.
Nell’arco temporale ricompreso tra il 2004 e il 2009, infatti, ha rilevato il giudice di appello, l’imputato, che in tale periodo ha ricoperto ininterrottamente il ruolo di amministratore unico della società, “ha
programmaticamente omesso il versamento di imposte e contributi previdenziali, accumulando in questo modo un ingente debito nei confronti degli enti pubblici, superiore a due milioni e mezzo di euro, assumendo nel contempo una commessa presso Casale sul Sile, nel 2016″, circostanza che la corte territoriale, con motivazione affatto carente, manifestamente illogica o contraddittoria, ha ritenuto rivelatrice “di una deliberata scelta imprenditoriale, volta a proseguire l’attività di impresa attraverso un autofinanziamento derivante dal sistematico e continuativo inadempimento del versamento dei tributi e contributi previdenziali” (cfr. p. 18).
Dunque nessun difetto di motivazione per rinvio integrale alla sentenza di primo grado è riscontrabile nel caso che ci occupa, avendo la corte di appello reso una motivazione specifica sul punto in esame, conforme ai principi che lo stesso ricorrente dichiara di condividere, mentre appaiono del tutto generici i rilievi sul mancato esame da parte della corte territoriale delle specifiche doglianze articolate dalla difesa nell’atto di appello.
A tale ultimo proposito deve ribadirsi il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione i cui motivi si limitino a lamentare, come nel caso in esame, l’omessa valutazione, da parte del giudice dell’appello, delle richieste articolate con il relativo atto di gravame, rinviando genericamente ad esse, senza indicarne specificamente il contenuto, al fine di consentire l’autonoma individuazione delle questioni che si assumono irrisolte e sulle quali si sollecita il sindacato di legittimità, dovendo l’atto di ricorso contenere la precisa prospettazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre a verifica (cfr., ex plurimis, Sez. 3, 4.11.2014, n. 35964, Rv. 264879; Sez. 3 n. 8065 del 21.9.2018, Rv. 275853).
Anche il sesto e il settimo motivo di ricorso non possono essere accolti.
Al riguardo si osserva come in una serie di recenti e condivisibili arresti si sia precisato, che, in tema di bancarotta fraudolenta documentale,
l’occultamento delle scritture contabili, per la cui sussistenza è necessario il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori, consistendo nella fisica sottrazione delle stesse alla disponibilità degli organi fallimentari, anche sotto forma della loro omessa tenuta, costituisce una fattispecie autonoma ed alternativa – in seno all’art. 216, comma primo, lett. b), I. fall. – rispetto alla fraudolenta tenuta di tali scritture, in quanto quest’ultima integra un’ipotesi di reato a dolo generico, che presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dai predetti organi (cfr. Cass., Sez. 5, n. 18634 del 01/02/2017, Rv. 269904; Cass., Sez. 5, n. 26379 del 05/03/2019, Rv. 276650; Cass., Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, Rv. 279838).
Per integrare tale forma di bancarotta (cd. bancarotta fraudolenta documentale specifica), non si richiede, dunque, un effettivo pregiudizio delle ragioni del ceto creditorio, ma solo che la condotta del soggetto attivo del reato sia sostenuta dalla finalità di arrecare pregiudizio ai creditori (ovvero di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto).
Al riguardo deve osservarsi che gli elementi dai quali desumere la sussistenza del dolo specifico nel delitto di bancarotta fraudolenta documentale specifica e del dolo generico nel delitto di bancarotta fraudolenta documentale generica non possono coincidere con la scomparsa dei libri contabili o con la tenuta degli stessi in guisa tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari, che rappresentano semplicemente gli eventi fenomenici, dal cui verificarsi dipende l’integrazione dell’elemento oggettivo del reato.
Dovendo, piuttosto, consistere in circostanze di fatto ulteriori, in grado di illuminare la ratio dei menzionati eventi alla luce della finalità di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto ovvero di recare pregiudizio ai creditori, nel caso della bancarotta fraudolenta documentale specifica; della consapevolezza che l’irregolare tenuta della documentazione contabile è in grado di arrecare pregiudizio alle ragioni del ceto creditorio, nel caso della bancarotta fraudolenta documentale generica.
Appare, pertanto, evidente che tra le suddette circostanze assume un rilievo fondamentale la condotta del fallito nel suo concreto rapporto con
le vicende attinenti alla vita economica dell’impresa (cfr., in questo senso, Sez. 5, n. 2228 del 04/11/2022, Rv. 283983; Sez. 5, n. 33575 del 08/04/2022, Rv. 283659; Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, Rv. 279838).
In questa prospettiva si è ritenuto, in un condivisibile arresto, che, in tema di bancarotta fraudolenta documentale di cui alla seconda ipotesi dell’art. 216, comma 1, n. 2 legge fall., il dolo, generico, può essere desunto, con metodo logico-presuntivo, dall’accertata responsabilità dell’imputato per fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale, in quanto la condotta di irregolare tenuta dei libri o delle altre scritture contabili, che rappresenta l’evento fenomenico dal cui verificarsi dipende l’integrazione dell’elemento oggettivo del reato, è di regola funzionale all’occultamento o alla dissimulazione di atti depauperativi del patrimonio sociale (cfr. Sez. 5, n. 33575 del 08/04/2022, Rv. 283659).
Orbene la corte territoriale ha reso una motivazione del tutto conforme a tali principi, evidenziando come, trattandosi di bancarotta fraudolenta documentale “generica”, in quanto l’unica documentazione contabile consegnata direttamente dall’imputato al curatore era costituita dalle fatture e dai registri I.V.A., non consentendo di ricostruire l’andamento degli affari societari (cfr. p. 5), sia sufficiente la dimostrazione del dolo generico.
Dimostrazione che il giudice di secondo grado, fornisce, facendo riferimento alla condotta del fallito nel suo concreto rapporto con le vicende attinenti alla vita economica dell’impresa e, in particolare, alle condotte distrattive poste in essere e alla circostanza che il “COGNOME abbia consegnato soltanto la documentazione attestante gli asseriti crediti della società, omettendo di conservare al contrario le scritture che avrebbero reso possibile accertare gli atti gestori e i pagamenti eseguiti” (cfr. p. 20).
Ciò posto i motivi di ricorso non colgono nel segno e, anzi, risultano inammissibili laddove appaiono genericamente rivolti a contestare la mancanza di consapevolezza e di volontarietà nella condotta dell’imputato, chiedendo di valorizzare, ai fini dell’esclusione del dolo,
elementi di natura fattuale, quali l’ipotizzata sottrazione dolosa della documentazione dolosa da parte di terzi e la collaborazione fornita dal COGNOME agli organi della procedura fallimentare, inidonei di per sé a incidere, escludendolo, sul dolo generico.
Con riferimento, poi, alla mancata dimostrazione di un danno in capo ai creditori, non può non rilevarsi come si tratti di un elemento del tutto estraneo alla struttura del reato di bancarotta fraudolenta documentale, per la cui sussistenza è sufficiente un mero pericolo per le ragioni del ceto creditorio (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 533 del 14/10/2016, Rv. 269019).
Infondata deve ritenersi, infine, anche la richiesta di diversa qualificazione giuridica della condotta.
E, invero, come è noto, la bancarotta semplice e quella fraudolenta documentale si distinguono in relazione al diverso atteggiarsi dell’elemento soggettivo, che, ai fini dell’integrazione della bancarotta semplice ex art. 217, comma secondo, legge fall., può essere indifferentemente costituito dal dolo o dalla colpa, ravvisabili quando l’agente ometta, con coscienza e volontà o per semplice negligenza, di tenere le scritture contabili, mentre per la bancarotta fraudolenta documentale, ex art. 216, comma primo, n. 2), legge fall., l’elemento psicologico deve essere individuato esclusivamente nel dolo generico, costituito dalla coscienza e volontà dell’irregolare tenuta delle scritture, con la consapevolezza che ciò renda impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio dell’imprenditore (cfr. Cass., Sez. 5, n. 2900 del 02/10/2018, Rv. 274630), sicché, una volta dimostrata la sussistenza del dolo generico, nei termini in precedenza illustrati, non vi è spazio per la diversa qualificazione giuridica invocata dall’imputato.
Né va taciuto che in tema di bancarotta semplice documentale, è estraneo al fatto tipico descritto dall’art. 217, comma secondo, legge fall. il requisito dell’impedimento della ricostruzione del volume d’affari o del patrimonio del fallito, che costituisce, invece, l’evento della ipotesi di bancarotta fraudolenta per irregolare tenuta delle scritture contabili di
cui all’art. 216, comma primo, n. 2, legge fall. (cfr. Sez. 5, n. 11390 del 09/12/2020, Rv. 280729).
Anche l’ottavo e il nono motivo di ricorso non possono essere accolti.
Il ricorrente non tiene nel dovuto conto che, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti, effettuato in riferimento ai criteri di cui all’art. 133 c.p., sono censurabili in cassazione solo quando siano frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico (cfr. Sez. IV, 06/05/2014, n. 29951).
Né va taciuta l’esistenza di un costante orientamento del Supremo Collegio, secondo cui ai fini del giudizio di comparazione fra circostanze aggravanti e circostanze attenuanti, anche la sola enunciazione dell’eseguita valutazione delle circostanze concorrenti soddisfa l’obbligo della motivazione, trattandosi di un giudizio rientrante nella discrezionalità del giudice e che, come tale, non postula un’analitica esposizione dei criteri di valutazione (cfr., ex plurimis, Sez. II, 08/07/2010, n. 36265, Rv. 248535; Sez. I, 09/12/2010, n. 2668, Rv. 249549; Sez. 7, n. 11571 del 19/02/2016, Rv. 266148).
Orbene la decisione della corte territoriale si colloca a pieno titolo nel menzionato alveo giurisprudenziale, in quanto il giudice di appello ha fondato il rigetto della concessione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza, non solo condividendo la valutazione sul punto del primo giudice, che aveva riscontrato la mancanza di elementi positivi da valorizzare al riguardo, primo fra tutti il risarcimento del danno, ma anche alla luce della gravità dei fatti per cui si procede, avendo pertanto dimostrato di avere preso in considerazione i parametri di cui all’art. 133, c.p., sicché, sul punto, la suddetta motivazione non può ritenersi né arbitraria, né manifestamente illogica.
Inammissibile, infine, è la doglianza sulla determinazione dell’entità del trattamento sanzionatorio, che si è attestato sul minimo edittale di tre anni di reclusione, modificabile in me/ius solo attraverso il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulla circostanza aggravante dei più fatti di bancarotta.
10. Al rigetto del ricorso, segue la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 26.2.2025.