Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 3832 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 3832 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 05/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PM c/ ignoti avverso il decreto del 08/05/2024 del GIP TRIBUNALE di L’AQUILA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG, in persona del sostituto NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Va premesso che, nonostante la sua generale rilevanza in relazione al delicatissimo momento di transizione dal processo cartaceo a quello telematico, il tema del funzionamento/mancato funzionamento/malfunzionamento del sistema informatico, malgrado sia oggetto e del ricorso in esame e del provvedimento impugnato, è assolutamente estraneo all’effettivo thema decidendum, ove va invece, in primis, analizzata l’impugnabilità del provvedimento oggetto di censura da parte del PM ricorrente. Peraltro va osservato che il provvedimento adottato in data 8 aprile 2024 dal Procuratore della Repubblica con cui veniva accertato il “malfunzionamento”, pur avendo effetti nella gestione degli affari giudiziari, presenta indubbie caratteristiche di “atto amministrativo”, avente funzioni organizzative per il regolare svolgimento dell’attività giudiziaria, la cui sindacabilità compete agli organi della giustizia amministrativa.
1.1. Ciò posto il ricorso è da ritenersi inammissibile, poiché proposto contro un provvedimento che, oltre ad essere inoppugnabile per il principio di tassatività dei mezzi d’impugnazione ex art. 568, comma 1, cod. proc. pen., diversamente da quanto ritenuto dal ricorrente, non si può ritenere abnorme e non è, pertanto, ricorribile per cassazione.
Infatti, il ricorso avverso un provvedimento per cui non sia previsto dalla legge processuale alcun mezzo di gravame, come è pacifico nel caso di specie, può essere dichiarato ammissibile solo in quanto si ritenga l’atto affetto da abnormità, poiché in tal caso il ricorso per cassazione costituirebbe l’unico rimedio.
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, è abnorme l’atto affetto da vizio che, per la singolarità e stranezza del suo contenuto, risulti avulso dall’intero ordinamento processuale, ovvero quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste al di là di ogni ragionevole limite.
L’abnormità, quindi, integra – sempre e comunque – uno sviamento della funzione giurisdizionale, la quale non risponde più al modello previsto dalla legge, ma si colloca al di là del perimetro entro il quale è riconosciuta dall’ordinamento (Sez. U, n. 25957 del 26/03/2009, Toni, in motivazione).
In tali ipotesi, in deroga al principio della tipicità dei mezzi di impugnazione, è ammissibile, appunto, il ricorso per cassazione, ove il vizio non sia riconducibile alle categorie della nullità o dell’inutilizzabilità e non sia previsto altro mezzo d impugnazione.
Sulla scorta di una progressiva elaborazione giurisprudenziale, è stato via via precisato che l’abnormità dell’atto può riguardare sia il profilo strutturale,
allorché l’atto si ponga al di fuori del sistema organico della legge processuale, sia il profilo funzionale, quando esso, pur non estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l’impossibilità di proseguirlo (Sez. U, n. 17 del 10/12/1997, dep. 1998, COGNOME, Rv. 209603; Sez. U, n. 26 del 24/11/1999, dep. 2000, COGNOME, Rv. 215094; Sez. U, n. 33 del 22/11/2000, COGNOME, Rv. 217244; Sez. U, n. 5307 del 20/12/2007, dep. 2008, COGNOME; cfr., anche la già citata Sez. U, n. 25957 del 26/03/2009, NOME).
All’interno poi della c.d. abnormità strutturale, è possibile collocare sia i casi in cui l’atto per la sua singolarità, non sia inquadrabile nell’ordinamento processuale (c.d. carenza di potere in astratto), sia i casi in cui, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite (c.d. carenza di potere in concreto).
In tale ultima ipotesi, si è osservato, l’atto, pur essendo espressione di un potere previsto dall’ordinamento, poiché riconducibile ad uno schema normativo, è esercitato in una situazione processuale radicalmente diversa da quella configurata dalla legge e cioè completamente al di fuori dei casi consentiti (cfr. anche Sez. U, n. 37502 del 28/04/2022, COGNOME, in motivazione).
Resta escluso che possa invocarsi la categoria dell’abnormità per giustificare la ricorribilità per cassazione di atti illegittimi, affetti soltanto da null comunque sgraditi e non condivisi (Sez. U, n. 33 del 22/11/2000, COGNOME), perché ciò si tradurrebbe nella non consentita elusione del regime di tassatività dei casi di impugnazione e dei mezzi esperibili, stabilito dall’art. 568, comma 1, cod. proc. pen. (così Sez. U, n. 20569 del 18/01/2018, COGNOME, Rv. 272715 -01).
1.2. In forza di tali principi deve ritenersi che il provvedimento impugnato non è affetto da abnormità.
Sotto il profilo strutturale, infatti, non può, in primo luogo, ritenersi che i provvedimento di restituzione degli atti al pubblico ministero – quale nella sostanza è quello impugnato, di natura interlocutoria e privo di delibazione sul merito della richiesta, poiché incentrato sulla verifica del rispetto delle forme per la sua proposizione – sia completamente avulso dal sistema processuale, essendo previsto da diverse disposizioni, anche nel segmento procedimentale che origina nella richiesta di archiviazione (ad es., artt. 410 e 411 cod. proc. pen.).
Si consideri che il giudice di legittimità ha escluso l’abnormità del provvedimento con il quale il giudice per le indagini preliminari investito della richiesta di archiviazione restituisca gli atti al pubblico ministero affinchè provveda ad informare la persona offesa della richiesta di archiviazione, avendone questa fatto rituale domanda (Sez. 5, n. 3457 del 26/10/2022, dep. 2023, Rv. 283984). Nella sentenza si rammenta che secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite, “Con
riguardo ai rapporti tra giudice e pubblico ministero: – le ipotesi di «abnormità strutturale» devono limitarsi «al caso di esercizio da parte del giudice di un potere non attribuitogli dall’ordinamento processuale (carenza di potere in astratto) ovvero di deviazione del provvedimento giudiziale rispetto allo scopo di modello legale nel senso di esercizio di un potere previsto dall’ordinamento, ma in una situazione processuale radicalmente diversa da quella configurata dalla legge e cioè completamente al di fuori dei casi consentiti, perché al di là di ogni ragionevole limite (carenza di potere in concreto)»; – «l’abnormità funzionale, riscontrabile nel caso di stasi del processo e di impossibilità di proseguirlo, va limitata all’ipotesi in cui il provvedimento giudiziario imponga al pubblico ministero un adempimento che concretizzi un atto nullo rilevabile nel corso futuro del procedimento o del processo. Solo in siffatta ipotesi il pubblico ministero può ricorrere per cassazione lamentando che il conformarsi al provvedimento giudiziario minerebbe la regolarità del processo; negli altri casi egli è tenuto ad osservare i provvedimenti emessi dal giudice»” (il riferimento è a Sez. U, n. 25957 del 26/03/2009, Toni, Rv. 243590; Sez. U, n. 20569 del 18/01/2018, COGNOME, Rv. 272715; Sez. U, n. 10728 del 16/12/2021 – dep. 2022, COGNOME, Rv. 282807).
Le stesse Sezioni Unite (la già citata sentenza COGNOME) hanno ritenuto che non è abnorme il provvedimento con cui il giudice per le indagini preliminari, investito della richiesta di emissione di decreto penale di condanna, restituisca gli atti al pubblico ministero perché valuti la possibilità di chiedere l’archiviazione del procedimento per particolare tenuità del fatto ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen.; ciò in quanto l’invito a verificare il carattere “particolarmente tenue” dell’illeci contestato nell’imputazione non implica alcuna invasione delle competenze dell’organo requirente, ma appartiene all’attività di qualificazione giuridica propria del giudice.
Né l’abnormità strutturale, nel senso sopra precisato dalla elaborazione giurisprudenziale, può derivare dalla circostanza che il nostro sistema processuale non preveda espressamente, nel caso di specie, la sanzione della “inammissibilità” (espressione utilizzata dal GIP nel dispositivo del provvedimento impugnato). Pur trattandosi infatti di una terminologia quanto meno impropria, ciò non incide sul provvedimento di restituzione di fatto adottato, che attiene unicamente al rispetto delle forme previste per il deposito degli atti.
Quanto al profilo funzionale, pur volendo prescindere dalla considerazione per cui, nella specie, il malfunzionamento attestato ha avuto solo carattere temporaneo (cfr. provvedimento del Procuratore della Repubblica), la decisione impugnata non ha determinato, come si dirà in prosieguo, una stasi insuperabile del procedimento, in quanto la restituzione degli atti non esclude il rinnovo della richiesta di archiviazione, così dandosi nuovo impulso alle attività processuali.
La riferita elaborazione giurisprudenziale ha infatti portato questa Corte, nella sua più autorevole composizione, ad un affinamento della nozione di abnormità: con riguardo ai rapporti tra giudice e pubblico ministero, si è precisato che la stasi processuale rilevante ai fini di ritenere, od escludere, l’abnormità dell’atto impugnato, si determina quando il processo non può proseguire, se non attraverso il compimento di un atto nullo da parte del pubblico ministero (così, in motivazione, Sez. U, n. 10728 del 16/12/2021, dep. 2022, COGNOME; cfr., anche la già citata Sez. U, Toni).
In questa stessa prospettiva, ad esempio, è stata recentemente esclusa l’abnormità l’ordinanza con cui il giudice per le indagini preliminari, a fronte della richiesta di archiviazione, dispone de plano la trasmissione degli atti al pubblico ministero per la formulazione dell’imputazione (Sez. 3, n. 28000 del 16/03/2021, Li, Rv. 281592 – 01), ben potendo essere reiterata la richiesta di archiviazione; parimenti, è stata esclusa l’abnormità del provvedimento con il quale il giudice per le indagini preliminari, avendo rilevato che la persona offesa non è stata informata della richiesta di archiviazione nonostante la sua richiesta, ordini la restituzione degli atti al pubblico ministero affinché provveda all’incombente (Sez. 5, n. 3457 del 26/10/2022, dep. 2023, Rv. 283984 – 01; conf., Sez. 6, n. 53185 del 29/11/2016, Sonnante, Rv. 269499 – 01).
In conclusione, il provvedimento impugnato non ha determinato una stasi insuperabile del procedimento penale, potendo il pubblico ministero richiedere nuovamente l’archiviazione, nel rispetto delle forme previste, dando nuovamente impulso alle attività processuali, senza che per ciò stesso il PM compia un atto nullo.
Né incide su tale prospettazione la indicazione della necessità dettata dall’art. 107-bis disp. att. c.p.p. (“Le denunce a carico di ignoti sono trasmesse all’ufficio di procura competente da parte degli organi di polizia, unitamente agli eventuali atti di indagine svolti per la identificazione degli autori del reato, con elenchi mensili”) e dal comma 4 dell’art. 415 c.p.p., che i provvedimenti di archiviazione relativi a cd. “ignoti seriali” siano pronunciati cumulativamente (infatti: “Nell’ipotesi di cui all’articolo 107-bis delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie, la richiesta di archiviazione ed il decreto del giudice che accoglie la richiesta sono pronunciati cumulativamente con riferimento agli elenchi trasmessi dagli organi di polizia con l’eventuale indicazione delle denunce che il pubblico ministero o il giudice intendono escludere, rispettivamente dalla richiesta o dal decreto”). Invero, non è in discussione che la richiesta cumulativa sia la modalità legale in caso di procedimenti contro ignoti; all’attenzione è se, in forza della restituzione degli atti, sia precluso al P.M. reiterare la medesima richiesta. Ciò va sicuramente escluso. Si tratta, allora, di considerare – nella particolare prospettiva
che qui si perlustra, ovvero quello della abnormità funzionale – se la presentazione di una nuova richiesta che, per essere conforme al modello legale – intervenga quando il sistema informatico lo consenta ma sia – eventualmente – ormai tardiva rispetto al termine previsto per la chiusura delle indagini preliminari concreti o meno un atto nullo.
Orbene, anche questo va escluso poiché è pacifico che la richiesta tardiva non determina alcuna nullità della stessa ma nemmeno di quelle eventualmente proposte successivamente. Nel sistema processuale, il termine di chiusura delle indagini preliminari ha la funzione di fornire un sicuro limite temporale alle attività di indagine utilmente esperibili, ma non preclude al giudice per le indagini preliminari di indicare al P.M. le ulteriori indagini da compiere (Sez. 6, n. 20742 del 27/03/2012, Corea, Rv. 252782 – 01), né al P.M. di reiterarla, in caso di rigetto da parte del giudice (provvedimento, lo si ricorda, non impugnabile: cfr., tra le altre, Sez. 3, n. 41612 del 29/05/2019, COGNOME, Rv. 277051 – 01).
Dalle considerazioni fin qui svolte discende che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, senza le ulteriori statuizioni di cui all’art. 616 cod. proc. pen., non essendo stato proposto dalla parte privata.
P .Q. M .
Dichiara inammissibile il ricorso.
Deciso il 5 novembre 2024
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