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Atto abnorme: rigetto decreto penale non impugnabile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un Pubblico Ministero contro il rigetto di una richiesta di decreto penale. La decisione del G.i.p., anche se potenzialmente errata nel merito, non costituisce un atto abnorme in quanto non crea una stasi processuale insuperabile, lasciando al PM la facoltà di procedere con il rito ordinario.

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Pubblicato il 14 dicembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Atto Abnorme: Quando il Rigetto del Decreto Penale Non Blocca la Giustizia

Nel complesso panorama della procedura penale, la nozione di atto abnorme rappresenta una valvola di sicurezza per correggere decisioni giudiziarie che, per la loro anomalia, rischiano di paralizzare il corso della giustizia. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 32086/2024) offre un chiarimento fondamentale sui limiti di questa categoria, stabilendo che il rigetto di una richiesta di decreto penale di condanna da parte del G.i.p. non è impugnabile come atto abnorme se non causa un’insuperabile stasi del procedimento. Analizziamo la decisione per comprenderne la portata.

I Fatti del Caso: Furto di Gas e Rigetto del G.i.p.

Tutto ha origine dalla richiesta di un Pubblico Ministero di emettere un decreto penale di condanna nei confronti di una donna, accusata di furto di gas metano attraverso la manomissione di due contatori. Il Giudice per le indagini preliminari (G.i.p.), tuttavia, rigettava la richiesta.

Le motivazioni del G.i.p. si basavano su due rilievi principali: in primo luogo, non era stata contestata l’aggravante della destinazione a pubblico servizio del bene sottratto; in secondo luogo, mancava la querela, ritenuta necessaria per procedere.

Il Ricorso del Pubblico Ministero: la Tesi dell’Atto Abnorme

Ritenendo errata la decisione del G.i.p., il Pubblico Ministero decideva di non rassegnarsi e proponeva ricorso per Cassazione. La tesi dell’accusa era che il provvedimento di rigetto costituisse un atto abnorme, sia dal punto di vista strutturale che funzionale. Secondo il PM, il G.i.p., rigettando la richiesta, avrebbe creato uno “stallo procedimentale”, una situazione di paralisi che impediva di proseguire l’azione penale, rendendo di fatto impossibile per l’accusa ottenere una decisione nel merito.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo una lezione precisa sulla definizione e l’applicazione del concetto di atto abnorme.

La Nozione di Atto Abnorme secondo la Giurisprudenza

Richiamando i principi consolidati delle Sezioni Unite (sentenze Toni e Scarlini), la Corte ha ribadito che l’abnormità non è un semplice vizio dell’atto, ma qualcosa di più profondo. Si manifesta in due forme:
1. Abnormità strutturale: quando il giudice esercita un potere che l’ordinamento non gli conferisce (carenza di potere in astratto) o lo esercita in una situazione processuale radicalmente diversa da quella prevista dalla legge (carenza di potere in concreto).
2. Abnormità funzionale: quando il provvedimento, pur rientrando formalmente nei poteri del giudice, determina una stasi del processo e l’impossibilità di proseguirlo.

L’elemento chiave, comune a entrambe le forme, è lo sviamento dalla funzione giurisdizionale e la creazione di un blocco insuperabile del procedimento.

L’Assenza di Stasi Procedimentale nel Caso di Specie

Applicando questi principi al caso concreto, la Cassazione ha concluso che il rigetto del G.i.p. non integrava un atto abnorme. La motivazione è lineare: non si è verificata alcuna stasi procedimentale.

Il provvedimento del G.i.p., infatti, non impedisce in alcun modo al Pubblico Ministero di continuare l’azione penale. Una volta ricevuti gli atti a seguito del rigetto, il PM ha piena facoltà di dare nuovo impulso al procedimento, ad esempio modificando l’imputazione (contestando l’aggravante mancante) e procedendo con le forme ordinarie (richiesta di rinvio a giudizio, citazione diretta, etc.).

Il rigetto della richiesta di decreto penale rientra pienamente nei poteri cognitivi del G.i.p., come previsto dall’art. 459, comma 3, cod. proc. pen., che gli consente un ampio sindacato sul merito della richiesta. Di conseguenza, il giudice non ha esercitato un potere che non gli spettava né ha creato una paralisi processuale.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: il ricorso per abnormità non è uno strumento per contestare il merito di una decisione non condivisa, ma solo per rimuovere un ostacolo che paralizza il processo. Il rigetto di una richiesta di decreto penale, anche se fondato su motivazioni opinabili, non costituisce un atto abnorme se il Pubblico Ministero ha ancora la possibilità di esercitare l’azione penale attraverso le vie ordinarie. La decisione del G.i.p. si inserisce nel normale dialogo tra accusa e giudice nella fase preliminare, e la sua eventuale erroneità non può essere sanata tramite lo strumento eccezionale del ricorso per abnormità.

Il rigetto di un decreto penale di condanna da parte del G.i.p. è sempre un atto abnorme?
No, secondo la Cassazione non è un atto abnorme se non determina una stasi procedimentale insuperabile. Il provvedimento rientra nei poteri del G.i.p. e non impedisce al Pubblico Ministero di esercitare l’azione penale con le forme ordinarie.

Cosa si intende per “stasi procedimentale” che rende un atto abnorme?
Si intende un’impossibilità di proseguire il processo, una situazione di blocco che non può essere risolta con gli strumenti ordinari previsti dal codice. Nel caso esaminato, non c’è stasi perché il PM può semplicemente procedere con un rito diverso restituendo gli atti.

Può il Pubblico Ministero ricorrere in Cassazione se non condivide le motivazioni del rigetto del G.i.p.?
No, non può ricorrere per abnormità. Tale impugnazione non serve a contestare il merito della decisione del giudice, ma solo a rimuovere un atto che paralizza il processo. Se il processo può proseguire, come in questo caso, il ricorso è inammissibile, anche qualora le motivazioni del rigetto fossero errate.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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