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Atto abnorme: richiesta via PEC, la Cassazione chiarisce

La Procura ricorre contro un’ordinanza che ha annullato una richiesta di rinvio a giudizio. Il motivo era il mancato interrogatorio di un imputato, che lo aveva richiesto tramite un indirizzo PEC non corretto. La Procura sosteneva che l’ordinanza fosse un atto abnorme, data l’inefficacia della richiesta secondo le nuove norme telematiche. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, specificando che, sebbene l’ordinanza del giudice potesse essere viziata da un errore di diritto, non configurava un atto abnorme in quanto non creava una stasi processuale irrisolvibile.

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Pubblicato il 12 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Atto abnorme: la Cassazione chiarisce i limiti dopo una richiesta via PEC

Con la sentenza n. 3087/2025, la Corte di Cassazione affronta un tema cruciale nell’era della digitalizzazione della giustizia: la validità degli atti processuali inviati con modalità non conformi e le conseguenze sul procedimento. Il caso esaminato riguarda la nozione di atto abnorme, una categoria di creazione giurisprudenziale che permette di impugnare provvedimenti altrimenti non contestabili. La pronuncia chiarisce quando l’errore di un giudice si trasforma in un’anomalia tale da bloccare il processo.

I Fatti del Caso: una Richiesta di Interrogatorio via PEC

Al termine delle indagini preliminari, un indagato riceveva l’avviso di conclusione e, come previsto dalla legge, presentava una richiesta di essere sottoposto a interrogatorio. Tuttavia, invece di utilizzare i canali telematici ufficiali, inviava la sua istanza tramite Posta Elettronica Certificata (PEC) a un indirizzo della Procura non deputato alla ricezione di atti giudiziari.

Il Pubblico Ministero, non considerando valida la richiesta, procedeva a formulare la richiesta di rinvio a giudizio. In sede di udienza preliminare, il Giudice (GUP), accogliendo l’eccezione della difesa, dichiarava la nullità della richiesta di rinvio a giudizio per il mancato espletamento dell’interrogatorio.

Contro questa decisione, la Procura proponeva ricorso per cassazione, sostenendo che l’ordinanza del GUP costituisse un atto abnorme, poiché fondata su un’istanza processualmente inefficace e idonea a causare un’indebita regressione del procedimento.

La Questione Giuridica: quando un provvedimento è un atto abnorme?

Il cuore della controversia risiede nella definizione di atto abnorme. Non tutti i provvedimenti illegittimi o errati sono ‘abnormi’. La giurisprudenza delle Sezioni Unite ha da tempo tracciato confini precisi, distinguendo due tipologie di abnormità:

1. Abnormità strutturale: quando l’atto si pone al di fuori del sistema processuale perché emesso in carenza assoluta di potere.
2. Abnormità funzionale: quando l’atto, pur essendo previsto dalla legge, determina una stasi del processo e l’impossibilità di proseguirlo, creando una situazione non rimediabile con i normali mezzi di impugnazione.

La Procura sosteneva che l’ordinanza del GUP rientrasse in questa seconda categoria, imponendo un adempimento (l’interrogatorio) basato su un atto nullo e costringendo il procedimento a tornare indietro senza una valida ragione giuridica.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso della Procura, escludendo che il provvedimento impugnato potesse qualificarsi come atto abnorme.

Il Collegio ha innanzitutto chiarito che non vi era un’abnormità strutturale, in quanto il GUP ha esercitato un potere che la legge gli attribuisce espressamente, ovvero quello di decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio e di valutarne i presupposti.

Anche l’ipotesi di abnormità funzionale è stata esclusa. Secondo la Corte, l’ordinanza, pur determinando una regressione del procedimento alla fase delle indagini, non provoca una stasi processuale insuperabile. Il Pubblico Ministero, infatti, è semplicemente tenuto a espletare l’interrogatorio, per poi procedere nuovamente con le proprie determinazioni sull’esercizio dell’azione penale. L’iter processuale, quindi, non si blocca, ma semplicemente arretra.

La Disciplina del Deposito Telematico e la sua Interpretazione

La Corte riconosce che, a seguito della Riforma Cartabia (d.lgs. 150/2022), la modalità di deposito degli atti processuali è cambiata. La normativa transitoria (art. 87) prevede che le istanze come quella di interrogatorio debbano essere depositate esclusivamente tramite il Portale del Processo Penale Telematico (PPT). L’uso della PEC, in questo contesto, è espressamente sanzionato con l’inefficacia: l’atto ‘non produce alcun effetto di legge’.

Tuttavia, la Corte osserva che il GUP ha omesso di considerare la disciplina generale dell’art. 111-bis cod. proc. pen., che consente il deposito con modalità non telematiche per gli atti che le parti compiono personalmente. Sebbene l’invio via PEC non sia una modalità formalmente corretta, l’errore del giudice nel valutare questo complesso quadro normativo si configura come una mera illegittimità del provvedimento, non come un’anomalia tale da renderlo un atto abnorme.

Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: la categoria dell’atto abnorme ha carattere eccezionale e non può essere utilizzata per contestare semplici errori di diritto commessi dal giudice, anche quando questi comportano un rallentamento del processo. La decisione del GUP, pur basandosi su una valutazione potenzialmente errata delle norme sulla presentazione degli atti, non ha generato un’impasse irrisolvibile. Ha semplicemente disposto un’attività processuale (l’interrogatorio) che, una volta eseguita, permetterà al procedimento di riprendere il suo corso. Si tratta, quindi, di un provvedimento illegittimo, ma non abnorme, e come tale non ricorribile direttamente per cassazione su questa base.

Una richiesta di interrogatorio inviata dall’indagato via PEC a un indirizzo non designato è valida?
No, secondo la disciplina transitoria della Riforma Cartabia (art. 87, comma 6-quinquies, d.lgs. 150/2022), l’invio tramite PEC per questo tipo di atti ‘non produce alcun effetto di legge’. La modalità corretta è il deposito tramite il Portale del Processo Penale Telematico (PPT).

L’ordinanza di un giudice che annulla la richiesta di rinvio a giudizio per un interrogatorio non svolto, ma richiesto irregolarmente, è un atto abnorme?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che non è un atto abnorme. Sebbene l’ordinanza possa essere illegittima, non è né strutturalmente abnorme (il giudice ha il potere di decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio) né funzionalmente abnorme, perché non crea una stasi processuale irrimediabile, ma solo una regressione del procedimento.

Qual è la differenza tra un atto illegittimo e un atto abnorme?
Un atto illegittimo è un provvedimento che viola una norma di legge ma rimane all’interno del sistema processuale e può essere corretto con i mezzi di impugnazione previsti. Un atto abnorme, invece, è un provvedimento talmente anomalo da porsi al di fuori del sistema stesso o da bloccare il processo senza possibilità di rimedio, giustificando un ricorso per cassazione anche quando non sarebbe espressamente previsto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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