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Atto abnorme: revoca illegittima in esecuzione

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza con cui un Tribunale, in fase esecutiva, aveva revocato un proprio precedente provvedimento. La Corte ha qualificato tale revoca come un atto abnorme, in quanto l’unico rimedio esperibile contro il provvedimento originario era il ricorso per cassazione, già peraltro presentato dal pubblico ministero. La decisione crea una paralisi processuale e viola le norme procedurali che regolano le impugnazioni.

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Pubblicato il 6 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Atto Abnorme: Quando il Giudice non Può Revocare la Propria Decisione

Nel complesso mondo della procedura penale, le regole sui rimedi e le impugnazioni sono fondamentali per garantire certezza e ordine. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio cruciale: un giudice non può revocare una propria decisione se contro di essa è già pendente un ricorso. Un simile comportamento dà vita a un atto abnorme, ovvero un provvedimento che esce dagli schemi legali e crea una paralisi procedurale. Analizziamo insieme questo interessante caso.

I Fatti: Un Complesso Intreccio Processuale

La vicenda nasce dalla richiesta di un condannato di ottenere l’applicazione della ‘continuazione’ tra diverse sentenze di condanna. Inizialmente, il Tribunale rigetta la sua istanza e tale decisione diviene definitiva. Nonostante ciò, il condannato ripropone una richiesta identica. Sorprendentemente, il Tribunale, in una diversa composizione, questa volta accoglie l’istanza.

Contro questa seconda ordinanza, il Pubblico Ministero sceglie una doppia strada: da un lato, presenta correttamente ricorso per Cassazione; dall’altro, deposita un’istanza di revoca allo stesso Tribunale che aveva emesso il provvedimento favorevole. Il Tribunale, accogliendo la richiesta del PM, revoca la propria precedente ordinanza, sostenendo che essa violava il principio del ne bis in idem (il divieto di essere giudicati due volte per lo stesso fatto).

La Decisione della Corte di Cassazione sull’Atto Abnorme

La Corte di Cassazione, investita del ricorso del condannato contro l’ordinanza di revoca, ha annullato quest’ultima senza rinvio, definendola un atto abnorme. La Suprema Corte ha chiarito che il Tribunale ha agito al di fuori delle proprie competenze e in violazione delle norme procedurali.

L’Unico Rimedio Ammesso: il Ricorso per Cassazione

Il punto centrale della decisione è che l’articolo 666 del codice di procedura penale stabilisce chiaramente che l’unico rimedio contro le ordinanze emesse dal giudice dell’esecuzione è il ricorso per cassazione. Non è prevista la possibilità per lo stesso giudice di ‘ripensarci’ e revocare un proprio provvedimento, specialmente quando la questione è già stata devoluta al giudice superiore tramite l’impugnazione.

L’azione del Tribunale ha creato una situazione di stallo procedimentale (stasi procedimentale): la Corte di Cassazione non poteva decidere sul ricorso del PM perché il provvedimento impugnato era stato nel frattempo revocato dallo stesso giudice che lo aveva emesso.

L’Errata Applicazione del Principio del ‘Ne Bis in Idem’

Il Tribunale aveva giustificato la sua revoca applicando in via analogica l’articolo 669 c.p.p., che permette al giudice dell’esecuzione di risolvere un conflitto tra più sentenze definitive. La Cassazione ha spiegato che tale analogia era errata. Quella norma si applica solo in presenza di una pluralità di provvedimenti definitivi. Nel caso di specie, la seconda ordinanza (quella favorevole al condannato) non era affatto definitiva, proprio perché il PM l’aveva tempestivamente impugnata. Di conseguenza, non esisteva alcun contrasto tra giudicati da risolvere.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte di Cassazione ha motivato la sua decisione sottolineando che l’ordinanza di revoca è un atto abnorme per due ragioni fondamentali. Primo, è un atto non previsto dall’ordinamento, che attribuisce al giudice dell’esecuzione un potere di ‘autotutela’ che non gli compete una volta che la questione è stata portata davanti a un giudice superiore. Secondo, è un atto che produce una stasi procedimentale, impedendo il normale corso della giustizia attraverso i canali di impugnazione previsti.

L’intervento del giudice dell’esecuzione era illegittimo perché il rimedio corretto, il ricorso per cassazione, non solo era disponibile, ma era stato effettivamente utilizzato dal pubblico ministero. Era quindi compito esclusivo della Corte di Cassazione valutare la correttezza della seconda ordinanza.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

Questa sentenza riafferma l’importanza del rigido rispetto delle regole procedurali e della gerarchia dei rimedi giurisdizionali. Un giudice non può correggere i propri errori attraverso strumenti non previsti dalla legge, invadendo la competenza del giudice dell’impugnazione. La decisione sottolinea come la certezza del diritto e l’ordinato svolgimento del processo dipendano dal rispetto dei ruoli e delle competenze di ciascun organo giudiziario. Per le parti processuali, ciò significa avere la garanzia che, una volta attivato un mezzo di impugnazione, la questione sarà decisa dall’organo superiore competente, senza interferenze anomale da parte del giudice che ha emesso il provvedimento contestato.

Può un giudice dell’esecuzione revocare una sua precedente ordinanza se questa è stata impugnata?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che, una volta presentato il ricorso per cassazione contro un’ordinanza, il giudice che l’ha emessa non ha più il potere di revocarla. L’unico organo competente a decidere sulla legittimità del provvedimento è il giudice dell’impugnazione.

Cos’è un ‘atto abnorme’ in procedura penale?
È un provvedimento emesso da un giudice che si pone completamente al di fuori del sistema processuale, o perché non previsto dalla legge o perché provoca una paralisi del procedimento che non può essere superata con i normali mezzi di impugnazione. In questo caso, la revoca dell’ordinanza già impugnata è stata considerata tale.

Quando si può chiedere al giudice dell’esecuzione di risolvere un contrasto tra decisioni?
Il giudice dell’esecuzione può intervenire per risolvere un conflitto tra più provvedimenti, ma solo quando questi sono tutti diventati definitivi e irrevocabili. Non può farlo se uno dei provvedimenti è ancora pendente in appello, perché in tal caso non si è ancora formato un ‘giudicato’ contrastante.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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