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Atto abnorme: quando un decreto è inammissibile?

Un imputato ha impugnato per cassazione un decreto di rinvio a giudizio, sostenendo che fosse un atto abnorme perché emesso in due momenti diversi per correggerne una mancanza iniziale. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, specificando che il decreto di rinvio a giudizio non è di per sé impugnabile e che, nel caso specifico, non sussisteva alcuna abnormità, né strutturale né funzionale, in quanto l’atto non ha causato una paralisi del procedimento.

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Pubblicato il 30 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Atto abnorme: la Cassazione chiarisce i limiti del ricorso

Nel complesso panorama della procedura penale, il concetto di atto abnorme rappresenta un’eccezione che consente l’impugnazione immediata di provvedimenti altrimenti non contestabili. Ma quali sono i confini esatti di questa nozione? Una recente sentenza della Corte di Cassazione fa luce sulla questione, analizzando il caso di un decreto di rinvio a giudizio emesso in due fasi. Vediamo nel dettaglio come la Suprema Corte ha affrontato e risolto il dilemma.

I fatti del caso: un decreto di rinvio a giudizio in due tempi

La vicenda processuale ha origine da un’imputazione per tentato omicidio, aggravato dal metodo mafioso. Al termine dell’udienza preliminare, svoltasi il 12 luglio, il Giudice disponeva il rinvio a giudizio dell’imputato. Tuttavia, il decreto emesso in quella sede era incompleto: mancava l’indicazione precisa del Collegio giudicante e, soprattutto, della data fissata per la prima udienza dibattimentale.

Per ovviare a questa mancanza, il giorno 18 luglio, il medesimo Giudice emetteva un secondo decreto, questa volta completo di tutti gli elementi necessari per la vocatio in iudicium. Questo secondo atto, però, veniva emesso al di fuori dell’udienza e senza la presenza delle parti. La difesa dell’imputato ha quindi deciso di ricorrere per cassazione, sostenendo che il secondo decreto costituisse un atto abnorme a causa della sua ‘formazione progressiva’, avvenuta dopo che il Giudice aveva, a suo dire, esaurito il proprio potere decisionale con il primo provvedimento.

La decisione della Cassazione sull’atto abnorme

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo su tutta la linea la tesi difensiva. In primo luogo, i giudici hanno ribadito un principio fondamentale: il decreto che dispone il giudizio non è un provvedimento impugnabile. La sua funzione è meramente processuale, servendo a traghettare il procedimento dalla fase delle indagini a quella del giudizio vero e proprio, senza avere natura decisoria.

In secondo luogo, e questo è il cuore della sentenza, la Corte ha escluso che il provvedimento impugnato potesse essere qualificato come un atto abnorme. Per farlo, ha richiamato la consolidata giurisprudenza delle Sezioni Unite, che distingue due tipi di abnormità.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano sulla distinzione tra abnormità strutturale e funzionale.

1. Abnormità strutturale: si verifica quando l’atto, per la sua singolarità, si pone completamente al di fuori del sistema processuale. Nel caso di specie, il decreto di rinvio a giudizio è un atto tipico, che il giudice ha il pieno potere di emettere. La sua integrazione successiva non lo rende un atto ‘estraneo’ al sistema.

2. Abnormità funzionale: si manifesta quando un atto, pur essendo formalmente previsto dalla legge, provoca una stasi del processo, rendendone impossibile la prosecuzione. Anche sotto questo profilo, la Corte non ha ravvisato alcuna abnormità. Al contrario, il secondo decreto ha permesso al processo di proseguire regolarmente, fissando l’udienza e consentendo lo svolgimento del dibattimento. Lungi dal causare una paralisi, l’atto ha garantito l’avanzamento del procedimento.

La Corte ha inoltre sottolineato che non vi è stata alcuna violazione del diritto di difesa, in quanto il decreto integrativo è stato regolarmente notificato a tutte le parti, le quali sono state messe in condizione di conoscere la data del processo. Pertanto, la modalità di ‘formazione progressiva’ non ha generato alcun vizio tale da giustificare un ricorso per abnormità.

Le conclusioni

La sentenza consolida un importante principio di diritto processuale: la correzione o l’integrazione di un decreto di rinvio a giudizio, anche se effettuata con un atto successivo e fuori udienza, non costituisce un atto abnorme se non determina una paralisi del procedimento e non lede concretamente i diritti di difesa. L’impugnazione per abnormità resta uno strumento eccezionale, da utilizzare solo in presenza di vizi radicali che minano la struttura stessa del processo o ne impediscono il fisiologico svolgimento, e non per mere irregolarità procedurali che possono essere sanate o che non producono un pregiudizio effettivo.

È possibile impugnare direttamente un decreto di rinvio a giudizio?
No, la sentenza chiarisce che il decreto che dispone il rinvio a giudizio non è un provvedimento autonomamente impugnabile, poiché la sua funzione è semplicemente quella di determinare il passaggio del procedimento alla fase dibattimentale.

Quando un atto del giudice può essere considerato un ‘atto abnorme’?
Secondo la Corte, un atto è abnorme solo in due casi: quando si colloca completamente al di fuori del sistema processuale per la sua singolarità (abnormità strutturale) o quando, pur essendo previsto dalla legge, provoca una stasi insuperabile del processo (abnormità funzionale).

La correzione di un decreto di rinvio a giudizio dopo l’udienza costituisce un atto abnorme?
No. La Cassazione ha stabilito che l’emissione di un secondo decreto per completare elementi mancanti nel primo (come la data dell’udienza) non è un atto abnorme, a condizione che non causi una paralisi del procedimento e venga regolarmente notificato alle parti, senza ledere il diritto di difesa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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