Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 29552 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 29552 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: RAGIONE_SOCIALE nel procedimento a carico di COGNOME nato il 11/10/1940 a PIGLIO avverso l ‘ordinanza in data 28/02/2025 della CORTE DI APPELLO DI NA-
COGNOME;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
letta la nota dell’Avvocato COGNOME che, nell’interesse della società RAGIONE_SOCIALE ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
RAGIONE_SOCIALE per il tramite del proprio procuratore speciale, impugna l’ordinanza in data 28/02/2025 della Corte di appello di Roma, che, ai sensi dell’art. 573, comma 1 -bis , cod. proc. pen., ha disposto la riassunzione dinanzi alle sezioni civili della stessa Corte di appello del l’ impugnazione presentata
ai soli effetti civili avverso la sentenza di assoluzione pronunciata dal Tribunale di Frosinone.
Deduce:
Violazione dell’art. 573, comma 1bis . cod. proc. pen..
La società ricorrente premette che ha impugnato davanti alla Corte di appello, ai soli effetti civili, la sentenza del Tribunale di Frosinone che aveva assolto COGNOME NOME dal reato di insolvenza fraudolenta.
Osserva, dunque, che la Corte di appello, ritenendo che l’impugnazione non fosse inammissibile e avendo rilevato che la stessa riguardava le sole statuizioni civili, rimetteva le parti dinanzi alle sezioni civili, disponendo che il processo venisse riassunto in quella sede a cura delle parti.
Secondo la ricorrente, l’errore in cui è incorsa la Corte di appello va individuato nel l’avere disposto l’incombente della riassunzione a carico delle parti, mentre l ‘art. 573, comma 1 -bis, cod. proc. pen., secondo l’interpretazione data ne dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 38481/2023, prevede una mera prosecuzione, senza soluzione di continuità, davanti alle sezioni civili, dinanzi alle quali le parti devono essere rinviate senza la necessità di porre ulteriori attività, a loro iniziativa, strumentali alla ripresa del giudizio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso si rivolge all’esatta applicazione dell’art. 573, comma 1 -bis , cod. proc. pen.., rispetto alla quale non vengono proposte questioni di diritto intertemporale, visto che la costituzione di parte civile è stata indicata dalla stessa ricorrente come avvenuta in data 10/02/2023 e, dunque, in data successiva al 30/12/2022, quando entrava in vigore la norma in esame.
1.1. Il ricorso si duole delle modalità indicate dalla Corte di appello per la prosecuzione del giudizio davanti alle sezioni civili della stessa Corte di appello, presso le quali ha rimesso le parti , ai sensi dell’art. 573, comma 1 -bis cod. proc. pen…
Secondo la società ricorrente, la Corte di appello non doveva gravare le parti dell’onere di riassumere il giudizio davanti alle sezioni civili, atteso che la norma dispone la mera prosecuzione, una mera traslazione dal giudizio dal settore penale al settore civile, senza la necessità di ulteriori incombenti a carico delle parti.
Così sintetizzata la questione sollevata, va preliminarmente osservato che il sistema non prevede alcun mezzo di impugnazione avverso l’ordinanza pronunciata ai sensi dell’art. 573, comma 1 -bis , cod. proc. pen., così che, in ragione del principio di tassatività dei mezzi d’impugnazione sancito dall’art. 177 cod. proc.
pen., deve rilevarsi la generale inoppugnabilità di tale provvedimento per violazione di legge.
3. Una volta esclusa l’autonoma impugnabilità dell’ordinanza pronunciata ai sensi dell’art. 573, comma 1 -bis , cod. proc. pen., occorre valutare se l’ordinanza oggi impugnata sia affetta dal vizio di abnormità, per cui è consentito il ricorso per cassazione.
Tale verifica deve necessariamente muovere dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 38481 del 25/05/2023 (D., Rv. 285036 -01) che, nel risolvere il contrasto sorto quanto al regime temporale di applicazione della norma, ha chiarito il significato da attribuire alla disposizione normativa, ponendo in evidenza la mutata struttura della costituzione di parte civile e le conseguenze che ne sono derivate in punto di rapporto tra l’azione civile introdotta in sede penale e la sua prosecuzione in sede civile, quando l’impugnazione a fini civili non sia inammissibile.
In detta sentenza è stato osservato che la riforma attuata con il decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 ha introdotto un rilevante mutamento sistemico nella disciplina delle impugnazioni proposte dalla parte civile per i soli interessi civili nel processo penale, ridefinendone struttura, funzioni e sviluppo processuale.
In particolare, con l’introduzione del nuovo art. 573, comma 1 -bis , cod. proc. pen ., il legislatore ha previsto che, quando l’impugnazione riguarda esclusivamente profili civili, il giudice dell’impugnazione penale -verificata la non inammissibilità del ricorso -dispone il rinvio del processo al giudice o alla sezione civile competente, che prosegue il giudizio e decide sulla domanda risarcitoria.
Tale disciplina segna un mutamento rispetto al sistema precedente, in cui l’impugnazione per soli interessi civili restava nella competenza del giudice penale.
La nuova normativa determina, invece, un passaggio della competenza al giudice civile, che tuttavia non comporta la nascita di un nuovo processo, bensì costituisce una prosecuzione, senza soluzione di continuità, del giudizio già incardinato in sede penale.
L’uso del termine ‘rinvio’ -precisano le Sezioni Unite- va inteso in senso funzionale e non tecnico: non si apre un nuovo giudizio, ma si prosegue il medesimo, con continuità procedurale e probatoria.
In questo nuovo assetto, assume rilievo centrale la modifica dell’art. 78, comma 1, lett. d), cod. proc. pen ., che ora richiede che l’atto di costituzione di parte civile contenga una specifica esposizione delle ragioni ‘agli effetti civili’.
Non è più sufficiente, quindi, il mero riferimento al capo di imputazione o al fattoreato: la parte civile deve fin dall’origine strutturare la domanda secondo gli stilemi propri del processo civile, esponendo in modo chiaro il fatto costitutivo del danno; il nesso causale secondo il criterio civilistico del ‘più probabile che non’; la qualificazione giuridica della responsabilità; la quantificazione del danno risarcibile.
Tale impostazione consente, nel momento in cui venga disposto il rinvio, l ‘ immediata e automatica traslazione del fascicolo in sede civile, senza necessità di alcuna iniziativa o attività delle parti, né della parte civile, né dell’imputato o del suo difensore.
In particolare, a differenza della disciplina dell’art. 622 c od. proc. pen. (che impone la riassunzione del giudizio a seguito di annullamento della sentenza), il nuovo art. 573, comma 1bis , cod. proc. pen. non prevede alcuna forma di riassunzione, in quanto la prosecuzione del giudizio in sede civile avviene d’ufficio, a cura del giudice penale, e non impone alla parte civile né la riformulazione della domanda, né ulteriori adempimenti.
Proprio per tale ragione l’atto di costituzione deve avere sin dall’origine un contenuto idoneo anche alla sede civile, secondo il modello dell’art. 163 c od. proc. civ..
Alla luce dei chiarimenti offerti dalle Sezioni Unite, si può quindi affermare che, a fronte di un’impugnazione ai soli effetti civili, i l giudice penale effettua solo un vaglio preliminare di non inammissibilità e ove l’appello o il ricorso siano non inammissibili, il giudizio prosegue davanti al giudice civile, senza soluzione di continuità e senza che sia necessaria nessuna iniziativa delle parti, in coerenza con le finalità della riforma, ossia il dichiarato obiettivo di velocizzare i procedimenti e di ‘riportare’ le domande risarcitorie nella loro naturale sede, davanti al giudice civile.
Ne discende che le osservazioni esibite dalla società ricorrente sono -in effetti- corrette, in quanto la Corte di appello di Roma, una volta verificata la non inammissibilità dell’impugnazione , avrebbe dovuto disporre la trasmissione degli atti davanti alla sezione civile, per la prosecuzione del giudizio in quella sede, mentre non avrebbe dovuto condizionare questa traslazione al compimento di un atto di riassunzione a carico delle parti.
Rimane da stabilire se tale ordinanza sia stata emessa in violazione di legge (con la conseguente inammissibilità del ricorso in esame, attesa la già evidenziata inoppugnabilità dell’ordinanza pronunciata ai sensi dell’art. 573, comma 1bis , cod. proc. pen.), ovvero si sostanzi in un atto abnorme, ricorribile per cassazione.
5.1. Il tema dell’abnormità dei provvedimenti ha formato oggetto di numerose pronunce delle Sezioni Unite, che hanno elaborato una nozione di atto abnorme, che è stata progressivamente affinata. Dalla considerazione che il provvedimento può definirsi abnorme quando, per la singolarità e stranezza del suo contenuto, risulti avulso dall’intero ordinamento processuale si è pervenuti all’elaborazione di articolati principi. Si è infatti affermato che si considera abnorme non solo il provvedimento che, per la sua singolarità, non sia inquadrabile nell’ambito
dell’ordinamento processuale, ma anche quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite. Si è precisato che l’abnormità dell’atto processuale può riguardare tanto il profilo strutturale, allorché, per la sua singolarità, si ponga fuori dal sistema organico della legge processuale, quanto il profilo funzionale, quando, pur non estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e la impossibilità di proseguirlo.
In particolare, le Sez. U. Toni del 2009 hanno sottolineato come l’abnormità si traduca in uno sviamento della funzione giurisdizionale, che si colloca al di là del perimetro entro il quale è riconosciuta dall’ordinamento, tanto nel caso di atto strutturalmente eccentrico, quanto nell’ipotesi di atto normativamente disciplinato ma utilizzato al di fuori dell’area che ne individua la funzione e la ragion d’essere, essendo rilevante ai fini dell’abnormità dell’atto l’esistenza o meno del potere di adottarlo.
L’abnormità funzionale è stata individuata nelle ipotesi in cui il provvedimento provochi una stasi del processo e di impossibilità di proseguirlo, vale a dire nel caso in cui il provvedimento giudiziario imponga un adempimento che concretizzi un atto nullo rilevabile nel corso futuro del procedimento o del processo.
L’abnormità strutturale è stata individuata nel caso di esercizio da parte del giudice di un potere non attribuitogli dall’ordinamento processuale (carenza di potere in astratto) ovvero di deviazione del provvedimento giudiziale rispetto allo scopo di modello legale, nel senso di esercizio di un potere previsto dall’ordinamento, ma in una situazione processuale radicalmente diversa da quella configurata dalla legge (carenza di potere in concreto).
Proprio in relazione a tale ultima figura, nella medesima pronuncia, le Sezioni Unite hanno altresì affermato che, se l’atto del giudice è espressione di un potere riconosciutogli dall’ordinamento, si è in presenza di un regresso “consentito”, anche se i presupposti che ne legittimano l’emanazione siano stati ritenuti sussistenti in modo errato. Non importa che il potere sia stato male esercitato, giacché in tal caso esso sfocia in atto illegittimo, ma non in un atto abnorme. Ne discende che la regressione, sia pure indebita, di per sé non costituisce motivo di abnormità dell’atto.
Ciò che rileva, al fine di qualificare un atto “abnorme”, risulta essere, in primo luogo, il confronto tra l’atto posto in essere dal giudice e il modello legale di riferimento, nel senso che nel caso in cui l’atto sia astrattamente espressivo di un potere conferito dalla legge, pur se erroneamente applicato, non può essere l’atto stesso qualificato abnorme; tale figura ricorre, invece, quando la copertura del modello legale risulti, in realtà, solo apparente, essendosi esercitato un potere previsto dall’or dinamento, ma in una situazione processuale radicalmente diversa da quella configurata dalla legge e cioè completamente al di fuori dei casi
consentiti, perché al di là di ogni ragionevole limite (in questo senso cfr. Sez. 5, n. 15691 del 04/05/2020, COGNOME, in motivazione).
5.2. Tale fenomeno dell’abnormità per carenza di potere in concreto si è concretizzato con l ‘ordinanza impugnata che si appalesa del tutto avulsa rispetto all’assetto normativo sopra descritto e alle finalità che con esso il legislatore della riforma ha inteso perseguire.
L’ordinanza c he impone alle parti di provvedere alla riassunzione del giudizio davanti al giudice civile si pone in radicale distonia rispetto all’impianto sistematico delineato dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, il quale, nel ridefinire il sistema delle impugnazioni civili, ha inteso affermare la natura unitaria e progressiva del processo d’impugnazione .
La Corte di appello, subordinando la traslazione del giudizio davanti al giudice civile al compimento di un’attività a carico delle parti non previsto dalla legge, ha determinato una cesura tra il giudizio introdotto in sede penale e la sua prosecuzione in sede civile, così aggiungendo un momento processuale estraneo alla sequenza normativamente regolata , che prevede un trasferimento d’ufficio del giudizio dalla sede penale alla sede civile, senza alcuna soluzione di continuità.
In tal modo, la Corte d’Appello ha disatteso non solo il dato letterale delle disposizioni vigenti, ma anche la loro coerente interpretazione sistematica, alterando l’ordine delle fasi processuali e ponendosi in contrasto strutturale con i principi di speditezza, economia e ragionevole durata del processo sottesi alla riforma introdotta dal già più volte menzionato decreto legislativo.
Per tali ragioni, l’ordinanza in esame si configura come abnorme, perché adottata in carenza dei presupposti logico-giuridici che legittimano l’esercizio del potere giurisdizionale in quella forma, così collocandosi al di fuori dell’ordinamento processuale vigente, per contrasto alla sua struttura logica e teleologica.
Da qui il suo annullamento senza rinvio, con conseguente trasmissione degli atti alle sezioni civili della Corte di appello di Roma, per la prosecuzione del giudizio.