Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 12669 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 12669 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME nato a San Stono di Livenza il 22.12.1960; COGNOME NOME nato a Portogruaro il 25.5.1971; nel procedimento a carico dei medesimi; avverso la sentenza del 15/07/2024 della Corte di appello di Trieste; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Sost. Procuratore Generale dr. NOME COGNOME che ha chiesto la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza di cui in epigrafe la Corte di appello di Trieste confermava la sentenza del tribunale di Pordenone del 11.10.2023 con cui COGNOME NOME e NOME erano stati condannati in ordine al reato ex art. 181 del Dlgs. 42/04.
Avverso la predetta sentenza COGNOME NOME e NOME hanno proposto ricorso per cassazione mediante il loro difensore, deducendo due motivi di impugnazione.
Deducono, con il primo, il vizio di violazione di legge in ordine al DPR 31/2017 – all. a) e al combinato disposto degli artt. 146, 181, 149 del Dlgs. 42/04. Dopo avere riassunto . i fatti anche nel quadro di un riferimento a dati istruttori che sarebbero emersi, si rappresenta che gli imputati avrebbero svolto attività di manutenzione ordinaria non alterante lo stato dei luoghi e tale da non
richiedere quindi, secondo la normativa vigente in materia di aree vincolate paesaggisticamente, alcuna autorizzazione, con particolare riguardo all’art. 146 e 1489 del Dlgs. 42/04.
1.Va preliminarmente rilevato che il vizio di violazione di legge, citato nel primo motivo di ricorso, presuppone dati oggettivi e incontestati come tali risultanti dalla sentenza ovvero da atti comunque da allegare integralmente, rispetto ai quali dedurre un$ diverso inquadramento giuridico e, nel caso in cui si ritenga emergano anche dati travisati, incidenti sulla stessa correttezza delle qualificazioni giuridiche elaborate, è necessario, altresì, dedurre specificamente il predetto vizio, per il quale, come noto, sono da rispettarsi rigorosi criteri. Tenendo anche presente che nulla ha a che fare con il travisamento la diversa valutazione del dato istruttorio, posto che il vizio di travisamento corrisponde, piuttosto, all’errore cosiddetto revocatorio che, cadendo sul significante e non sul
significato della prova, si traduce nell’utilizzo di una prova inesistente per effetto di una errata percezione di quanto riportato dall’atto istruttorio. Va anche osservato, quanto al vizio di motivazione, rappresentato nel secondo motivo, che non basta lamentare la mancata considerazione di elementi istruttori o motivi di impugnazione, ma è necessario anche illustrarne la decisività nel quadro di un confronto preciso e puntuale con le diverse argomentazioni di cui alla sentenza, verificando e dimostrando come la rilevanza di quanto omesso o di quanto fondante vizi di contraddittorietà possa e debba alterare irreversibilmente l’equilibrio motivazionale.
Costituiscono il portato di tali principi numerose massime giurisprudenziali di seguito indicate:
il vizio di violazione di legge, se fondato sul richiamo ad atti dichiarativi, deve essere supportato con la integrale allegazione degli atti di riferimento (cfr. con riferimento al caso, analogo, della deduzione di vizi di motivazione fondati su atti dichiarativi Sez. 2, n. 20677 del 11/04/2017 Rv. 270071 COGNOME);
l’epilogo decisorio non può essere invalidato da prospettazioni alternative che si risolvano in una “mirata rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell’autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perché illustrati come maggiormente plausibili o perché assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa, nel contesto in cui la condotta delittuosa si è in concreto realizzata (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Bosco, Rv. 234148; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507).
il vizio di manifesta illogicità come quello di mancanza e contraddittorietà della medesima, deve essere di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità vertere su difetti di macroscopica evidenza, mentre rimangono ininfluenti le minime incongruenze e si devono considerare disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento senza vizi giuridici (cfr., Sez. un., n. 24 del 24 novembre 1999, Rv. n. 214794; Sez. un., n. 12 del 31 maggio 2000, Rv. n. 216260; Sez. un., n. 47289 del 24 settembre 2003, Rv. n. 226074);
il vizio di travisamento della prova deducibile in cessazione, ai sensi dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., può essere desunto non solo dal testo del provvedimento impugnato ma anche da altri atti del processo specificamente indicati ed è configurabile quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia (Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013 Ud. (dep.
26/11/2013 ) Rv. 257499 – 01 COGNOME). Ciò significa che l’esame del vizio in parola in sede di legittimità deve avere riguardo a specifici atti del giudizio e non al fatto nella sua interezza (cfr. Sez. 3, n. 38431 del 31/01/2018 Rv. 273911 01 Ndoja).
Altro principio che va sottolineato, è quello per cui il ricorso deve essere espressione di un ragionato e argomentato confronto con il dictum della sentenza, esaminato con dovizia di attenzione sia con riferimento a specifici passaggi motivazionali che si criticano, sia nel quadro del complessivo significato emergente dagli stessi, e in una prospettiva tesa a dimostrarne errori in diritto o in motivazione che siano non solo sussistenti ma anche decisivi ovvero tali da ribaltare la correttezza e l’equilibrio logico della sentenza. Consegue che i motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili «non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato» (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, COGNOME, Rv. 255568) e le ragioni di tale necessarìa correlazione tra la decisione censurata e l’atto di impugnazione risiedono nel fatto che il ricorrente non può trascurare le ragioni del provvedimento censurato (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425).
2. Tanto precisato, si osserva come il fulcro decisionale della sentenza, che emerge a seguito di una attenta ricostruzione cronologica delle vicende intervenute, come anche di atti e comportamenti degli imputati e degli uffici pubblici competenti interessati, si incentra sul previo rilievo per cui, nel quadro di eventi metereologici straordinari del 12 e 13 novembre 2019, interessanti nella specie Caorle, con mareggiata che aveva superato una diga di difesa e dilavato l’arenile a mare per circa 3200 mc. di sabbia e l’area interna per circa 2000 mc (cfr pag. 7 della sentenza impugnata), in data 17 gennaio 2020 la polizia municipale accertava, sull’arenile della zona di interesse, movimentazioni di sabbia, con tracce di transito di trattori. Parte della sabbia che risultava ivi stesa presentava una colorazione diversa da quella preesistente, e la sabbia era disposta a cumulo così da formare una duna alta circa 1 metro. Si notava anche la presenza di buche da cui era stata asportata sabbia. Non vi erano detriti e altro materiale. L’istruttoria, secondo i giudici, aveva altresì evidenziato che prima del citato accertamento della polizia municipale, a seguito di interlocuzioni post – mareggiata con il comune, gli attuali imputati, rispondendo ad un invito comunale rivolto a tutti i concessionari, diretto a far pulire e mettere in sicurezza i luoghi, riferivano di avere già avviato le procedure di raccolta dei materiali, dei rifiuti, altresì indicando anche una quantità di erosione dell’arenile e delle zone finitime pari a circa 5500 mc. di sabbia. Dal confronto di tale ultima descrizione
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dello stato dei luoghi, con quello registrato dalla polizia municipale il 17 gennaio, connotato dalla assenza di ogni detrito, da una profonda diversità rispetto alle conseguenze disastrose rilevate sull’arenile dallo stesso concessionario, e dalla presenza persino di sabbia di colorazione diversa, quale indice della diversa provenienza, i giudici hanno concluso nel senso che “di pulizia di detriti sul luogo non vi era traccia già da gennaio 2020” e, più ampiamente, che, al di là di calcoli quantitativi ex post, per giungere allo stato dei luoghi accertato dalla polizia municipale il 17 gennaio partendo dalla originaria descrizione dei medesimi a seguito della citata mareggiata, non poteva che ritenersi effettuata una attività di ricostituzione vera e propria dell’arenile, assolutamente consistente ed ampia. Come tale estranea ad un mero concetto di manutenzione dello stesso. Con conseguente necessità della autorizzazione paesaggistica, mancante al momento dell’accesso degli operanti, e configurazione del reato.
Con tale ricostruzione, fattuale e giuridica, i ricorrenti mostrano di non confrontarsi appieno, preferendo piuttosto ribadire la tesi, già esposta in sede di merito e chiaramente confutata in sentenza dalle articolate argomentazioni prima riassunte, per cui, dal calcolo delle movimentazioni che sarebbero state effettuate, si dovrebbe desumere la effettuazione di mere movimentazioni di sabbia qualificabili come manutenzione. Appare evidente come si trascuri di confrontarsi con i qui sintetizzati rilievi dei giudici che, partendo da una descrizione di luoghi assolutamente disastrati, per la presenza di materiali, rifiuti, e il dilavamento di consistenti quantità di sabbia, hanno considerato lo stato dei luoghi del 17 gennaio per concludere, con coerenza, per l’intervenuta attività, complessa e articolata, di ricostruzione dell’arenile, anche con recupero, altrove, di porzioni di sabbia, come tale necessitante autorizzazione siccome non qualificabile come mera manutenzione. Non manca, nel quadro della motivazione qui censurata, anche l’analisi, tutt’altro che validamente criticabile, delle affermazioni del consulente di parte, laddove si contesta come quest’ultimo non abbia effettuato una analisi di quanto avvenuto, evidentemente con riferimento ai due momenti esaminati, ossia prima e dopo del 17 gennaio, in funzione di una argomentata spiegazione delle ragioni per cui le due diverse evenienze non avrebbero richiesto alcuna autorizzazione.
Peraltro, in una ancor più ampia considerazione delle due conformi sentenze di condanna, che mostrano di ispirarsi a medesimi criteri di analisi, emerge anche la coerente messa in discussione dell’attendibilità del consulente di parte, siccome comunque coinvolto, quale tecnico, nella procedura inerente i fatti e che condusse alfine al rilascio di autorizzazione per l’ulteriore corso.
In tale quadro, da una parte, la motivazione appare coerente e in linea con i principi prima esposti quanto alla insussistenza di vizi, confutando sia esplicitamente che implicitamente le critiche difensive ovvero al più tralasciando
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profili assolutamente marginali che non intaccano il fuoco della decisione, dall’altra, le deduzioni difensive oltre a non operare il necessario confronto con le motivazioni, coerenti, di cui alla sentenza, di converso si traducono solo in una personale rivalutazione di dati di merito, operata secondo criteri di analisi ben diversi da quelli elaborati, senza vizi “manifesti” di illogicità o contraddittorietà dai giudici, così da risultare, sia in ordine al primo che al secondo motivo, del tutto infondate, non essendo sufficiente, per superare il vaglio di validità del ricorso per cassazione, la mera prospettazione di una ricostruzione alternativa.
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che i ricorsi debbano essere dichiarati inammissibili, con conseguente onere per i ricorrenti, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che i ricorsi siano stati presentati senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che i ricorrenti versino la somma, determinata in via equitativa, di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende
Così deciso in Roma, il 20.3.2025.