Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 22598 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 22598 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 16/05/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a Roma il 15/03/1963
COGNOME NOME nato a Roma il 28/07/1961
RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE
Giardino NOME nato a Isola di Capo Rizzuto il 13/11/1976
NOME NOME nato a Verona il 09/03/1995
Giardino NOME nato a Crotone il 28/04/1989
COGNOME NOME nato a Lecce il 21/03/1964
inoltre:
NOME NOME nato a Crotone il 08/05/1988
NOME NOME nato a Isola di Capo Rizzuto il 08/05/1977
NOME NOME nato a Isola di Capo Rizzuto il 02/11/1982
NOME NOME nato a Crotone il 13/04/1969
COGNOME NOME nato a Treviso il 22/10/1982
COGNOME NOME nato a Treviso il 24/03/1952
Giardino NOME nato a Isola di Capo Rizzuto il 05/01/1957
COGNOME NOME nato a Crotone il 11/05/1984
Giardino NOME nato a Isola di Capo Rizzuto il 02/01/1987
NOME NOME nato a Breno il 27/06/1952
COGNOME NOME nato a Crotone il 12/09/1986 COGNOME NOME nato a Crotone il 15/07/1981 COGNOME NOME nato a Regalbuto il 08/11/1954 COGNOME NOME nato a Isola di Capo Rizzuto il 08/06/1972 COGNOME NOME nato a Trepuzzi il 08/07/1944 COGNOME NOME nato a Crotone il 26/06/1981 COGNOME NOME nato a Crotone il 21/08/1982 COGNOME NOME nato a Tagliacozzo il 10/08/1973 COGNOME NOME nato a Catanzaro il 20/08/1967 COGNOME NOME nato a Roma il 14/06/1973 COGNOME NOME nato a Alessandria il 23/04/1970 COGNOME NOME nato a Modena il 11/12/1954 COGNOME NOME nato a Caserta il 28/06/1971 COGNOME NOME nata a Lecce il 04/11/1967 COGNOME NOME nato a Martano il 25/05/1967 RAGIONE_SOCIALE Del dottor NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE Parte civile RAGIONE_SOCIALE Parte offesa Agenzia delle entrate di Milano e Varese Parte offesa Fallimento RAGIONE_SOCIALE Parte offesa Fallimento RAGIONE_SOCIALE
avverso l’ordinanza del 13/02/2025 del TRIBUNALE di Varese Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME con cui ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi ; letta la memoria, con allegati, sottoscritta dalle difese dei ricorrenti, con cui si insiste affinché questa Corte annulli il provvedimento impugnato, con ogni conseguenza di legge.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 13 febbraio 2025, il Tribunale di Varese invitava il pubblico ministero: a) a precisare se il capo 7) dell’imputazione si intendesse contestato a tale COGNOME NOME, in quanto indicato nell’imputazione e non nell’epigrafe, nonché a specificare succintamente quale sia stato l’apporto concorsuale di Giardino NOME, Giardino NOME e COGNOME Marco, citati solo nell’epigrafe del campo di imputazione ; b)
ad effettuare una serie di precisazioni e conferme (meglio descritte nell’atto impugnato) del contenuto di numerosi capi di imputazione, compresa la specificazione della condotta concorsuale di alcuni imputati, ovvero a rendere maggiormente intellegibile la contestazione graficamente farraginosa del capo 34-bis, contestato ai ricorrenti COGNOME NOME e COGNOME NOME, peraltro invitando il PM ad assicurare che il tribunale avesse dato una corretta lettura del capo di imputazione a confermare quali fossero i delitti contestati a ciascun imputato nei diversi capi di imputazione.
Avverso la predetta ordinanza i difensori dei ricorrenti Avv.ti NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME hanno proposto separati ricorsi per cassazione, deducendo un unico, comune, motivo, di seguito enunciato ex art. 173, disp. att., cod. proc. pen. nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Deducono, con tale unico motivo, comune a tutti i ricorrenti, l’abnormità dell’ordinanza per esercizio di un potere riservato dall’ordinamento processuale esclusivamente al giudice dell’udienza preliminare .
In sintesi, si dolgono le difese dei ricorrenti del fatto che il collegio, trovandosi in camera di consiglio per decidere, tra l’altro, su una questione di competenza territoriale, avrebbe adottato, inaudita altera parte e fuori udienza, l’ordinanza impugnata, chiedendo chiarimenti e precisazioni al pubblico ministero in merito all’imputazione, circostanza che renderebbe il provvedimento emesso abnorme in senso tecnico. Consentendo al pubblico ministero la modifica dell’imputazione, non soltanto sarebbe stata operata un’attività non consentita al tribunale, che ne avrebbe minato la terzietà, ma sarebbe stato palesemente violato il diritto di difesa esercitato su un capo di imputazione cristallizzato a seguito dell’udienza preliminare, rimesso in discussione su iniziativa del collegio dibattimentale fuori da ogni schema legale. Nessuna disposizione normativa, in specie a seguito della cosiddetta riforma Cartabia, attribuisce al collegio del dibattimento il ruolo di sollecitare al pubblico ministero precisazioni sul capo di imputazione. Richiamati in particolare gli artt. e 554bis cod. proc. pen., si osserva come nessun potere è previsto, nel caso di dibattimento innanzi al tribunale in composizione collegiale, di invitare il pubblico ministero a precisare o riformulare l’imputazione, sull’evidente presupposto che il controllo dell’imputazione è già stato svolto nella precedente fase dell’udienza preliminare. a sostegno del proprio assunto le difese richiamano una sentenza di questa Corte, in particolare la sentenza numero 28037 del 2023 di questa Sezione, la quale avrebbe confermato l’assunto difensivo secondo cui il legislatore della recente riforma avrebbe limitato alla sola fase dell’udienza preliminare la necessaria interlocuzione tra il GUP ed il pubblico ministero, volta ad assicurare la precisione e chiarezza della contestazione giudiziale, emendando ove possibile gli eventuali vizi. Si richiama, altresì, la recente sentenza della Corte costituzionale n. 230 del 2022 che ha tratteggiato il limite
che incontra il giudice del dibattimento sulle scelte compiute dal PM nella descrizione del fatto, affermando che il sindacato del giudice del dibattimento non è ammissibile in quanto finirebbe per snaturare la stessa posizione di terzietà ed imparzialità del giudice, chiamato, in linea di principio, a giudicare della corrispondenza dei fatti provati a quelli ascritti all’imputato dal PM, non già ad assicurare, in chiave collaborativa con quest’ultimo, l’adeguamento delle imputazioni ai fatti provati.
In data 28 aprile 2025 è pervenuta la requisitoria scritta del Procuratore Generale presso questa Corte, con cui ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi.
La questione sollevata con i due ricorsi, evidenzia il PG, attiene all’esistenza del potere in capo al giudice del dibattimento, nella specie il Tribunale in composizione collegiale, di sollecitare il pubblico ministero a riformulare l’imputazione a differenza di quanto previsto per il giudice dell’udienza preliminare o, in mancanza di udienza preliminare, dall’articolo 554 bis co.5 cod. proc. pen., per l’udienza predibattimentale. Sulla base di quanto statuito dalla Corte di legittimità «È affetto da abnormità non solo il provvedimento che, per la singolarità e stranezza del contenuto, risulti avulso dall’intero ordinamento processuale, ma anche quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite. L’abnormità dell’atto processuale può riguardare tanto il profilo strutturale, allorché l’atto, per la sua singolarità, si ponga al di fuori del sistema organico della legge processuale, quanto il profilo funzionale, quando esso, pur non estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l’impossibilità di proseguirlo» (Sez. U, n. 26 del 24/11/1999, dep. 2000, COGNOME, Rv. 215094; conf. Sez. U, n. 25957 del 26/03/2009, Toni, Rv. 243590). La Corte nel suo massimo consesso ha, altresì, precisato che «È affetto da abnormità il provvedimento con cui il giudice dell’udienza preliminare dispone la restituzione degli atti al pubblico ministero per genericità o indeterminatezza dell’imputazione, senza avergli previamente richiesto di precisarla, poiché, alla luce del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, è configurabile il vizio dell’abnormità in ogni fattispecie di indebita regressione del procedimento in grado di alterarne l’ordinata sequenza logico-cronologica »(Sez. U, n. 5307 del 20/12/2007, dep. 2008, COGNOME, Rv. 238240). Successivamente i giudici di legittimità, anche nell’ambito della stessa sezione semplice, si sono espressi in maniera non univoca in ordine alla questione se il detto principio sia estensibile al dibattimento: secondo un primo orientamento, ribadito anche di recente «È abnorme, per la sua attitudine a determinare un’indebita regressione del procedimento, l’ordinanza del giudice del dibattimento che, nel caso di genericità o d’indeterminatezza dell’imputazione, restituisce gli atti al pubblico ministero senza preventivamente sollecitarlo ad integrare o precisare la contestazione» (Sez. 2, n. 30440 del 14/03/2024, Rv. 286744, Sez. 6, Sentenza n. 27961 del 31/05/2016, COGNOME, Rv. 267388; conf., ex plurimis, Sez. 5, n.
35744 del 19/05/2015, COGNOME, Rv. 266415; Sez. 1, n. 39234 del 14/03/2014, COGNOME, Rv. 260512). Tale orientamento trova la propria ragione d’essere nella necessità di evitare regressioni del procedimento che non siano strettamente funzionali all’assolvimento delle finalità del processo atteso che il principio di economia e di ragionevole durata dello stesso impongono che non venga adottata una declaratoria di nullità se, prima, non sia stata svolta l’attività necessaria, (nella specie l’invito al pubblico ministero a integrare o precisare l’accusa) a rimuovere la causa di nullità. Secondo un diverso indirizzo «In caso di genericità o indeterminatezza del fatto descritto nel capo di imputazione, il giudice del dibattimento deve dichiarare la nullità del decreto che dispone il giudizio, ai sensi dell’art. 429, comma 2, cod. proc. pen. (o del decreto di citazione a giudizio, ai sensi dell’art. 552, comma 2, dello stesso codice), senza alcuna previa sollecitazione, rivolta al pubblico ministero, ad integrare o precisare la contestazione, in quanto non è estensibile alla fase dibattimentale il meccanismo correttivo che consente al giudice dell’udienza preliminare di sollecitare il pubblico ministero alle opportune precisazioni e integrazioni, indicandogli, con ordinanza interlocutoria, gli elementi di fatto e le ragioni giuridiche alla base del rilevato difetto dell’imputazione» (Sez. 5, n. 22140 del 11/03/2022, Rv. 283221; Sez. 6, n. 44394 del 25/09/2019, Rv. 277376; conf., ex plurimis, Sez. 2, n. 23545 del 18/04/2019, COGNOME, Rv. 276105; Sez. 3, n. 6044 del 27/09/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268898; Sez. 6, n. 23832 del 12/05/2016, COGNOME, Rv. 267035). In base a tale orientamento l’univoca riferibilità del principio di diritto enunciato da Sez. U, COGNOME e, prima ancora, il percorso argomentativo di cui è frutto – fondato anche, come si è visto, sulla divaricazione nella disciplina dell’imputazione generica contenuta nella richiesta di rinvio a giudizio, carente di comminatoria legale di sanzione processuale, e di quella contenuta nel decreto che dispone il giudizio, per la quale è prevista la nullità – testimoniano univocamente che il rimedio endofasico di tipo “dialogico” delineato dalle Sezioni unite trova esclusivo terreno applicativo nell’udienza preliminare. Si richiama inoltre, a favore di tale secondo indirizzo il dato testuale rinvenibile nella nuova versione dell’art. 421, comma 1, cod. proc. pen., entrata in vigore a seguito della riforma processuale attuata con il dlgs n. 150 del 2022, a norma del quale il Gup, se rileva una ipotesi di violazione dell’art. 417, comma 1, lettera b), cod. proc. pen. (cioè in caso di enunciazione, nella richiesta di rinvio a giudizio, della accusa in forma oscura e vaga), sentite le parti, invita il Pm a riformulare l’accusa e, solo nel caso in cui questi non provveda nel senso indicatogli, può dichiarare, anche di ufficio, la nullità della richiesta di rinvio a giudizio e disporre la restituzione degli atti al Pm. Il fatto che il legislatore, di fronte ad una situazione di incertezza applicativa, abbia inteso disciplinare la descritta fattispecie con esclusivo riferimento alla fase della udienza preliminare rende ancora più evidente la riferibilità del meccanismo processuale solo e soltanto a tale ipotesi e non anche a quella del processo dibattimentale.
Non si ravvisano, pertanto, i denunciati profili di abnormità. Il Giudice del dibattimento, dopo aver raccolto le eccezioni preliminari sollevate dalla difesa anche con riferimento ai capi di imputazione ascritti ai ricorrenti, prima di sciogliere la riserva assunta all’udienza del 3 0 gennaio 2025, con ordinanza del 13/02/2025 adottata fuori udienza, comunicata al Pubblico Ministero e notificata alle parti, in un processo a carico di 31 imputati e 7 persone giuridiche, articolato in 51 capi di incolpazione, di cui 9 nei confronti delle persone giuridiche ex Dlgs n.231/2001, ha sollecitato il Pubblico Ministero ad effettuare alcune precisazioni in relazione a taluni capi di imputazione e a confermare con riferimento a ciascun imputato i capi in contestazione. Come risulta dal verbale di udienza del 21 febbraio 2025 sia il Pubblico Ministero che i difensori COGNOME COGNOME e COGNOME hanno depositato memorie e tutte le parti hanno interloquito. Nella memoria del Pubblico Ministero con riferimento alla posizione degli imputati COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME si precisano le imputazioni oggetto del decreto che dispone il giudizio, altrettanto dicasi con riferimento alle posizioni di COGNOME NOME, COGNOME Alessandro e delle persone giuridiche RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE In relazione al capo 34 bis il Pubblico Ministero ha evidenziato la presenza di un refuso e precisato che le fatture contestate sono quelle di cui al capo 34 (come si evince dal testo del capo 34 bis), ha precisato che il capo 29 bis è contestato ad NOME cl.79 e puntualizzato che l’aggravante di cui all’art. 416 bis.1 c.p. attiene per tutti i capi ove è stata contestata allo stesso profilo, come indicato dal Tribunale nell’invito rivolto al Pubblico Ministero. Il Tribunale con l’ordinanza del 21 febbraio 2025 ha osservato incidentalmente che l’eccezione di nullità per indeterminatezza del capo di imputazione, nella parte relativa ai punti oggetto dell’invito rivolto il 13 febbraio 2025 al pubblico ministero, è infondata posto che il grado di precisione dell’imputazione è collegato dalla giurisprudenza di legittimità alle necessità difensive e che nessuno dei punti sollevati dal Tribunale con l’ordinanza del 13 febbraio 2025 ha formato oggetto di richieste o doglianze delle difese nella precedente fase processuale, né -nell’ipotesi che fossero state invece sollevate – è stata riproposta al momento della discussione delle eccezioni preliminari. Ha precisato, inoltre, che i chiarimenti richiesti si sono resi opportuni per l’organo giudicante che, non avendo accesso agli atti, non può ricorrere al loro contenuto per supplire a marginali carenze o aporie di alcuni capi di imputazione, alcune delle quali costituenti banali errori materiali, evidentemente nemmeno percepibili da chi ha conoscenza degli atti processuali. In conseguenza ha rigettato l’eccezione di nullità dell’ordinanza emessa dal Tribunale il 13 febbraio 2025 per violazione degli articoli 417, co.1 lett.b) 421 co.1, 429 co.1 lett.e) e 491 c.p.p., sollevata da alcuni difensori con memoria depositata il 20 f ebbraio 2025, affermando che, al di là dell’orientamento di legittimità ancora di recente ribadito secondo cui all’inizio del dibattimento il giudice avrebbe il potere-dovere di sollecitare il pubblico ministero ad eventuali integrazioni, non ha inteso esercitare i poteri di cui all’articolo 421 primo comma c.p.p. ed ha ulteriormente precisato che i reati
contestati oggetto di giudizio sono quelli di cui al decreto di giudizio immediato e al decreto che dispone il giudizio. Non si ravvisano nel provvedimento impugnato i denunciati profili di abnormità. Non è stata richiesta, né operata dal Pubblico Ministero alcuna riformulazione o rivisitazione di elementi essenziali delle contestazioni mosse ai ricorrenti. Con l’ordinanza impugnata e con quella adottata il successivo 21 febbraio 2025, a scioglimento della riserva, non è stata disposta la restituzione degli atti al Pubblico Ministero, né è intervenuta declaratoria di nullità delle imputazioni. La non riconducibilità dell’ordinanza del 13 febbraio 2025 al genus dell’atto abnorme ne escluderebbe, dunque, l’impugnabilità.
In data 28 aprile 2025 è pervenuta una memoria, con allegati, sottoscritta dalle difese dei ricorrenti, con cui si insiste affinché questa Corte annulli il provvedimento impugnato, con ogni conseguenza di legge.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi, trattati cartolarmente ex art. 611, cod. proc. pen., sono inammissibili, sia perché non è ravvisabile alcuna abnormità, come condivisibilmente argomentato dal Procuratore Generale, sia per sopravvenuta carenza di interesse.
Va osservato, innanzitutto, che l’ordinanza dibattimentale impugnata non è qualificabile in termini di abnormità funzionale.
2.1. Com’è noto, le Sezioni unite di questa Corte hanno progressivamente elaborato e circoscritto la nozione di atto abnorme, le cui caratteristiche identificative sono costituite dall’essere il provvedimento del tutto avulso dal sistema e dalla sua capacità di determinare la stasi del procedimento, ovvero una indebita regressione della sequenza logico-cronologica del procedimento, incompatibile col principio costituzionale della ragionevole durata del processo (seguendo l’evoluzione delle pronunce, si segnalano: Sez. U, n. 7 del 26/04/1989, Goria, in motivazione; Sez. U, n. 17 del 10/12/1997, dep. 1998, COGNOME, Rv. 209603; Sez. U, n. 26 del 24/11/1999, dep. 2000, COGNOME, Rv. 21.5094; Sez. U, n. 33 del 22/11/2000, COGNOME, Rv. 217244; Sez. U, n. 19289 del 25/02/2004, COGNOME, Rv. 227355, riferita ad un caso di abnormità funzionale, implicante una situazione di stasi, a seguito del diniego di competenza da parte sia del sia del p.m.; Sez. U, n. 22909 del 31/05/2005, COGNOME, in motivazione; Sez. U, n. 34536 del 11/07/2001, COGNOME, Rv. 219587, secondo cui anche nel caso di atto abnorme valgono i termini per la proposizione dell’impugnazione, salva l’ipotesi di gravame proposto nei confronti di quei provvedimenti affetti da un’anomalia genetica così radicale che, determinandone l’inesistenza materiale o giuridica e rendendoli inidonei a passare in giudicato, può essere denunciata in qualsiasi momento).
2.2. Il provvedimento in esame non presenta queste caratteristiche in quanto è ben lungi dal creare una stasi del procedimento.
Questo, infatti, può agevolmente proseguire e – quand’anche l’atto fosse afflitto, per ipotesi, dalla denunciata anomalia – nulla impedisce che si pervenga alla pronuncia della sentenza definitiva. Il contenuto de lla richiesta rivolta al PM con l’ordinanza dibattimentale impugnata, riguardante le imputazioni originarie rispetto alle quali vengono chiesti, precisazioni, chiarimenti e conferme, non determina un’alterazione della struttura logica del processo penale, dal momento che il dato richiesto riguarda solamente l’esatta individuazione dei reati di cui i ricorrenti sono chiamati a rispondere.
2.3. Né rileva la asserita abnormità strutturale per essere stato adottato dal giudice del dibattimento anziché, come previsto dall’ordinamento processuale, a seguito della riforma Cartabia, dal giudice dell’udienza preliminare .
Ed infatti – pur potendo, in astratto, condividersi l’approdo cui è pervenuta la sentenza di questa Sezione, richiamata dalla difesa dei ricorrenti (Sez. 3, n. 28037 del 23 febbraio 2023, PMT in proc. NOME ed altri, non mass.), secondo cui in caso di genericità o indeterminatezza del fatto descritto nel capo di imputazione, il giudice del dibattimento deve dichiarare la nullità del decreto che dispone il giudizio, ai sensi dell’art. 429, comma 2, cod. proc. pen. (o del decreto di citazione a giudizio, ai sensi dell’art. 552, comma 2, dello stesso codice), senza alcuna previa sollecitazione, rivolta al pubblico ministero, ad integrare o precisare la contestazione, non essendo estensibile, alla fase dibattimentale, il meccanismo correttivo che consente al giudice dell’udienza preliminare di sollecitare il Pm alle opportune precisazioni e integrazioni, indicandogli, con ordinanza interlocutoria, gli elementi di fatto e le ragioni giuridiche alla base del rilevato difetto dell’imputazione (richiamando, in tal senso, l’indirizzo espresso da Sez. 5, n. 1382 del 14/10/2016, dep. 2017, P.m. in proc. F., Rv. 268872 -01, sostenuto, da ultimo, da Sez. 5, n. 22140 del 11/03/2022, P., Rv. 283221 -01; contra , tuttavia, da ultimo, Sez. 2, n. 30440 del 14/03/2024, Vena, Rv. 286744 -01) -è tuttavia indubbio, per la giurisprudenza di questa Corte, che l’impugnazione avverso un atto abnorme deve essere comunque sorretta da un interesse del ricorrente alla rimozione del concreto pregiudizio derivante da quell’atto (sul punto, specificamente, Sez. U, n. 40984 del 22/03/2018, COGNOME Rv. 273581 -01).
2.4. Anche nei casi di abnormità, ai fini della legittimazione a ricorrere non basta dedurre un vizio del provvedimento impugnato, ma occorre anche che il ricorrente abbia un interesse pratico e attuale all’annullamento dell’atto del quale deduce l’abnormità e affinché detto interesse sussista è necessario che l’impugnazione sia idonea a rimuovere un pregiudizio, considerato come conseguenza concreta derivante dagli effetti primari e diretti della pronuncia impugnata (tra le tante: Sez. 6, n. 25683 del 02/04/2003, COGNOME, Rv. 228307; in termini v. anche Sez. 6, n. 42542 del 06/10/2004, COGNOME, Rv. 231186).
Al riguardo, le Sezioni Unite hanno avuto modo di affermare che la facoltà di attivare i procedimenti di gravame non è assoluta e indiscriminata, ma è subordinata alla esistenza di una situazione in forza della quale il provvedimento del giudice risulti idoneo a produrre la lesione della sfera giuridica dell’impugnante e la eliminazione o la riforma della decisione gravata renda possibile il conseguimento di un risultato vantaggioso. Nell’occasione è stato altresì specificato che la legge processuale non ammette l’esercizio del diritto di impugnazione avente di mira la sola esattezza teorica della decisione o la correttezza formale del procedimento, senza che alla posizione giuridica del soggetto derivi alcun risultato pratico favorevole, nel senso che miri a soddisfare una posizione oggettiva giuridicamente rilevante e non un mero interesse di fatto (Sez. U, n. 42 del 13/12/1995, COGNOME, Rv. 203093).
2.5. Coniugando tali affermazioni con la tematica che qui interessa, occorre verificare l’ an ed il quantum del pregiudizio arrecato ai ricorrenti dall’ordinanza impugnata e di conseguenza l’eventuale interesse dei predetti alla rimozione dell’atto.
La verifica, alla luce della successiva ordinanza dibattimentale pronunciata in data 21 febbraio 2025, di cui il tribunale di Varese ha disposto la trasmissione a questa Corte in vista della decisione sui ricorsi oggetto di esame, esclude l’esistenza di qualsiasi pregiudizio ai ricorrenti.
Ed infatti, si legge chiaramente nell’ordinanza dibattimentale del 21 febbraio 2025, che ‘fatta salva la correzione di errori materiali ed eventuali contestazioni suppletive, gli imputati saranno giudicati -se del caso con quella logica di favor rei che costituisce una delle ratio decidendi della pronuncia n. 230/2022 della Corte costituzionale (peraltro citata dalla difesa dei ricorrenti: n.d.r. ) -sulla base dei capi di imputazione formulati nel decreto di giudizio immediato e nel decreto di rinvio a giudizio’.
2.6. Tale precisazione, oggetto di puntuale indicazione nell’ordinanza in questione, esclude, dunque, in radice, qualsiasi potenziale pregiudizio per i ricorrenti, in quanto, l’aver espressamente chiarito che il giudizio dibattimentale avrà ad oggetto le imputazioni ‘originarie’, priva di qualsiasi interesse all’impugnazione i ricorrenti avverso l’ordinanza ‘interlocutoria’ del 13 febbraio 2025, oggetto di impugnazione davanti a questa Corte, avendo, in altri termini, chiarito i giudici del dibattimento che nessun rilievo verrà attribuito all’atto, oggetto di successivo deposito da parte del PM conseguente all’esercizio del potere sollecitatorio operato dal giudice collegiale con l’ordinanza impugnata, contenente l’invito al pubblico ministero a chiarire alcuni punti del capo di imputazione.
2.7. Una volta esclusa la abnormità del provvedimento, trova, dunque, applicazione l’art. 586, comma 1, cod. proc. pen., a mente del quale l’impugnazione delle ordinanze emesse nel corso del dibattimento può essere proposta, a pena di inammissibilità, soltanto con l’impugnazione contro la sentenza ed è giudicata congiuntamente.
2.8. Consegue che l’ordinanza impugnata non è immediatamente impugnabile e, comunque, non vi è alcun interesse concreto alla sua impugnazione per le ragioni dianzi esplicitate.
Alla declaratoria di inammissibilità, tuttavia, non consegue nel caso in esame l ‘ irrogazione di alcuna condanna ex art. 616, cod. proc. pen.
In tema di impugnazioni, l’inammissibilità del ricorso per cassazione per sopravvenuta carenza di interesse derivante da causa non imputabile al ricorrente comporta, infatti, che quest’ultimo non possa essere condannato né al pagamento delle spese processuali, né al versamento di una somma in favore della Cassa per le ammende, in quanto il sopraggiunto venir meno del suo interesse alla decisione non configura un’ipotesi di soccombenza (tra le tante: Sez. 4, n. 45618 del 11/11/2021, Pujia, Rv. 282549 – 01)
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi. Così deciso, il 16/05/2025