Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 25426 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 25426 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PARMA il 24/08/1970
avverso l’ordinanza del 20/02/2025 del TRIBUNALE di Parma
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Letta la requisitoria scritta del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Letta la memoria del l’ avv. NOME COGNOME difensore di NOME COGNOME il quale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorsoo il rigetto dello stesso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Parma ha rigettato il reclamo presentato da COGNOME NOMECOGNOME per il tramite del suo difensore, avverso l’ordinanza di archiviazione del Giudice per le indagini preliminari di Parma, del 4 novembre 2024, respingendo il rilievo della reclamante secondo cui l’archiviazione sarebbe stata pronunciata in violazione del principio del contraddittorio e del suo diritto di difesa, rilevan do l’insussistenza di vizi riconducibili all’art. 127 comma 5, cod.proc.pen., unici suscettibili di essere posti a fondamento di una dichiarazione di nullità dell’ordinanza di archiviazione ai sensi dell’art.410 bis, comma 2, cod.proc.pen.
Cortesi NOME ha proposto ricorso per Cassazione, con atto a firma del suo difensore, denunciando l’abnormità del provvedimento in quanto pronunciato senza l’audizione della medesima che, in qualità di persona offesa, ne aveva fatto regolare richiesta e pertanto in violazione dell’art. 127, commi 3 e 5, cod. proc. pen. con conseguente nullità della ordinanza di archiviazione emessa, essendo la previsione di cui all’art. 127 n. 3 cod. proc. pen. prescritta, a pena di nullità, a garanzia del diritto della parte offesa a dare il proprio contributo al procedimento. Si duole, altresì, che il verbale dell’udienza del 30 ottobre 2024 redatto in camera di consiglio sia stato redatto in forma riassuntiva
3.Il Procuratore generale con requisitoria scritta ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Il difensore d ell’imputato NOME Francesco ha depositato memoria con la quale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso deducendo che NOME COGNOME non avrebbe rivestito la qualità di persona offesa nell’ambito del procedimento originariamente iscri tto a carico di NOME NOME e l’insussistenza di elementi per potere configurare come abnorme l’atto impugnato .
CONSIDERATO IN DIRITTO
IL ricorso è inammissibile.
1.È manifestamente infondata la doglianza prospettata dalla difesa, a fondamento del ricorso, incentrata sulla configurabilità come atto abnorme dell’ordinanza di rigetto del reclamo proposto dalla persona offesa, odierna ricorrente, avverso l’ordinanza di archiviazione emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Parma, in data 4 novembre 2024.
1.1. La categoria dogmatica dell’abnormità, di creazione giurisprudenziale e consolidatasi sul diverso terreno dei rapporti fra giudice delle indagini preliminari e pubblico ministero, è nata per l’esigenza di porre rimedio a comportam enti procedimentali dell’organo giudicante, da cui derivino atti non altrimenti impugnabili, ma espressivi, in concreto, di uno sviamento della funzione giurisdizionale, non più rispondente al modello previsto dalla legge. Sull’elaborazione del tema le Sezioni Unite sono intervenute a più riprese e una completa summa delle conclusioni adottate si rinviene nella recente sentenza COGNOME delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 10728 del 16/12/2021, dep. 2022, Rv. 2828079, che richiama Sez. U, n. 40984 del 22/03/2018, COGNOME, Rv. 273581; Sez. U, n. 20569 del 18/01/2018, COGNOME, Rv. 272715; Sez. U, n. 21243 del 25/03/2010, COGNOME, Rv. 246910; Sez. U, n. 25957 del 26/03/2009, COGNOME, Rv.
243590; Sez. U, n. 5307 del 20/12/2007, dep. 2008, COGNOME, Rv. 238240-01; Sez. U, n. 22909 del 31/05/2005, COGNOME, Rv. 231163-01; Sez. U, n. 19289 del 25/02/2004, COGNOME, Rv. 227356; Sez. U, n. 28807 del 29/05/2002, Manca, Rv. 221999; Sez. U, n. 34536 del 11/07/2001, COGNOME, Rv. 219598; Sez. U, n. 4 del 31/01/2001, COGNOME, Rv. 217760; Sez. U, n. 33 del 22/11/2000, COGNOME, Rv. 217244; Sez. U, n. 26 del 24/11/1999, COGNOME, Rv. 215094; Sez. U, n. 17 del 10/12/1997, dep. 1998, COGNOME, Rv. 209603; Sez. U, n. 11 del 09/07/1997, COGNOME, Rv. 208221).
La nozione era stata precisata dalle Sez. U, n. 25957 del 2009, Toni, secondo cui l’abnormità, più che rappresentare un vizio dell’atto in sé, da cui scaturiscono determinate patologie sul piano della dinamica processuale, integra – sempre e comunque – uno «sviamento della funzione giurisdizionale», la quale non risponde più al modello previsto dalla legge, ma si colloca al di là del perimetro entro il quale è riconosciuta dall’ordinamento. In questa prospettiva è stato affermato che « (…) abnormità strutturale e funzionale si saldano all’interno di un “fenomeno” unitario. Se all’autorità giudiziaria può riconoscersi l'”attribuzione” circa l’adottabilità di un determinato provvedimento, i relativi, eventuali vizi saranno solo quelli previsti dalla legge, a prescindere dal fatto che da essi derivino effetti regressivi del processo. Ove, invece, sia proprio l'”attribuzione” a far difetto – e con essa, quindi, il legittimo esercizio della funzione giurisdizionale – la conseguenza non potrà essere altra che quella dell’abnormità, cui consegue l’esigenza di rimozione» (Sez. U, n. 25957 del 26/03/2009, Rv. 243590 -01).
La più recente Sez. U, n. 20569 del 2018, COGNOME, ha dato seguito a tale linea interpretativa, sottolineando il carattere di eccezionalità della categoria dell’abnormità e la sua funzione derogatoria rispetto al principio di tassatività dei mezzi d’impugnazione, sancito dall’art. 568 cod. proc. pen., mantenuto inalterato nel suo testo anche dopo la riforma introdotta con la legge 23 giugno 2017, n. 103, e rispetto al numero chiuso delle nullità deducibili secondo la previsione dell’art. 177 cod. proc. pen.: dunque, una categoria concettuale «riferibile alle sole situazioni in cui l’ordinamento non appresti altri rimedi idonei per rimuovere il provvedimento giudiziale, che sia frutto di sviamento di potere e fonte di un pregiudizio altrimenti insanabile per le situazioni soggettive delle parti». È stato, inoltre, precisato che la violazione sussistente non travalica nell’abnormità «se l’atto non sia totalmente avulso dal sistema processuale e non determini una stasi irrimediabile del procedimento», onde va escluso che possa invocarsi la categoria dell’abnormità per giustificare la ricorribilità immediata per cassazione di atti illegittimi, affetti soltanto da nullità, «perché tanto si tradurrebbe nella non consentita elusione del regime di tassatività dei casi di impugnazione e dei
mezzi esperibili, stabilito dall’art. 568, comma 1, cod. proc. pen.»( Sez. U, n. 20569 del 18/01/2018, COGNOME, Rv. 272715).
Secondo tale orientamento, pertanto, non può ritenersi abnorme l’atto semplicemente erroneo (in quanto frutto di valutazioni in fatto e in diritto non condivisibili) quando la decisione sottostante risulti espressione di un potere conferito all’organo giudicante dalla legge, se non nel caso in cui la copertura del modello legale risulti solo apparente.
2.Nella fattispecie in esame deve escludersi che l’atto impugnato sia annoverabile fra gli atti abnormi. Invero, deve essere certamente esclusa l’ipotesi dell’abnormità strutturale trattandosi di provvedimento (ordinanza in sede di reclamo avverso ordinanza di archiviazione) espressamente previsto e disciplinato dal codice di procedura penale.
Non è configurabile, inoltre, un profilo di abnormità funzionale in quanto il provvedimento impugnato non determina alcuna indebita regressione del procedimento e non può determinare una stasi irrevocabile essendo per sua natura l’indagine preliminare sottoposta a riapertura con l’espresso procedimento di cui all’art. 414 cod.proc.pen. ( S ez. 2, n. 28583 del 02/07/2024, Rv. 286726 -01). Proprio in ragione della limitata efficacia di accertamento del provvedimento di archiviazione, la persona offesa non solo può sollecitare una riapertura delle indagini anche sulla base di investigazioni difensive, ma, nonostante la decisione di non esercizio dell’azione penale, conserva «l’intatta facoltà di esercitare i propri diritti d’azione e difesa, ampiamente e senza preclusione alcuna, nella sede (civile) propria» (Sez. 1, n. 9440 del 03/02/2010, COGNOME, Rv. 246779; Sez. 4, n. 50067 del 10/10/2017, COGNOME, Rv. 271351, in motivazione).
3.Deve, altresì, rilevarsi che, in questa sede, la doglianza difensiva non si confronta con la motivazione del provvedimento impugnato, -che impugna sostanzialmente riproponendo le medesime censure mosse all’ordinanza di archiviazione, non tenendo delle ragioni addotte dal Tribunale relativamente alla doglianza già espressa. In particolare, nel provvedimento impugnato è stato dato atto che l’odierna ricorrente, all’udienza del 30 ottobre 2024 – in qualità di persona offesa in relazione ad uno dei procedimenti riuniti contrassegnato dal n. 1088/2023- è stata ‘presente personalmente’ oltre che rappresentata dall’avv. NOME COGNOME il quale ha avuto modo ‘di esporre le proprie ragioni a sostegno della legittimazione della reclamante’ . È stato, pertanto, sotto tale profilo esclusa la configurabilità di alcuna violazione del principio del contraddittorio ovvero di vizi riconducibili all ‘ art. 127, commi 1, 3 e
4, cod. proc.pen. assistite dalla previsione di nullità, ai sensi del comma 5 del medesimo articolo di legge.
Dalla lettura del verbale di udienzafissata in ragione dell’opposizione proposta alla richiesta di archiviazione del pubblico ministero- non risulta, inoltre, che l’odierna reclamante abbia chiesto di essere sentita personalmente e, sul punto, l’omessa indicazione non può essere surrogata dalla produzione di una dichiarazione a firma di una praticante.
Secondo il costante e assolutamente orientamento della giurisprudenza di legittimità, nel procedimento penale il verbale d’udienza fa piena prova fino a querela di falso di quanto in esso attestato, trattandosi di atto pubblico redatto da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle proprie funzioni, il cui regime di efficacia è disciplinato dall’art. 2700 cod. civ. (Sez. 4, n. 5627 del 24/01/2023, Testa, Rv. 284098 – 01; Sez. 1, n. 1553 del 19/11/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274796 – 01; Sez. 3, n. 13117 del 27/01/2011, A., Rv. 249918 – 01; Sez. 1, n. 20993 del 01/04/2004, Ivone, Rv. 228196 – 01; Sez. 3, n. 9975 del 28/0112003, Adamo, Rv. 223819 – 01; Sez. 3, n. 7785 del 1996, Rv. 20605601). Alla luce del valore privilegiato rivestito dal verbale di udienza, ed in mancanza di querela di falso proposta avverso il medesimo, deve ritenersi che sia rimasta indimostrata la circostanza posta a fondamento dell’impugnazione relativa alla mancata verbalizzazione della richiesta della Cortesi NOME di essere sentita personalmente.
4.In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così è deciso, 03/06/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME