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Autoriciclaggio: quando non è assorbito dal reato

Un gruppo è stato condannato per reati tributari, associazione a delinquere e autoriciclaggio tramite un complesso schema di fatture false e società cartiere. La Corte di Cassazione ha dichiarato i ricorsi inammissibili, chiarendo che il delitto di autoriciclaggio non viene assorbito dall’associazione a delinquere, poiché il suo reato presupposto sono i singoli delitti che generano profitto (come l’appropriazione indebita), e non il reato associativo in sé. La Corte ha inoltre confermato la legittimità dell’aggravante di transnazionalità e della confisca dei beni.

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Pubblicato il 11 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Autoriciclaggio: quando non è assorbito dal reato di associazione a delinquere

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 43168/2024, offre un importante chiarimento sui confini tra il reato di autoriciclaggio e quello di associazione a delinquere. La pronuncia stabilisce che le condotte di reimpiego dei proventi illeciti non sono assorbite nel reato associativo, ma configurano un’autonoma fattispecie di reato. Questa decisione consolida principi fondamentali in materia di reati economici e criminalità organizzata.

I fatti del caso

Il caso trae origine da un’articolata operazione illecita condotta da diversi soggetti, condannati in primo e secondo grado per aver creato e gestito un’associazione a delinquere finalizzata alla commissione di reati tributari e di riciclaggio. Il meccanismo fraudolento si basava sull’emissione di fatture per operazioni inesistenti da parte di società ‘cartiere’, alcune delle quali con sede in vari paesi europei come Ungheria, Bulgaria e Spagna.

Il denaro proveniente da queste attività illecite veniva poi reimmesso nel circuito economico attraverso un sistema di ‘spallonaggio’, ovvero di retrocessione delle somme ai soggetti che avevano utilizzato le false fatture, previa trattenuta di una commissione. Gli imputati, nel ricorrere in Cassazione, hanno sostenuto, tra le altre cose, che le condotte di autoriciclaggio fossero un mero sviluppo naturale del piano criminoso dell’associazione e che, pertanto, dovessero essere assorbite in quest’ultima fattispecie.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato tutti i ricorsi inammissibili, ritenendoli in parte generici e in parte manifestamente infondati. La sentenza affronta e respinge punto per punto le doglianze degli imputati, fornendo precisazioni cruciali su diversi istituti giuridici.

Analisi dei motivi di ricorso sull’autoriciclaggio

Il nodo centrale della difesa era la tesi dell’assorbimento del delitto di autoriciclaggio in quello di associazione a delinquere. La Cassazione smonta questa argomentazione con un ragionamento netto. Il reato associativo (art. 416 c.p.) è un delitto contro l’ordine pubblico che sanziona la pericolosità derivante da un accordo stabile e organizzato. Di per sé, l’associazione non produce profitti economici.

I profitti, invece, derivano dalla consumazione dei cosiddetti ‘reati fine’, ovvero i singoli delitti che l’associazione si prefigge di commettere. Nel caso di specie, i proventi illeciti non derivavano dal patto associativo, ma dalle appropriazioni indebite realizzate attraverso le false fatturazioni. Pertanto, è rispetto a questi specifici reati (i reati presupposto) che si configura la successiva condotta di autoriciclaggio, la quale consiste nel reimpiego di tali proventi per ostacolarne l’identificazione della provenienza. Si tratta quindi di due fattispecie distinte che tutelano beni giuridici diversi e che possono concorrere.

La questione della transnazionalità e della confisca

La Corte ha rigettato anche le censure relative all’applicazione dell’aggravante della transnazionalità (art. 61-bis c.p.). I giudici hanno ribadito che per la sua configurabilità è sufficiente che le attività illecite siano realizzate in diversi Stati e che anche uno solo dei componenti del gruppo si trovi all’estero per svolgere un’attività essenziale al piano criminoso. Poiché il gruppo utilizzava e gestiva società estere per il proprio programma, l’aggravante è stata correttamente applicata.

Infine, è stata confermata la legittimità della confisca. La Corte ha ricordato che, secondo le Sezioni Unite, la confisca di denaro è sempre da considerarsi ‘diretta’ e non ‘per equivalente’, data la natura fungibile del bene. Non è quindi necessario provare che la specifica somma sequestrata sia esattamente quella derivante dal reato. È stata inoltre ritenuta corretta la disposizione della confisca diretta sui beni delle società coinvolte e, solo in via subordinata, per equivalente sui beni personali degli amministratori.

Le motivazioni

La decisione della Corte si fonda sulla netta distinzione tra il ‘pactum sceleris’ (l’accordo criminale che dà vita all’associazione) e i singoli reati che ne costituiscono l’obiettivo. Mentre il primo attenta all’ordine pubblico, i secondi ledono beni giuridici specifici (il patrimonio, la fede pubblica, l’interesse dell’erario). L’autoriciclaggio interviene in un momento successivo, quando i proventi dei ‘reati fine’ vengono ‘ripuliti’, integrando un’ulteriore offesa all’ordine economico e all’amministrazione della giustizia.

Le motivazioni dei giudici di merito, confermate dalla Cassazione, sono state ritenute esaustive e logiche anche nel definire il ruolo dei singoli imputati, compreso quello di organizzatore, basandosi su elementi probatori solidi come le intercettazioni e le stesse ammissioni parziali di uno degli imputati. La genericità e la natura reiterativa dei ricorsi hanno quindi portato a una declaratoria di inammissibilità, che impedisce un nuovo esame del merito della vicenda.

Le conclusioni

La sentenza n. 43168/2024 rafforza un principio cardine nella lotta alla criminalità economica: le condotte di reimpiego dei capitali illeciti non sono una mera appendice dei reati da cui questi provengono, ma costituiscono un autonomo e grave delitto. La distinzione tra associazione a delinquere e autoriciclaggio permette di colpire con sanzioni distinte sia la struttura organizzativa criminale sia le successive attività di ‘ripulitura’ del denaro, riconoscendo la pluralità di beni giuridici lesi e garantendo una risposta sanzionatoria più adeguata alla complessità di tali fenomeni criminali.

Il reato di autoriciclaggio può essere assorbito da quello di associazione a delinquere?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che l’autoriciclaggio non è assorbito dal reato associativo. Quest’ultimo è un reato contro l’ordine pubblico che non produce di per sé profitti. L’autoriciclaggio, invece, si configura in relazione ai proventi dei singoli ‘reati fine’ (nel caso di specie, appropriazione indebita tramite false fatture), che costituiscono il suo reato presupposto.

Quando si applica l’aggravante della transnazionalità?
L’aggravante di transnazionalità si applica quando un reato viene commesso con il contributo di un gruppo criminale organizzato operante in più Stati. È sufficiente che le attività illecite siano realizzate in diversi paesi o che anche un solo membro del gruppo si trovi all’estero per svolgere un compito essenziale per la commissione del reato.

La confisca di denaro trovato nel patrimonio dell’imputato è considerata diretta o per equivalente?
La confisca di somme di denaro è sempre qualificata come ‘confisca diretta’ e non per equivalente. Ciò è dovuto alla natura fungibile del denaro, che fa sì che l’intero patrimonio monetario del reo sia considerato profitto del reato fino a concorrenza dell’importo illecitamente conseguito, senza necessità di provare il nesso di derivazione diretta tra le somme sequestrate e il reato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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