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Atto abnorme del giudice: quando si converte in appello

Una società ha impugnato per abnormità un’ordinanza con cui il GIP, accogliendo la richiesta del PM, dichiarava la nullità di una propria precedente misura cautelare interdittiva emessa senza il dovuto contraddittorio. La società sosteneva che tale atto avesse bypassato l’appello e creato una stasi processuale. La Corte di Cassazione ha escluso l’abnormità, ritenendo che il giudice avesse legittimamente esercitato il potere di rimediare a un vizio strutturale. Di conseguenza, ha qualificato il ricorso come un atto abnorme del giudice, convertendolo in appello e rinviando gli atti al tribunale competente.

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Pubblicato il 5 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Atto abnorme del giudice: quando la correzione di un errore non è un’anomalia

L’ordinanza in esame affronta un tema cruciale della procedura penale: la nozione di atto abnorme del giudice. Quando un giudice si accorge di aver commesso un errore procedurale e lo corregge autonomamente, questo suo secondo atto può essere considerato un’anomalia tale da stravolgere il processo? La Corte di Cassazione, con l’ordinanza Num. 20130 del 2025, offre una risposta chiara, stabilendo che la correzione di un vizio procedurale non costituisce abnormità, ma un legittimo esercizio di potere. Vediamo i dettagli.

I Fatti del Caso

Una società operante nel settore della vigilanza si è vista applicare una misura cautelare interdittiva ai sensi del D.Lgs. 231/2001, che la escludeva da agevolazioni e finanziamenti pubblici. Il problema? Il Giudice per le indagini preliminari (GIP) aveva emesso tale misura senza la preventiva udienza in contraddittorio, un passaggio obbligatorio previsto dalla legge.

La società ha prontamente appellato l’ordinanza. Nel frattempo, lo stesso Pubblico Ministero, resosi conto del vizio, ha chiesto al GIP di revocare il provvedimento. Il GIP, anziché attendere l’esito dell’appello, ha dichiarato d’ufficio la nullità della propria precedente ordinanza e ha fissato una nuova udienza, all’esito della quale ha emesso una nuova misura cautelare.
A questo punto, la società ha impugnato dinanzi alla Cassazione proprio l’atto con cui il GIP aveva dichiarato la nullità, sostenendo che si trattasse di un atto abnorme del giudice.

La Tesi della Società: un atto che scavalca l’appello

Secondo la difesa, l’ordinanza con cui il GIP ha annullato il proprio precedente provvedimento era abnorme per due motivi principali:
1. Impedimento del controllo fisiologico: L’azione del GIP avrebbe di fatto svuotato di significato l’appello già presentato dalla società, impedendo al Tribunale competente di esercitare il suo ruolo di controllo.
2. Stasi processuale: Il GIP avrebbe esercitato un potere al di fuori dei casi previsti dalla legge, creando una situazione di stallo e agendo oltre i limiti del proprio mandato.

In sostanza, la società lamentava che il giudice avesse creato un cortocircuito procedurale, correggendo un errore che sarebbe dovuto essere valutato da un altro organo giudiziario.

La Decisione della Cassazione: non si tratta di atto abnorme del giudice

La Corte di Cassazione ha respinto la tesi della società, chiarendo la differenza tra un atto abnorme e un legittimo potere di autotutela del giudice. I giudici supremi hanno stabilito che l’impugnazione non era corretta e doveva essere convertita in un appello da trattare nella sede competente.

Le motivazioni

La Corte ha spiegato che il GIP non ha compiuto un atto abnorme del giudice. Al contrario, ha semplicemente preso atto di un vizio strutturale e originario del suo primo provvedimento: la mancata celebrazione dell’udienza in contraddittorio. Dichiarare la nullità di un atto affetto da un vizio così grave non è un’anomalia, ma l’esercizio di un potere riconosciuto dall’ordinamento, peraltro sollecitato dal Pubblico Ministero.

La Cassazione ha sottolineato che l’atto del GIP non ha causato una stasi processuale, ma ha, al contrario, ripristinato la corretta sequenza procedurale, consentendo la celebrazione di quell’udienza che era stata illegittimamente omessa. Pertanto, esclusa l’abnormità, il rimedio a disposizione della società non era il ricorso per Cassazione, ma l’appello contro la nuova ordinanza.

Le conclusioni

La decisione stabilisce un principio importante: un giudice ha il potere di correggere i propri errori procedurali senza che ciò costituisca un atto abnorme. L’abnormità si configura solo quando l’atto del giudice si pone completamente al di fuori del sistema processuale, e non quando si limita a rimediare a una violazione delle regole del giusto processo. Per le parti coinvolte, ciò significa che la strategia difensiva deve concentrarsi sull’impugnazione corretta del provvedimento finale, piuttosto che contestare come “abnorme” l’atto con cui il giudice ha sanato un proprio precedente errore.

Quando un provvedimento del giudice può essere definito un ‘atto abnorme’?
Un atto è considerato abnorme quando si pone completamente al di fuori del sistema processuale, determinando un blocco insuperabile della procedura o quando il giudice esercita un potere non previsto dall’ordinamento. Non è abnorme, invece, l’atto con cui un giudice corregge un proprio precedente errore procedurale.

Un giudice può annullare una propria ordinanza se si accorge di aver commesso un errore?
Sì. Secondo la Corte, un giudice può dichiarare la nullità di un proprio provvedimento affetto da un vizio strutturale (come la mancata udienza in contraddittorio), soprattutto se sollecitato dal Pubblico Ministero. Si tratta di un legittimo esercizio di un potere che la legge gli attribuisce.

Cosa accade se si propone un ricorso per abnormità quando invece era previsto un altro tipo di impugnazione?
La Corte di Cassazione può ‘convertire’ l’impugnazione nella forma corretta. Nel caso specifico, il ricorso per abnormità è stato convertito in un appello e gli atti sono stati trasmessi al Tribunale competente per la decisione nel merito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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