Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 28647 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 28647 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/06/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da COGNOME NOME nato a San Cipriano d’Aversa il 30 maggio 1974; COGNOME NOME nato a Casal di principe il 21 giugno 1965;
avverso l’ordinanza del 4 marzo 2025 del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la memoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata;
letta la memoria depositata il 16 giugno 2025 dall’avv. NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Oggetto dell’impugnazione è l’ordinanza con la quale il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha rigettato l’istanza, avanzata dalla difesa (già nel corso
dell’udienza preliminare), di immediata improcedibilità, declaratoria richiesta alla luce di una pretesa identità dei fatti contestati rispetto a quelli già oggetto di u pregresso decreto di archiviazione e di una parallela sentenza di assoluzione.
I ricorsi, proposti nell’interesse di entrambi gli imputati, si compongono di due motivi d’impugnazione, connessi tra loro, a mezzo dei quali si deduce violazione degli art. 129, 469 e 649 cod. proc. pen. e connesso vizio di motivazione, nella parte in cui il Tribunale non avrebbe accertato, adottando i provvedimenti consequenziali, la sostanziale identità dei fatti in contestazione rispetto a quelli già oggetto di altro procedimento, definito, in relazione alla posizione processuale dei ricorrenti, con decreto di archiviazione. Decreto di archiviazione che, ricomprendendo le condotte fino a gennaio 2017, banalmente, in assenza di una previa riapertura delle indagini, rappresenterebbe un momento di sbarramento per qualsiasi ulteriore attività investigativa ed una preclusione processuale rispetto ad ulteriori imputazioni per i medesimi fatti.
In tale situazione, sostiene la difesa, la decisione del Tribunale di procrastinare la decisione all’esito dell’istruttoria dibattimentale, pur a fronte di elementi che imponevano la definizione del giudizio, non solo sarebbe del tutto contraddittoria rispetto al dato documentale, ma si sostanzierebbe anche in un atto abnorme, per aver determinato un incongruente sviluppo del processo, prolungandone indebitamente i tempi di definizione, in aperta violazione dell’obbligo di immediata declaratoria della cause di improcedibilità di cui è espressione l’art. 129 del codice di procedura penale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili in quanto proposti avverso un provvedimento non impugnabile autonomamente (art. 568 cod. proc. pen.) e che non presenta i caratteri dell’abnormità, categoria che, in linea di principio, risponde appunto all’esigenza di introdurre un correttivo al principio della tassatività dei mezzi d’impugnazione e di apprestare un rimedio (il ricorso per cassazione) per rimuovere gli effetti di determinati provvedimenti, che, pur non essendo oggettivamente impugnabili, risultino, tuttavia, affetti da anomalie genetiche o funzionali così radicali da non poter essere inquadrati nei tipici schemi normativi ovvero da essere incompatibili con le linee fondanti dell’intero sistema organico della legge processuale (Sez. U, n. 5307 del 20/12/2007, dep. 2008, COGNOME, Rv. 238240).
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, il provvedimento è abnorme quando non è inquadrabile nel sistema giuridico o non costituisce
espressione di poteri riconosciuti al giudice dall’ordinamento (Sez. 5, n.15051 del 22/12/2012, COGNOME, Rv. 25247501; Sez. 5, n.31975 del 10/07/2008, COGNOME, Rv.24116201) o comunque ne viola le norme, incidendo con una pregiudizievole alterazione sull’ordinaria sequenza procedimentale (Sez. U, n. 25957 del 26/03/2009 Toni, Rv. 24359001; Sez. U. n.21423 del 25/03/2010, COGNOME, Rv.24691001; Sez. 3, n.24163 del 3/05/2011, COGNOME, Rv.25060301; Sez. 6, n. 29855 del 30/05/2012, A., Rv. 25317701). Quindi, non solo il provvedimento che, per la sua singolarità, non sia inquadrabile nell’ambito dell’ordinamento processuale (c.d. carenza di potere in astratto), ma anche quello che, pur essendo manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite, quando, cioè, pur non estraneo al sistema normativo, determina la stasi del processo e l’impossibilità di proseguirlo (c.d. carenza di potere in concreto), pregiudicando lo sviluppo successivo del processo (Sez. U, n. 25957 del 26/03/2009, Rv. 243590).
Ebbene, l’ordinanza emessa dal Tribunale e sottoposta alla valutazione di questa Corte, non solo è esplicitamente precaria (essendosi il Tribunale riservato ogni valutazione all’esito dell’istruttoria dibattimentale), ma non si profila neanche come abnorme perché, sotto il profilo strutturale, è espressione di un potere esplicitamente riconosciuto dal nostro ordinamento per il quale è esplicitamente disciplinata l’impugnazione (art. 586 cod. proc. pen., e tanto sarebbe sufficiente per escludere la possibilità di ricorrere allo strumento dell’abnormità: Sez. 5, n. 49291 del 15/11/2023, COGNOME, Rv. 285541), sotto il profilo funzionale non determina alcuna stasi del processo, né l’impossibilità di proseguirlo (per un’ipotesi parzialmente sovrapponibile: Sez. 1, n. 29562 del 29/05/2018, COGNOME, Rv. 273347). Né la prospettata inutilità della prosecuzione, non rappresentando, in sé, una stasi del procedimento, è categoria sussumibile fra le cause di abnormità.
Né, in ultimo, emerge alcun profilo di frizione con il divieto del bis in idem, esplicitamente limitato alle ipotesi di precedenti sentenze o decreti penali di condanna (artt. 649 e 669 cod. proc. pen.) e non estensibile alla diversa ipotesi del decreto di archiviazione (Sez. U, n. 34655 del 28/06/2005, COGNOME, Rv. 231800, in motivazione), non essendo questo un provvedimento definitorio del giudizio con efficacia di giudicato.
In conclusione, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili e i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili
i
ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 24 giugno 2025
Il sigliere este ore
Il Presidente