Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 10079 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 10079 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME nata a Benevento il 23/09/1998 nel procedimento a carico di
Scarpa NOME nato a Napoli il 29/12/1971
avverso l’ordinanza emessa il 15 maggio 2024 dal Tribunale di Benevento visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; lette le richieste del difensore dell’imputato, Avv. NOME COGNOME che ha concluso
per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME ricorre per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale di Benevento che, nell’udienza predibattimentale relativa al procedimento a carico di NOME COGNOME per il reato di cui all’art. 348 cod. pen., non ha ammesso la costituzione di parte civile della ricorrente in ragione del pregresso esercizio dell’azione risarcitoria in sede civile.
1.1. Con un unico motivo di ricorso deduce l’abnormità funzionale del provvedimento impugnato in quanto, pur non determinando la stasi del processo, è stato adottato dal Giudice senza che ricorresse alcuna causa ostativa alla costituzione di parte civile, potendo il danneggiato del reato, ai sensi dell’art. 75, comma 1, cod. proc. pen., trasferire l’azione civile in sede penale fino a quando non sia stata pronunciata la relativa sentenza di merito anche non passata in giudicato.
Il Procuratore Generale, nel concludere per l’inammissibilità del ricorso, ha rilevato che non è possibile esercitare contemporaneamente l’azione civile sia in sede civile che penale e che l’art. 75 cod. proc. pen. richiede il formale trasferimento dell causa civile nel processo penale.
Il difensore dell’imputato ha depositato una memoria in cui, nel concludere per l’inammissibilità del ricorso, ha rilevato che l’ordinanza non è impugnabile e che, in difetto di una specifica disciplina per l’udienza predibattimentale, può trovare applicazione l’art. 80, comma 5, cod. proc. pen., cosicché la parte danneggiata può reiterare la richiesta di costituzione dinanzi al giudice del dibattimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile in quanto, per le ragioni che saranno di seguito esposte, l’ordinanza impugnata non può considerarsi quale atto abnorme ricorribile per cassazione.
Giova, al riguardo, rammentare che la categoria dell’abnormità dell’atto è stata individuata dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte con riferimento alle ipotesi in cui si realizza uno sviamento della funzione giurisdizionale con l’adozione di provvedimenti strutturalmente o funzionalmente estranei all’ordinamento, cui consegue una situazione di stallo processuale non emendabile
attraverso i rimedi impugnatori in quanto non espressamente previsti dalla legge (cfr. Sez. U, n. 42603 del 13/07/2023, El Karti, Rv. 285213 – 02; Sez. U, n. 37502 del 28/04/2022, COGNOME, Rv. 283552 – 01 Sez. U, n. 20569 del 18/01/2018, COGNOME, Rv. 272715; Sez. U, n. 25957 del 26/03/2009, Toni, Rv. 243590; Sez. U. n. 5307 del 20/12/2007, dep. 2008, COGNOME, Rv. 238240; Sez. U., n. 26 del 24/11/1999, dep. 2000, COGNOME, Rv. 215094; Sez. U. n. 17 del 10/12/1997, dep. 1998, COGNOME, Rv. 209603).
In particolare, si è affermato che l’abnormità può discendere da ragioni di struttura, allorché l’atto, per la sua singolarità, si ponga al di fuori del sist organico della legge processuale (carenza di potere in astratto), ovvero può riguardare l’aspetto funzionale, quando esso, pur non estraneo al sistema normativo, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di là d ragionevole limite, determinando la stasi del processo e l’impossibilità di proseguirlo (carenza di potere in concreto).
In questi casi, dunque, la mancata previsione normativa dell’impugnabilità del provvedimento dipende dalla sua imprevedibile estraneità a qualsiasi categoria processuale ed il riconoscimento della ricorribilità per cassazione ha lo scopo specifico di superare una situazione di stallo altrimenti non rimediabile.
A tale riguardo, le Sezioni Unite, con la citata sentenza n. 37502 del 2022, COGNOME, hanno chiarito che la mancata definizione dell’abnormità all’interno del codice di rito è correlata ad una precisa scelta del legislatore, desumibile anche dalla «Relazione al progetto preliminare del nuovo codice di procedura penale», in cui si dà atto della rinuncia a prevedere espressamente l’impugnazione dei provvedimenti abnormi, «attesa la rilevante difficoltà di una possibile tipizzazione e la necessità d lasciare sempre alla giurisprudenza di rilevarne l’esistenza e di fissarne le caratteristiche ai fini dell’impugnabilità». Si è, pertanto, affermato che la necessit di introdurre tale categoria si correla all’esigenza di assicurare la legalità di o sequenza procedinnentale e di scongiurare il rischio di anomalie imprevedibilmente insorte e non riconducibili ad altra specie di patologia, tali nondimeno da alterare lo sviluppo del procedimento e da arrecare pregiudizio alle prerogative riconosciute alle parti: di qui l’ammissibilità in questi casi, in deroga al principio della tipicità dei di impugnazione, del ricorso per cassazione, al fine di eliminare quegli atti, ove il vizio non sia riconducibile alle categorie della nullità o dell’inutilizzabilità e no previsto altro mezzo di impugnazione.
In tale consolidato solco ermeneutico si è, comunque, rimarcata la necessità di un inquadramento rigoroso della categoria dell’abnormità, che ha caratteri di
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eccezionalità, traducendosi in una deroga al principio di tassatività delle nullità e dei mezzi di impugnazione, e si è escluso che la nozione possa essere riferita a situazioni di mera illegittimità, considerate altrimenti non inquadrabili e non rimediabili.
In particolare, le Sezioni Unite, con la sentenza n. 42603 del 13/07/2023, El COGNOME, hanno ulteriormente specificato i termini della categoria dell’abnormità funzionale, chiarendo che la stessa non è autonoma da quella dell’abnormità strutturale, ma indica, piuttosto, le ipotesi in cui la carenza di potere consegue, non all’assenza di una astratta previsione normativa, ma alla valutazione delle conseguenze sul piano processuale dell’emissione dell’atto abnorme. Si è, infatti, affermato che, di fronte a un provvedimento che causa la stasi processuale, se non si è in grado di individuare le specifiche ragioni normative di un difetto di potere occorre, comunque, verificare, prima di concludere per la sua abnormità, se il sistema accordi o meno altri rimedi per correggere o superare gli effetti dell’atto.
In altre parole, si richiede di verificare se le conseguenze che derivano da tale atto sono o meno irreparabili.
Ad avviso del Supremo Consesso, infatti, se è possibile individuare rimedi alternativi, l’atto non può considerarsi affetto da abnormità funzionale in quanto la previsione di siffatti rimedi significa che l’ordinamento, pur non regolando la modalità espressiva del potere il cui esercizio ha dato luogo alla stasi, non la disconosce, tanto da avere in sé gli strumenti per fronteggiarla.
L’abnormità funzionale sarà, dunque, ravvisabile solo nell’ipotesi in cui il sistema non consenta di individuare altre vie per porre rimedio all’esercizio di un potere, non regolato, neanche implicitamente, essendo essa stessa rivelatrice di un difetto di potere in capo al giudice che lo ha emesso, perché quell’atto, seppure riconducibile in astratto ad una previsione di legge, in concreto si rivela radicalmente incompatibile con la progressione processuale e quindi con la destinazione funzionale che gli è propria.
La questione che il ricorso pone è se, sulla base di tali coordinate ermeneutiche, possa ritenersi abnorme e, dunque, ricorribile per cassazione, il provvedimento di non ammissione della costituzione di parte civile, trattandosi di un provvedimento per il quale il codice di rito non contempla alcun rimedio impugnatorio.
3.1. Va, innanzitutto, premesso che, secondo la giurisprudenza di questa Corte l’ordinanza dibattimentale di esclusione della parte civile dal processo, al pari di quella di non ammissione della sua costituzione in giudizio, non è impugnabile mediante ricorso per cassazione, salva l’ipotesi in cui la stessa sia affetta da abnormità,
presentando un contenuto talmente incongruo e singolare da risultare avulsa dall’intero ordinamento processuale (cfr. tra le tante, Sez. 6, n. 8942 del 17/01/2011, COGNOME, Rv. 249727). In applicazione di tale regula iuris, si è, pertanto, esclusa l’abnormità dell’ordinanza di esclusione della costituzione di parte civile fondata sulla mancanza di un rapporto di causalità diretta tra il danno ed i fatti di cu all’imputazione (Sez. 3, n. 4364 del 18/01/2012, COGNOME, Rv. 251917) ovvero sulla irregolarità dell’atto di costituzione in quanto privo della marca da bollo (Sez. 2 n. 45622 del 14/09/2017, COGNOME, Rv. 271155).
Nell’ambito di tale consolidato orientamento giurisprudenziale, da ultimo, Sez. 4, n. 17697 del 09/04/2024, COGNOME Rv. 286364, ha ravvisato l’abnormità funzionale dell’ordinanza di esclusione della parte civile emessa in un processo la cui udienza preliminare si era conclusa nel maggio del 2022 e, quindi, anteriormente all’entrata in vigore del disposto dell’art. 79 cod. proc. pen., nella formulazion novellata dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, applicabile, in forza della disposizione transitoria di cui all’art. 85-bis d.lgs. cit., ai soli processi nei quali, alla data del 30 dicembre 2022, l’udienza preliminare era in corso e gli accertamenti relativi alla costituzione delle parti non erano ancora ultimati.
In tale pronuncia si è ravvisata l’abnormità funzionale del provvedimento impugnato in ragione della stasi che ne era conseguita nella fase della costituzione delle parti, avendo impedito a persone potenzialmente danneggiate dai fatti oggetto del processo penale la possibilità di esercitare l’azione civile in quel processo.
3.2. Ad avviso del Collegio l’indirizzo giurisprudenziale sopra descritto richiede una precisazione alla luce di quanto affermato dalle Sezioni Unite nella citata sentenza n. 42603 del 2023, El Karti.
La verifica dell’abnormità funzionale del provvedimento non può, infatti, essere circoscritta agli effetti diretti ed immediati del provvedimento.
Se così fosse, infatti, seguendo il ragionamento da ultimo articolato da Sez. 4, n. 17697 del 2024, COGNOME, ogni provvedimento di mancata ammissione della parte costituzione di parte civile, determinando la preclusione all’ingresso dell’azione civile nel processo penale, dovrebbe essere considerato come atto affetto da abnormità funzionale e, dunque, ricorribile per cassazione.
In realtà, la verifica della stasi processuale va condotta su un piano sistemico, imponendo una valutazione che, al di là degli effetti immediati del provvedimento nel processo in cui è emesso, verifichi la sua completa estraneità all’intero sistema processuale e l’assenza di rimedi alternativi all’esercizio del diritto che si assume leso
dal provvedimento, quale, nel caso in esame, quello di ottenere il risarcimento del danno cagionato dalla condotta criminosa.
Fatta questa doverosa precisazione, venendo al caso di specie, ritiene il Collegio che, alla stregua delle coordinate ermeneutiche tracciate nei precedenti paragrafi, il provvedimento impugnato non può considerarsi abnorme.
4.1. Deve, innanzitutto, escludersi una abnormità strutturale in quanto il Tribunale, non ammettendo la costituzione di parte civile, ha esercitato un potere che l’ordinamento espressamente gli attribuisce (cfr. artt. 78, 79, 80 e 81 cod. proc. pen.).
4.2. Ad avviso del Collegio deve, inoltre, escludersi anche una abnormità funzionale del provvedimento.
Le censure formulate dalla ricorrente evidenziano, infatti, esclusivamente un profilo di illegittimità della decisione adottata, atteso che, ai sensi dell’art. 75 proc. pen. )il pregresso esercizio dell’azione civile in sede civile non ha una valenza preclusiva al suo trasferimento nel processo penale, a condizione che, come previsto dal primo comma della norma, nel processo civile non sia stata ancora pronunciata sentenza di merito, anche non passata in giudicato.
Contrariamente a quanto affermato dal Procuratore Generale nella sua requisitoria, tale trasferimento non richiede una formale dichiarazione della parte interessata. Tale conclusione, infatti, oltre a non trovare alcun fondamento normativo, appare in contrasto con la costante giurisprudenza delle Sezioni civili della Corte che, ai fini della verifica delle sorti dell’azione civile, fa riferimento, non a atto formale della parte, ma ad un accertamento di fatto, rimesso alla valutazione del giudice al quale spetta la verifica, una volta che dagli atti risulti il trasferim dell’azione civile nel processo penale, della identità delle due azioni alla stregua dei comuni canoni di identificazione delle stesse. Si è, infatti, affermato che i trasferimento dell’azione civile nel processo penale costituisce un fatto che – sia esso qualificato come impeditivo alla prosecuzione del primo processo, ovvero estintivo dello stesso – opera di diritto ed è rilevabile d’ufficio, perché comporta, a norma dell’art. 75 cod. proc. pen., la rinuncia agli atti del giudizio civile, sempre che si acce l’identità delle due azioni alla stregua dei comuni canoni di identificazione (“personae”, “petitum” e “causa petendi”) delle medesime (Cass. civ., Sez. 3, n. 7633 del 16/05/2012, Rv. 622477; Cass. civ., Sez. 3, n. 6293 del 18/04/2003, Rv. 562303).
A fronte, dunque, della illegittimità del provvedimento impugnato e della mancanza di una specifica previsione normativa che ne consenta la sua autonoma impugnabilità, ritiene il Collegio che la censura formulata dalla ricorrente non consente di ravvisare una situazione di stasi sul piano processuale, nei termini chiariti nei parr. 2. e 3.2., idonea a ricondurre il vizio dell’atto impugnato nella categori dell’abnormità funzionale.
Va, infatti, considerato che, sebbene il provvedimento impugnato abbia, allo stato, impedito alla ricorrente di trasferire l’azione civile nel processo penale, no può affermarsi che ne sia derivata una situazione di stasi priva di alternativi rimedi previsti dall’ordinamento processuale. Ciò sia in quanto è stata, comunque, mantenuta l’azione risarcitoria nel processo civile, sia in quanto la stessa parte ricorrente si è limitata a denunziare l’illegittimità del provvedimento senza, tuttavia prospettare alcun ulteriore pregiudizio, al di là della mancata ammissione della costituzione nel processo penale, quale conseguenza del provvedimento impugnato.
5. In conclusione, non essendo il provvedimento impugnabile, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila da versare in favore della Cassa delle ammende, non potendosi ritenere che la stessa abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186 del 2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 9 gennaio 2025