Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 12310 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 12310 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 29/01/2025
SENTENZA
sui ricorso proposto da
COGNOME NOME nato a La Spezia il 23/07/1968
avverso l’ordinanza emessa il 13 settembre 2024 dal Tribunale di Milano
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza; lette le richieste del difensore della parte civile NOME COGNOME, Avv. NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RILEVATO IN FATTO
NOME COGNOME propone ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale di Milano di rigetto dell’eccezione di nullità del decreto di citazione a giudizi per mancanza dell’avviso all’imputato della facoltà di chiedere la sospensione del processo con messa alla prova.
Con un unico motivo di ricorso deduce l’abnormità del provvedimento sotto un duplice profilo: i) il Tribunale ha posto a fondamento del rigetto dell’eccezione la sola considerazione che la previsione dell’obbligatorietà dell’avviso in questione è stata introdotta per il decreto di citazione a giudizio (art. 552 cod. proc. pen.) dal d.lgs. n. 1
del 2022, entrato in vigore dopo l’emissione del decreto di citazione a giudizio nel presente procedimento. Così facendo, ha, però, trascurato che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 19 del 2020, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 456 cod. proc. pen. nella parte in cui non prevede che il decreto che dispone il giudizio immediato contenga l’avviso della facoltà dell’imputato di chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova; ii) la decisione del Tribunale viola il diritto di difesa costituzionalmente garantito, il diritto all’accesso al tribunale, ad un giusto processo e ad un ricorso effettivo di cui agli artt. 6, par. 1 e 13 CEDU e 47 e 48 Carta di Nizza.
2.11 Procuratore Generale, nel concludere per l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza, ne ha evidenziato l’abnormità funzionale in quanto, pur essendo manifestazione di un potere spettante al giudice, potrebbe «determinare in futuro una indebita regressione a una fase anteriore del procedimento».
La parte civile ha depositato una memoria in cui, nel concludere per l’inammissibilità del ricorso alla luce sia della non autonoma impugnabilità del provvedimento, ai sensi dell’art. 586 cod. proc. pen., che dell’assenza nel provvedimento impugnato di alcun profilo di abnormità strutturale o funzionale, ha rilevato quanto segue: 1) nel presente procedimento è stato emesso decreto di citazione a giudizio dell’imputato nel novembre 2021 in relazione all’imputazione del reato di cui all’art. 380 cod. proc. pen.; 2) risultano del tutto fuorvianti i richiami contenuti nel ricorso pe cassazione al decreto di giudizio immediato, stante la diversità del termine previsto per detto procedimento ai fini della richiesta di messa alla prova (15 giorni dalla notifica del decreto di giudizio immediato) rispetto a quello applicabile nel caso di specie in cui la richiesta può essere formulata all’apertura del dibattimento; 3) nel corso del giudizio sono state svolte numerose udienze istruttorie con l’escussione di svariati testimoni senza che la difesa eccepisse alcunché; 4) l’eccezione è stata sollevata a distanza di tre anni dall’inizio del processo e con evidente intento dilatorio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile in quanto, alla luce delle considerazioni che saranno di seguito esposte, l’ordinanza impugnata con può considerarsi quale atto abnorme immediatamente ricorribile per cassazione, in deroga alla regola generale stabilita dall’art. 586 cod. proc. pen.
Ritiene il collegio che, alla luce delle precise e restrittive coordinate ermeneutiche dettate dalle Sezioni Unite (cfr., tra le tante, Sez. U, n. 42603 del 13/07/2023, COGNOME, Rv. 285213 – 02; Sez. U, n. 37502 del 28/04/2022, COGNOME, Rv.
283552; Sez. U, n. 25957 del 26/03/2009, Toni, Rv. 243590), deve escludersi l’abnormità del provvedimento impugnato.
In primo luogo, deve escludersi una sua abnormità strutturale in quanto il Giudice ha esercitato un potere che l’ordinamento espressamente gli attribuisce.
Non sussiste, inoltre, alcuna abnormità funzionale in quanto, a prescindere dalla legittimità del provvedimento, su cui si dirà di seguito, da questo non discende alcuna stasi del processo che, a seguito del rigetto dell’eccezione, potrà comunque, proseguire con la fase relativa alla rinnovazione del dibattimento conseguente al mutamento del giudice. Al riguardo, non possono condividersi le argomentazioni del Pubblico Ministero che ipotizza una abnormità funzionale, non in ragione degli effetti immediati e diretti del provvedimento impugnato, ma in chiave meramente prospettica ed eventuale, correlati a possibili regressioni del processo conseguenti all’eventuale accoglimento della doglianza in altre fasi o gradi del processo, ipotesi, questa, che, oltre ad essere estranea al perimetro della abnormità disegnato dalle Sezioni Unite, appare, comunque, non riconducibile ad una situazione di stasi del procedimento.
2.1. Va, peraltro, rilevato che il ricorrente non risulta aver tempestivamente formulato alcuna eccezione o formulato, nei termini previsti dalla disciplina processuale all’epoca vigente, una richiesta di messa alla prova o di restituzione nel termine per formulare detta richiesta. L’eccezione relativa alla mancanza dell’avviso relativo alla possibilità di avanzare tale richiesta è stata formulata solo nel momento in cui si è resa necessaria la rinnovazione del dibattimento per mutamento del giudice e senza che l’imputato avesse mai manifestato interesse per tale rito alternativo.
Tale eccezione, appare, dunque, un mero tentativo di recupero di un diritto non esercitato nel termine di legge, invocando, peraltro, l’applicazione di una norma di legge entrata in vigore successivamente all’emissione del decreto di citazione a giudizio nel presente procedimento (dalla trascrizione del verbale contenente l’ordinanza impugnata risulta, infatti, che tale decreto è stato emesso 1’8/2/2021) e ciò, peraltro, sull’erroneo presupposto della estensibilità al rito a citazione diretta degli effetti della pronuncia di parziale incostituzionalità dell’art. 456, comma 2, cod. proc. pen. in tema di decreto di giudizio immediato. Va, infatti, considerato che la ragione posta a base di tale pronuncia di incostituzionalità si fonda, al pari della precedente pronuncia relativa al procedimento per decreto, sulla diversa struttura del giudizio immediato e soprattutto del termine per la richiesta dei riti alternativi, che decorre dalla notifica del decreto. Infatti, co osservato dalla sentenza n. 19 del 2020, richiamando la precedente pronuncia n. 201 del 2016, «quando il termine entro cui chiedere i riti alternativi è anticipato rispetto alla fase dibattimentale, sicché la mancanza o l’insufficienza del relativo avvertimento può determinare la perdita irrimediabile della facoltà di accedervi, “la violazione della regola processuale che impone di dare all’imputato (esatto) avviso della sua facoltà comporta la violazione del diritto di difesa” (sentenza n. 148 del 2004)» (sentenza n. 201 del 2016).
Si tratta, dunque, di una situazione strutturalmente diversa da quella che si verifica in casi di giudizio a citazione diretta in cui il termine per formulare tale richiesta, secondo la disciplina vigente all’epoca dei fatti, era quello dell’apertura del dibattimento.
2.2. Va, infine, aggiunto che l’eccezione rigettata dal provvedimento impugnato non era, comunque, proponibile.
Il mutamento della persona del giudice monocratico o della composizione del Collegio impone, infatti, l’attivazione di una sequenza procedimentale, oggi espressamente prevista dall’art. 495, comma 4-ter, cod. proc. pen., funzionale a garantire il principio di immutabilità del giudice (art. 525 cod. proc. pen.) assicurando l’identità tra il giudice che delibera la sentenza e quello dinanzi al quale sono raccolte le prove. In tal caso, dunque, si impone la ripetizione della sequenza procedimentale che ha inizio con la dichiarazione di apertura del dibattimento, fermi restando gli atti compiuti nella fase degli atti preliminari al dibattimento dal giudice diversamente composto, ivi compresa, per quel che rileva nel caso di specie, la decisione delle questioni preliminari ex art. 491 cod. proc. pen. (cfr. Sez. U, n. 41736 del 30/5/2019, COGNOME, in motivazione).
Il mutamento della composizione del collegio giudicante non comporta, dunque, la regressione del procedimento nella fase degli atti preliminari al dibattimento, cosicché rimane ferma l’improponibilità delle questioni preliminari in precedenza non sollevate. Di contro, solo nel caso, non ricorrente nella fattispecie in esame, in cui l’eccezione o la questione sia stata tempestivamente dedotta, il giudice, nella composizione sopravvenuta, ha il potere di valutare ex novo le questioni tempestivamente proposte dalle parti e decise dal giudice diversamente composto (cfr. Sez. 1, n. 36032 del 05/07/2018, Conti, Rv. 274382; Sez. 6, n. 3746 del 24/11/1998, dep. 1999, De Mita, Rv. 213343, entrambe in tema di competenza per territorio).
All’inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila da versare in favore della Cassa delle ammende, non potendosi ritenere che lo stesso abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186 del 2000).
P.Q.M.
spese 2 Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così è deciso il 29 gennaio 2025