Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 21332 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 21332 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 13/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Noia nel procedimento contro: NOMECOGNOME nata a Napoli il 29/11/1970
avverso l’ordinanza del 15/1/2025 del Tribunale di Noia
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di annullare senza rinvio l’ordinanza, con trasmissione degli atti al Tribunale di Noia in composizione collegiale.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 15 gennaio 2025 il Tribunale di Noia, in composizione collegiale, nell’ambito del giudizio R.G.N.R. 2168/2024, trasmesso dal Giudice monocratico, rilevato che il reato di cui all’art. 316-ter cod. pen. è attribuito
Tribunale in composizione collegiale ai sensi dell’art. 33-bis, comma 1 lett. b), cod. proc. pen. e che non si era tenuta l’udienza preliminare, ha disposto la trasmissione degli atti al Pubblico ministero della Procura europea in applicazione di quanto disposto dall’art. 33 septies, comma 2, cod. proc. pen.
Avverso l’anzidetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Noia, che ha censurato l’abnormità del provvedimento, avendo il Tribunale fatto regredire il procedimento alla fase delle indagini preliminari, così creando una stasi. Il ricorrente ha ricordato che il procedimento era stato avviato dalla Procura europea e, ai sensi dell’articolo 34 del Regolamento istitutivo di tale Procura, su decisione della Camera permanente n. 11, era stato rinviato alla Procura generale della Corte di cassazione, Autorità nazionale competente sensi dell’art. 18 d.lgs 9/21 a decidere sul rinvio. Con decreto n. 223 del 2024 il Procuratore generale presso la Corte di cassazione aveva accettato di farsi carico del caso e ordinato la trasmissione degli atti alla Procura di Noia, competente per territorio, che aveva proceduto con richiesta di decreto penale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
Deve osservarsi che il tema dell’abnormità dei provvedimenti ha formato oggetto di numerose pronunce delle Sezioni unite, che, in difetto di una definizione codificata, hanno elaborato una nozione di atto abnorme, che è stata progressivamente affinata.
Si è partiti, infatti, dalla considerazione che può definirsi abnorme un provvedimento quando, per la singolarità e stranezza del suo contenuto, risulti avulso dall’intero ordinamento processuale, tanto da legittimare il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost. (Sez. U, n. 7 del 26/4/89, Goria, in motivazione), e si è poi affermato che si considera abnorme non solo il provvedimento che per la sua singolarità non sia inquadrabile nell’ambito dell’ordinamento processuale, ma anche quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e dell ipotesi previste al di là di ogni ragionevole limite. Si è, quindi, precisato ch l’abnormità dell’atto processuale può riguardare tanto il profilo strutturale, allorché, per la sua singolarità, si ponga fuori dal sistema organico della legge processuale quanto il profilo funzionale, quando, pur non estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l’impossibilità di proseguirlo
(seguendo l’evoluzione delle pronunce si segnalano, tra le altre, Sez. U, n. 17 del 10/12/1997, dep. 1998, COGNOME, Rv. 209603 – 01; Sez. U, n. 26 del 24/11/1999, dep. 2000, COGNOME, Rv 215094 – 01; Sez. U, n. 33 del 22/11/2000, COGNOME, Rv. 217244 -01; Sez. U, n. 19289 del 25/2/2004, COGNOME, Rv. 227355 01).
In questo quadro è venuta in rilievo anche l’ipotesi della cosiddetta regressione anomala del procedimento ad una fase anteriore, nonostante la valida instaurazione del rapporto processuale fra le parti necessarie, e si è affermato che la stessa costituisce sintomo dell’abnormità dell’atto (Sez. U, n. 19 del 18/6/1993, COGNOME, Rv. 194061 – 01; Sez. U, n. 10 del 9/7/1997, COGNOME, Rv. 208220 – 01; Sez. U, n. 4 del 31/01/2001, Romano, in mot.; Sez. U, n. 22807 del 29/05/2002, Manca, Rv. 221999 – 01).
Con le più recenti pronunce, quanto ai rapporti tra giudice e pubblico ministero, le Sezioni unite hanno limitato l’ipotesi dell’abnormità strutturale al caso di esercizio di un potere non attribuito dall’ordinamento o di deviazione del provvedimento dallo scopo di modello legale, nel senso di esercizio di un potere previsto, ma in una situazione processuale radicalmente diversa da quella configurata dalla legge e cioè completamente al di fuori dei casi consentiti. L’abnormità funzionale è rinvenibile, invece, nel caso di stasi del processo o di impossibilità di prosecuzione e ricorre solamente quando il provvedimento del giudice imporrebbe al pubblico ministero un adempimento che si risolva in un atto nullo, rilevabile nel futuro corso del procedimento. Fuori da questa ipotesi il pubblico ministero deve osservare il provvedimento del giudice, seppure esso sia illegittimo, senza poter invocare il sindacato di abnormità (Sez. U, n. 25957 del 26/03/2009, P.M. in proc. Toni, Rv. 243590 – 01 in mot.; Sez. U, n. 42603 del 13/7/2023, PMT c/ El Kariti, Rv. 285213 – 01 in mot.).
Nel caso di specie, la restituzione degli atti al Pubblico ministero si è tradotta in un profilo di abnormità strutturale, in quanto il provvedimento è stato adottato nel difetto di concreto potere da parte del giudice, che ha fatto uso del potere processuale di cui all’art. 33 septies cod. proc. pen. deviando dal modello legale e fuori dai casi previsti.
Nel giudizio immediato, infatti, come quello in esame, l’inosservanza delle disposizioni che regolano l’attribuzione dei reati al Tribunale in composizione monocratica ovvero in composizione collegiale, comporta, per regola generale, la trasmissione degli atti al giudice ritenuto competente senza regressione di fase e, quindi, senza restituzione degli atti al pubblico ministero (Sez. U, n. 29316 del 26/02/2015, COGNOME, Rv. 264262 – 01).
Ciò perché il giudice monocratico, qualora rilevi che il reato appartiene alla competenza del collegio, deve disporre la trasmissione degli atti al pubblico ministero, ai sensi dell’art. 33 septies, comma 2, cod. proc. pen., solo qualora ciò risponda alla finalità propria di tale disposizione, che è quella di assicurare la garanzia dell’udienza preliminare all’imputato che ne sia rimasto privo a causa di una erronea valutazione addebitabile allo stesso pubblico ministero, dovendo altrimenti trovare applicazione la regola generale secondo cui l’accertata inosservanza delle disposizioni, che regolano l’attribuzione della competenza al giudice collegiale o a quello monocratico, comporta la mera trasmissione degli atti a quello di essi ritenuto competente, con diretta fissazione dell’udienza, ai sensi dell’art. 420 ter, comma 4, cod. proc. pen., richiamato dal comma 3 del citato art. 33 septies.
Nel caso di specie, non può ritenersi che sia stata indebitamente negata all’imputato la celebrazione dell’udienza preliminare, trattandosi di giudizio in cui non era prevista tale udienza. In questo caso, infatti, non si registra alcun errore valutativo della pubblica accusa. L’imputato non risulta citato direttamente a giudizio dal P.M.; egli ha avuto la possibilità di giovarsi dei benefici connessi all’adozione di un rito alternativo (il decreto penale di condanna), cui ha deliberatamente rinunciato, nella consapevole prospettiva di accedere al giudizio immediato, cioè saltando l’udienza preliminare; la citazione a giudizio dinanzi ad un giudice non correttamente individuato è stata una attività propria del giudice competente a conoscere del decreto penale.
Disponendo in un simile caso la restituzione degli atti al P.M. verrebbero generati effetti non codificati, non previsti e non voluti dalla legge: a) per un reato che consente di saltare l’udienza preliminare, tale fase processuale verrebbe imposta giudiziariamente, senza o addirittura contro la volontà delle parti; b) si registrerebbe una violazione del principio dispositivo, che assegna alle parti il potere di definire l’oggetto della controversia e la formazione della prova (nel presente caso la volontà dell’imputato di rinunciare ai benefici del rito alternativo e sottoporsi senza indugi al giudizio del suo giudice naturale); c) si intercetterebbe l’esigenza primaria di speditezza processuale, presupposto e ragione principale della codificazione del procedimento per decreto.
Il giudice che rilevi l’erronea attribuzione ha, dunque, l’onere di fissare l’udienza direttamente dinanzi al giudice che ritiene competente, a cui rimette gli atti.
Tale epilogo si pone sulla stessa scia della precedente sentenza di questa Corte (Sez. 6, n. 31758 del 15/06/2006, Rv. 2348649 in cui, in accoglimento di ricorso avanzato dal pubblico ministero, si è ritenuto abnorme, annullandolo quindi senza rinvio, il provvedimento con il quale il giudice monocratico, investito del
giudizio per un reato di competenza del collegio con decreto di citazione emesso dal giudice per le indagini preliminari a seguito di opposizione a decreto penale,
aveva disposto la trasmissione degli atti al pubblico ministero.
Il provvedimento impugnato, pertanto, è abnorme, in quanto la regressione prodotta non si è risolta in un profilo di mera illegittimità, ma ha comportato una
radicale violazione dell’ordinata sequenza degli atti contemplata dal codice di rito, tale da alterare
l’ordo processus e da costringere il Pubblico ministero a fare ricorso
ad una procedura diversa anche in violazione del principio di ragionevole durata del processo.
Conseguentemente, l’ordinanza impugnata va annullata senza rinvio, con trasmissione degli atti al Tribunale di Noia in composizione collegiale per l’ulteriore
corso.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al
Tribunale di Nola in composizione collegiale per l’ulteriore corso.
Così deciso il 13 maggio 2025.