Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 28564 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 28564 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 02/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI REGGIO
CALABRIA
nel procedimento a carico di:
NOME COGNOME nato a REGGIO CALABRIA il 25/02/1974
COGNOME nato a REGGIO CALABRIA il 07/11/1979
inoltre:
PARTE CIVILE
avverso l’ordinanza del 28/03/2025 del TRIBUNALE di REGGIO CALABRIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG, dott. NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile l’impugnazione.
RITENUTO IN FATTO
All’udienza di comparizione predibattimentale tenutasi in data 28/3/2025 nell’ambito del procedimento a carico di NOME e NOME, il Tribunale di Reggio Calabria invitò il Pubblico Ministero, ai sensi dell’art. 554 bis comma 6 cod. proc. pen., a espungere dall’imputazione il riferimento all’art. 44 lett. c) d.P.R. integrando il fatto contestato” il solo art. 181 d.lgs. 42/2004″.
Il Pubblico Ministero dichiarò che non intendeva modificare l’imputazione e il Tribunale dispose la restituzione degli atti ai sensi dell’art. 554-bis comma 6 cod. proc. pen.
Avverso il provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione il Procuratore della Repubblica del Tribunale di Reggio Calabria che denuncia l’abnormità dell’ordinanza impugnata. Si deduce in particolare che: il provvedimento non reca alcuna motivazione né poteva esservene una in quanto l’art. 44 lett. c) d.P.R. 380/01 è la norma sanzionatoria cui l’art. 181 d.l.vo 42/2004 fa rinvio per la determinazione della pena prevista; l’ordinanza era affetta da abnormità strutturale in quanto “avulsa dall’intero ordinamento processuale” e presentava anche il carattere della abnormità funzionale in quanto originante “una indebita regressione del procedimento” con “stasi dello stesso”.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Seguendo gli itinerari interpretativi segnati dalle Sezioni unite, va ricordato che “l’atto può essere dichiarato abnorme «quando concorrano almeno i seguenti requisiti: a) sia affetto da un vizio per il quale non sono previste cause di nullità o inutilizzabilità; b) non sia altrimenti impugnabile; c) non sia inquadrabile nella struttura procedimentale prevista dall’ordinamento, ovvero determini una stasi processuale non altrimenti superabile» (Sez. U, n. 22909 del 2005, COGNOME)” (Sez. U, n. 10728 del 16/12/2021, dep. 2022, COGNOME).
Nel campo più specifico dei rapporti fra giudice e pubblico ministero e del fenomeno della regressione del processo a una fase precedente, è necessario ricordare Sez. U, n. 25957 del 2009, Toni, che, abbandonando l’impostazione della precedente sentenza COGNOME (Sez. U., n. 5307 del 20/12/2007 (dep. 2008), Rv. 238240), che faceva discendere l’abnormità dalla indebita regressione del procedimento, ha individuato il criterio discretivo dell’abnormità nella sussistenza del potere del giudice di adottare l’atto. Si è cioè ritenuto che non ricorre la categoria dell’abnormità quando l’atto o il provvedimento che si vuole rimuovere rientri nei poteri del giudice che lo ha adottato, e cioè discende da un potere riconosciuto e attribuito dalla legge. Precisa, infatti, la sentenza che “nell’ipotesi in cui si faccia valere l’inosservanza di norme che prevedono l’adozione di un determinato atto a date condizioni di fatto, l’eventuale insussistenza delle stesse ne determina l’illegittimità ma non l’abnormità e, quindi, si tratterà di un provvedimento “contro norma” ma non “extra norma”. Si aggiunge altresì che l’abnormità non può essere desunta dalla regressione del procedimento in quanto
l’esercizio dei poteri del giudice può comportare una tale regressione e quindi “bisogna distinguere tra regressione del procedimento dovuta all’adozione di provvedimenti che si collocano al di fuori dell’ordinamento e della struttura del sistema processuale e regressione del procedimento in conseguenza di un atto che rientri fisiologicamente nelle attribuzioni del giudice che l’ha adottato, perché solo nel primo caso e non nel secondo saremmo davanti ad un atto abnorme”.
In un tale panorama giurisprudenziale è intervenuta l’introduzione dell’art. 554-bis cod. proc. pen. che, al comma 6, prevede che al fine di consentire che il fatto, la sua definizione giuridica, le circostanze aggravanti e quelle che possono comportare l’applicazione di misure di sicurezza siano indicati in termini corrispondenti alle risultanze degli atti d’indagine, il giudice debba invitare il pubblico ministero ad apportare le necessarie modifiche all’imputazione, con la conseguenza che, qualora questi rimanga inerte, egli deve disporre con ordinanza la restituzione degli atti al pubblico ministero medesimo.
Si è osservato che con l’introduzione della norma -e dell’analogo art. 423, comma 1-bis, cod. proc. pen.- “il legislatore, in sostanza, ha recepito quelle costanti e consolidate pronunce della giurisprudenza di legittimità che hanno affermato che non è abnorme il provvedimento con cui il giudice dell’udienza preliminare, dopo aver invano sollecitato il pubblico ministero a precisare l’imputazione, determini la regressione del procedimento per consentire il nuovo esercizio dell’azione penale in modo aderente alle effettive risultanze d’indagine» (Sez. 1, n. 5829 del 10/01/2024, in motivazione)”.
Venendo, quindi, al caso di specie, la sequenza procedimentale dettata dal legislatore risulta osservata, avendo il Tribunale invitato il Pubblico Ministero a espungere dall’imputazione il riferimento all’art. 44 lett. c) d.P.R. 380/01, sostenendo che non era pertinente al fatto contestato, risultando la sanzionabilità della condotta incentrata sul vincolo paesaggistico e sull’assenza dell’autorizzazione prescritta dall’art. 146 d.lgs. 42/2004, e , a seguito del diverso avviso dell’organo dell’accusa, disposto la restituzione degli atti.
Il regresso del procedimento è, quindi, dipeso dall’esercizio di poteri che l’ordinamento attribuiva al Tribunale. Non può, quindi, che concludersi che l’atto, anche a voler ipotizzare che sia condizionato da un errore di valutazione, rientra nella sfera di competenza del giudice.
Né, a voler riprendere i principi della sentenza COGNOME, sarebbe configurabile una indebita regressione del procedimento, in quanto la restituzione degli atti porrebbe rimedio e non genererebbe una situazione patologica di stasi.
4. Non ricorre, infine, il denunciato difetto di motivazione, rendendo palese l’interlocuzione fra giudice e pubblico ministero avvenuta all’udienza che la
restituzione è stata determinata dal rifiuto opposto dal PM di procedere alla modifica dell’imputazione nei termini suggeriti dal Tribunale, ossia con
l’espunzione del riferimento all’art. 44 d.P.R. 380/01, la cui collocazione nell’editto accusatorio subito dopo l’art. “110 c.p.”, peraltro, rendeva non del tutto infondati
i rilievi del giudicante.
Tale conclusione trova risconto nel ricorso che si sofferma sulla “tecnica incriminatoria” e sulla correttezza dell’inserimento nel capo dell’imputazione del
riferimento all’art. 44 d.P.R. citato, così dimostrando di avere contezza delle ragioni che avevano determinato il regresso del procedimento.
5. Il ricorso va quindi rigettato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso il 2/7/2025