Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 15503 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 15503 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Palermo Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo nel procedimento a carico di:
COGNOME NOMECOGNOME nato a Palermo il 17/08/1978
avverso l’ordinanza del 06/11/2024 del Tribunale del riesame di PALERMO visti gli atti, l’ordinanza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento senza rinvio con trasmissione degli atti per il giudizio;
sentito il difensore di COGNOME, Avvocato NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATE()
Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo ed il Procuratore generale presso la Corte di appello di Palermo impugnano l’ordinanza del Tribunale del riesame di Palermo che, in accoglimento della richiesta di riesame proposta da NOME COGNOME avverso l’ordinanza di custodia cautelare in carcere
emessa dalla Corte di appello di Palermo (all’esito del giudizio con cui, annullando la decisione assolutoria del Tribunale, aveva ritenuto responsabile il Fontana di partecipazione all’associazione mafiosa denominata “Cosa Nostra” e, segnatamente, alla “famiglia di Acquasanta” ex art. 416-bis, primo e quarto comma, cod. pen.), ha annullato la misura disponendo l’immediata scarcerazione dell’imputato.
Il Tribunale del riesame ha escluso che la condotta associativa in ordine a condotte commesse negli anni dal 2014 al 2016, riqualificata dalla Corte di appello in termini di mera partecipazione e con esclusione del ruolo direttivo, consentisse di ritenere attuali le esigenze cautelari; essendosi ormai da tempo radicato in Milano e non emergendo ulteriori elementi, il “tempo silente” intercorso era tale da non consentire di ritenere attuale la partecipazione del ricorrente al sodalizio mafioso, seppure afferente a cosiddetta “mafia storica”.
2. Il Procuratore della Repubblica deduce due motivi di ricorso:
con il primo motivo si deduce violazione dell’art. 309, comma 8, cod. proc. pen. non avendo il Tribunale del riesame comunicato la data dell’udienza al Procuratore della Repubblica che, unitamente alla Procura generale che aveva richiesto la misura, era necessario avvisare;
con il secondo motivo si deducono vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. là dove l’ordinanza ritiene, a fronte di una contestazione “aperta”, la condotta risalente agli anni 2014 – 2016; la decisione non analizza i gravi precedenti anche per omicidio a carico di NOME COGNOME, che risulta essere stato condannato in ordine al delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen. anche relativamente al periodo in cui era domiciliato a Milano, risultando, pertanto, illogico valorizzarne il radicamento in quel territorio onde fondare la dissociazione dal sodalizio mafioso.
Il Procuratore Generale deduce violazione di legge e vizi della motivazione con riferimento alle ritenute insussistenti esigenze cautelari con motivo, in concreto, sovrapponibile a quello formulato dal Procuratore della Repubblica in ordine alla perimetrazione cronologica e all’inconferenza del radicamento sul territorio milanese, elemento che era stato posto a fondamento dell’assoluzione da parte del Giudice di primo grado, ma poi diversamente valutato dalla Corte di appello, che ha invece assegnato ben altra valenza al dato indiziario de quo.
Con articolata memoria presentata dal difensore del ricorrente, Avvocato NOME COGNOME in data 15 febbraio 2024, si rileva l’infondatezza dei
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ricorsi e si precisa come nel caso di specie non sussistano il pericolo di fuga ed il rischio di reiterazione di condotte delittuose.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso del Procuratore della Repubblica è fondato, deducendo una questione in rito che assorbe gli ulteriori motivi con cui si rivolgono censure in ordine alle escluse esigenze cautelari da parte del Tribunale del riesame.
Sulla base del chiaro tenore dell’art. 309, comma 8, cod. proc. pen., “l’avviso della data fissata per l’udienza è comunicato almeno tre giorni prima, al pubblico ministero presso il tribunale indicato nel comma 7 (disposizione, quest’ultima, modificata dall’art. 2, comma 1, lett. a, d.l. 23 ottobre 1996, convertito con modificazioni, dalla I. 23 dicembre 1996, n. 652, nella parte in cui ha accentrato le funzioni del Tribunale del riesame in ordine alle misure cautelari personali nella sede della corte di appello) e, se diverso, a quello che ha richiesto la applicazione della misura”.
Detta norma, onde stabilirne la reale portata, deve essere letta unitamente alla previsione contenuta nel comma 8-bis dello stesso art. 309, in modo da comprendere il necessario previo rapporto da instaurarsi tra gli uffici requirenti destinatari dell’avviso in ordine alla futura celebrazione dell’udienza del riesame. Il comma 8-bis cit., infatti, prevede che “il pubblico ministero che ha richiesto l’applicazione della misura può partecipare all’udienza in luogo del pubblico ministero presso il Tribunale indicato nel comma 7”, norma che, a sua volta, individua la competenza del Tribunale della sede di corte di appello (o di sezione distaccata di corte di appello) nella cui circoscrizione è ricompreso l’ufficio del giudice che ha emesso la misura.
È innegabile, quindi, come la disciplina che riguarda la questione sottoposta al vaglio di questa Corte, nella parte in cui il legislatore del 1996 aveva ritenuto di accentrare le funzioni di riesame presso un unico tribunale individuato nella sede della corte di appello (o sua sezione distaccata), nasce dall’esigenza di creare un collegamento tra distinti uffici requirenti e risolvere le problematiche riconducibili alla precedente disciplina, che vedeva possibile la sola partecipazione del pubblico ministero presso il tribunale, essendo tale organo – per lo più – coincidente con quello che aveva richiesto la misura cautelare. La previsione ha inteso risolvere problemi connessi al mancato coordinamento allorché la misura veniva richiesta da un ufficio requirente diverso da quello deputato ad assolvere le funzioni requirenti presso il tribunale ex art. 309 cod. proc. pen., come – per esempio – in
ipotesi di uffici di procura presso la pretura, prima della loro soppressione, ovvero di uffici di procure presso il tribunale diverso da quello del capoluogo di provincia.
Memore dei contrasti interpretativi che avevano creato non pochi problemi in ordine all’individuazione del rappresentante della procura che, qualora differente da quello che aveva richiesto la misura, era spesso ignaro del procedimento, ma avrebbe in concreto partecipato all’udienza che andava a svolgersi presso il corrispondente Tribunale e, se del caso, proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame (si richiamano le decisioni a Sezioni Unite resesi necessarie per dirimere i contrasti giurisprudenziali venutisi a creare in epoca precedente alla soppressione delle preture e corrispondenti procure in ordine alla legittimazione del procuratore della Repubblica presso la pretura circondariale a partecipare e ricorrere per cassazione i provvedimenti emessi dal Tribunale del riesame, poi risolto prevedendo l’esclusiva legittimazione in capo alla procura della Repubblica presso il tribunale, cfr. Sez. U, n. 8 del 31/05/1991, COGNOME, Rv. 187859), il legislatore del 1996 ha risolto anche i problemi di raccordo tra l’ufficio della procura richiedente la misura cautelare e quello naturalmente deputato, per allocazione, a svolgere la funzione requirente presso il tribunale del circondano.
Questo, in sintesi, è il motivo per cui la riforma del 1996, intervenendo sulla normativa che individuava il tribunale competente in ordine al riesame ex art. 309 cod. proc. pen. in quello del tribunale che insiste nella sede di corte di appello, ha espressamente previsto che l’avviso sia trasmesso sia al pubblico ministero presso il tribunale in sede sia a quello che ha richiesto la misura.
Ciononostante, occorre precisare, la lettera della legge non risulta porre dubbio alcuno nell’individuare, quale principale ufficio deputato a ricevere notizia ed essere presente dinanzi al tribunale del distretto nell’ambito dell’udienza ex art. 127 cod. proc. pen., quello della procura della Repubblica presso il tribunale, consentendo che, se del caso, quello che ha richiesto la misura, comunque destinatario dell’avviso, possa partecipare all’udienza “in luogo” del pubblico ministero distrettuale, sintagma che rende palese come l’intervento in udienza del pubblico ministero richiedente la misura risulti evenienza residuale e comunque la partecipazione sia limitata ad uno soltanto degli uffici destinatari dei relativi avvisi (in tal senso, cfr. Sez. U, n. 31011 del 28/05/2009, COGNOME, Rv. 244029 – 01).
Nonostante la concreta vicenda processuale sottoposta ad esame appaia, in prima battuta, estranea alle finalità perseguite dalla modifica normativa, essendo gli organi tenuti a ricevere l’avviso, da un canto, la Procura generale della Repubblica che ha richiesto la misura cautelare alla Corte di appello in conseguenza del giudizio di condanna all’esito dell’impugnazione del pubblico
ministero della sentenza di assoluzione emessa dal tribunale ex art. 300, comma 5, cod. proc. pen., dall’altro, l’ufficio requirente distrettuale che – nel caso sottoposto al vaglio di questa Corte – coincide con quello della Procura Distrettuale antimafia, nessun dubbio sussiste circa la ricorrenza della medesima ratio che è alla base della previsione contenuta nell’art. 309, comma 8, cod. proc. pen.: anche in tali ipotesi, infatti, si rende necessario operare un raccordo tra uffici della procura ed evitare, in tal modo, lacune informative in capo agli organi requirenti, costituendo paradigma immanente nel sistema processuale penale, per come complessivamente delineato dal legislatore, il doveroso coordinamento e scambio di informazioni tra gli stessi (in ordine all’ordinario raccordo esistente in ipotesi di impugnazione tra procura della Repubblica e procura generale della Repubblica e, in generale, tra più uffici requirenti, significativa risulta Sez. U, n. 21716 del 23/02/2023, P., Rv. 284490).
L’interpretazione fornita alla disciplina prevista dai commi 8 e 8 -bis dell’art. 309 cod. proc. pen. – per come sopra evidenziata – riceve conferma dalla qualificazione come riesame ex art. 309 cod. proc. pen. e non, invece, come appello ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen., del rimedio esperibile avverso l’ordinanza ex art. 300, comma 5, cod. proc. pen. emessa dalla corte di appello.
In tal senso si è, infatti, espressa questa Corte nel suo più prestigioso consesso allorché ha di recente statuito che, «nel caso in cui l’imputato, nei confronti del quale sia stata emessa ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere, divenuta inefficace per il proscioglimento pronunciato all’esito del giudizio di primo grado, venga successivamente sottoposto, ai sensi dell’art. 300, comma 5, cod. proc. pen., a nuova applicazione della custodia in carcere, il rimedio che egli può esperire per impugnare la relativa ordinanza è quello dell’istanza di riesame ex art. 309 cod. proc. pen.» (Sez. U, n. 44060 del 11/07/2024, COGNOME, Rv. 287319 – 01).
Qualora il rimedio fosse stato invece individuato nell’appello, il richiamo dell’art. 310 cod. proc. pen. ai soli commi 1, 2, 3, 4 e 7 dell’art. 309 cod. proc. pen. ed all’osservanza delle “forme previste dall’art. 127” e non anche ai commi 8 e 8 -bis, avrebbe reso necessario effettuare, da parte del Tribunale, esclusivamente l’avviso nei confronti del pubblico ministero appartenente alla procura della Repubblica presso il tribunale, unico soggetto processuale che riveste la qualità di “parte” nel medesimo tribunale. Esplicita è, sul punto, la giurisprudenza di questa Corte che ha escluso che l’avviso di udienza camerale per la trattazione dell’appello cautelare sia dovuto al Procuratore generale presso la Corte di appello che abbia chiesto l’applicazione della misura cautelare (Sez. 5, n. 23790 del 26/05/2010, Bisognano, Rv. 247963 e, quanto a partecipazione del solo procuratore presso il tribunale, cfr. Sez. 5, n. 34961 del 15/07/2010, COGNOME, Rv. 248880).
Ciò evidenziato, non appare inutile ribadire come, in concreto, sia che la disciplina avesse dovuto seguire il paradigma previsto dall’art. 309, sia che avesse dovuto applicarsi quello di cui all’art. 310 cod. proc. pen., sarebbe stato comunque necessario trasmettere l’avviso alla procura della Repubblica presso il tribunale, cui compete la possibilità di ricorrere per cassazione avverso l’ordinanza; rimane, pertanto, in disparte l’eventuale questione afferente alla necessità di dare l’avviso anche all’ufficio requirente richiedente la misura(questione, come si è visto, risolta in termini negativi in ipotesi di appello cautelare) ,
5. Alla luce di quanto evidenziato in ordine alla necessità da parte del tribunale del riesame ex art. 309 cod. proc. pen. di notiziare, almeno tre giorni prima dell’udienza, tra gli altri, sia il pubblico ministero che ha richiesto la misura sia quello che ha sede presso il medesimo tribunale, dagli atti del procedimento, cui questa Corte ha accesso in ragione del vizio di natura processuale dedotta (Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220092 – 01), emerge che nessuna comunicazione è stata inviata alla procura della Repubblica presso il tribunale di Palermo che, pertanto, non ha potuto esercitare la facoltà di presenziare – previo accordo con l’ufficio della Procura generale che aveva richiesto la misura cautelare – all’udienza di riesame.
L’esame della disciplina, per come sopra enunciata, risulta chiaro là dove impone la trasmissione dell’avviso dell’udienza da tenersi in camera di consiglio ex art. 127 cod. proc. pen. ad entrambi gli uffici della procura (quella presso il tribunale e quella richiedente la misura).
6. L’omesso avviso ad una delle parti integra una nullità generale a regime intermedio ex art. 178, lett. b), cod. proc. pen., avendo la violazione inciso sulla facoltà di partecipazione della stessa, in particolare del Pubblico Ministero presso il Tribunale di Palermo, all’udienza in ordine alla cui celebrazione non ha avuto notizia alcuna; detta omessa comunicazione non può ritenersi surrogata dall’avviso dato alla Procura generale, trattandosi di previsione che, pur conferendo la facoltà di partecipare all’udienza ad una delle due autorità requirenti in forma alternativa (ad una “in luogo” dell’altra), impone comunque di dare l’avviso ad ognuna onde, se del caso, attivare il necessario coordinamento tra distinti uffici requirenti.
Non avendo la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo avuto conoscenza dell’udienza, in ragione dell’impossibilità di eccepire in quella sede la citata omissione, deve ritenersi ammissibile la relativa deduzione per mezzo del ricorso per cassazione, primo momento in cui la parte pubblica può far valere il
vizio (cfr. Sez. 2, n. 37615 del 05/07/2019, COGNOME, Rv. 277515 – 01, seppure relativa a diversa parte processuale).
7. Alla violazione dell’art. 309, comma 8, cod. proc. pen. consegue l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata, con la conseguente
trasmissione degli atti al Tribunale del riesame di Palermo, che si pronuncerà in diversa composizione per il giudizio.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e dispone la trasmissione degli atti al Tribunale del riesame di Palermo, in diversa composizione, per il giudizio.
Così deciso il 20/03/2025.