Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 10474 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 10474 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 27/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a TOLENTINO il 13/10/1983 parte offesa nel procedimento c/
IGNOTI
avverso il decreto del 11/07/2024 del GIP TRIBUNALE di ANCONA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG, in persona del sostituto NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso; letta la memoria di replica degli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con decreto di archiviazione del GIP del Tribunale di Ancona firmato digitalmente il 29 luglio 2024 è stata disposta l’archiviazione del procedimento penale n. 1832/2024 R.G.N.R. IGNOTI per il reato di cui all’art. 590 bis cod. pen. in cui era persona offesa NOME COGNOME ritenendo «le ragioni addotte dal P.M. nella richiesta di archiviazione GLYPH condivisibili e da intendersi qui integralmente trascritte”.
Avverso il decreto è stato proposto ricorso nell’interesse del Taruschio affidandolo a due motivi. 2.1. Con il primo motivo si deduce l’abnormità del decreto di archiviazione in relazione agli artt. 120 e 124 cod. pen. con conseguente stasi del procedimento. Deduce la difesa che il provvedimento è stato adottato prima della scadenza del termine previsto dall’art. 124 cod. pen. concesso alla persona offesa per esercitare le facoltà ad essa attribuite dalla legge e, in specie, per proporre la querela in relazione alle gravi lesioni riportate dal denunciante in occasione del sinistro stradale occorsogli il 23 maggio 2024. Il provvedimento adottato, secondo la difesa, ha determinato una stasi del procedimento poiché nel provvedimento del 22 agosto 2024, il sostituto procuratore della Repubblica, nel rilevare l’avvenuto deposito in data 6 agosto 2024 da parte del Taruschio, della denuncia querela, qualificava l’atto come sollecitazione a chiedere ai sensi dell’art. 414 cod. proc. pen. delle indagini. Pur ritenendo illegittima la qualificazione operata della querela proposta, il decreto di archiviazione in assenza della richiesta di riapertura delle indagini e di un eventuale decreto in tal senso, ha inibito la ripresa o lo svolgimento dell’attività investigativa con riferimento allo stesso fatto oggetto de provvedimento di archiviazione. Da qui l’interesse del Taruschio all’annullamento dell’atto abnorme e alla rimozione del pregiudizio. L’archiviazione in pendenza dei termini di cui all’art. 124 e la illegittima qualificazione della denuncia querela da parte del Pubblico ministero quale sollecitazione alla riapertura delle indagini con conseguente rigetto della stessa, impediscono alla persona offesa di poter esperire altro strumento volto a determinare il prosieguo del procedimento. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.2. Con il secondo motivo si deduce l’abnormità del decreto di archiviazione in relazione agli artt. 90, 408 e 410 cod. proc. pen.
2.3. Il decreto di archiviazione è abnorme in quanto impedisce alla persona offesa di esercitare i diritti e le facoltà ad essa riconosciuti dalla legge co particolare riferimento al diritto di essere avvisato della eventuale richiesta di archiviazione, alla possibilità di indicare indagini suppletive e i relativi elementi prova. Il Gip nel disporre l’archiviazione si limita a fare proprie le ragioni addott
dal P.M. secondo cui non sarebbero emerse responsabilità in capo a terzi, dovendo attribuirsi l’occorso esclusivamente alla condotta colposa del Taruschio, conducente di un motociclo. Senza entrare nel merito della vicenda, rileva la difesa che dalla relazione di incidente redatta dai Carabinieri risulta che non è stato individuato l’esatto punto d’urto trai veicoli e che dai rilievi eseguiti non è sta possibile appurare con certezza l’esatta dinamica con cui moto e auto hanno impattato. Quanto affermato dal Pubblico Ministero, dunque, non trova riscontro negli esiti degli accertamenti svolti dai Carabinieri e non risulta agli atti alcun ulteriore attività di indagine.
Il P.G., in persona del sostituto NOME COGNOME ha rassegnato conclusioni scritte, chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.
I difensori del Taruschio, avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno depositato memoria ex art. 611 cod. proc. pen. contestando le conclusioni del P.G. e insistendo nei motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il motivi di ricorso sono manifestamente infondati.
Il provvedimento adottato dal GIP, in virtù del principio di tassatività dei mezzi di impugnazione previsto dall’art. 568 co. 1 cod. proc. pen. e della enunciazione degli atti oggetto di impugnazione di cui all’art. 569 co. 1 cod. proc. pen. è inoppugnabile. Con il ricorso si deduce, pertanto l’abnormità che nel caso in esame, ad avviso di questo Collegio non è ravvisabile.
A tale proposito va rammentato che la categoria dell’abnormità è frutto della elaborazione giurisprudenziale in relazione al principio di tassatività dei mezzi di impugnazione e delle ipotesi di nullità processuale, scaturita dalla esigenza di garantire rimedi impugnatori, pur non espressamente previsti, nei casi in cui l’atto esorbiti il modello legale e sia affetto da anomalie genetiche o funzionali, al fine di garantire il controllo sulla legalità nel procedere della giurisdizione.
All’interno della categoria della abnormità la giurisprudenza di questa Corte, nella massima espressione, ha ricondotto quegli atti connotati da evenienze patologiche di macroscopica consistenza tali da non poter essere inquadrati negli schemi tipici normativi (Sez. U. n. 22909 del 31/05/2005, COGNOME, Rv. 231163).
Le Sezioni Unite hanno affermato che deve qualificarsi abnorme non soltanto quel provvedimento che per la sua singolarità -o “stranezza del contenuto”, appaia avulso dall’ordinamento processuale ma anche quello che, pur costituendo
manifestazione di un potere legittimo, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite (Sez. U. cit).
Si è, poi, affermato che l’abnormità dell’atto può riguardare tanto il profilo strutturale, quando l’atto, per la sua singolarità, si collochi al di fuori del sistem della legge processuale, quanto funzionale, quando esso, pur non essendo estraneo al sistema normativo provochi una stasi del processo e l’impossibilità di proseguirlo (cfr. Sez. U. h. 17, del 10/12/1997, dep. 1998, COGNOME, Rv. 209603; Sez. U., n. 26, del 24/11/1999, dep. 2000, COGNOME, Rv. 215094).
L’abnormità integra, dunque, uno sviamento dalla funzione giurisdizionale che non risponde più al modello legale ma si colloca al di fuori del perimetro entro il quale l’ordinamento la riconosce (Sez. U n. 25957 del 26/372009 , Toni in motivazione). Sul piano funzionale, l’abnormità viene ravvisata nei casi in cui l’atto, pur non estraneo al sistema normativo determini la stasi del processo e l’impossibilità di proseguirlo (Sez. U n. 17 del 10/12/1997 dep. 1998, COGNOME, Rv 209603; Sez. U n. 26 del 24/11/1999, dep. 2000, COGNOME, Rv. 215094 Sez. U n. 33 del 22/11/2000, COGNOME, Rv. 217244; Sez. U n. 5307 del 20/12/2008, dep. 2008, COGNOME).
Il concetto di stasi che rileva al fine di ritenere o escludere l’abnormità dell’atto, invero, è stato individuato da questa Corte, a Sezioni Unite (n. 10728 del 16/12/2021, dep. 2022, COGNOME) in quei «provvedimenti che impongono al pubblico ministero un adempimento che concretizzi un atto nullo rilevabile nel successivo corso del processo e che, al di fuori dalle ipotesi di abnormità, il pubblico ministero è tenuto ad osservare i provvedimenti emessi dal giudice, ancorché illegittimi» (nello stesso senso Sez. 2, n. 50135 del 10/10/2017, Iodice, Rv. 271185; Sez. 5, n. 28230 del 18/04/2017, Oppi, Rv. 270452; Sez. 2, n. 3738 del 13/01/2015, Besio, Rv. 262374).
Rimane, tuttavia, escluso che possa invocarsi la categoria dell’abnormità per giustificare la ricorribilità immediata per cassazione di atti illegittimi in quan affetti da nullità o, comunque, sgraditi o non condivisi (Sez. U n. 33 del 22/11/2000, COGNOME, perché ciò determinerebbe una non consentita elusione del regime di tassatività dei casi di impugnazione e dei mezzi esperibili stabilito dall’art. 568, comma 1 cod. proc. en (Sez. U n. 20569 del 18/1/2018 Ksouri Tv. 272715 – 01).
Sulla scorta dei principi richiamati ritiene questo Collegio che il provvedimento adottato dal GIP con il quale è stata disposta l’archiviazione prima della scadenza dei termini per proporre la querela non sia affetto da abnormità. Il provvedimento, invero, contiene una delibazione nel merito, sia pure con richiamo espresso agli argomenti spesi dal Pubblico Ministero che non ha chiesto
l’archiviazione “per mancanza di querela” quanto piuttosto perché «non sono emerse responsabilità in capo a terzi, dovendo attribuirsi l’occorso ad una esclusiva condotta colposa del conducente del motociclo Taruschio NOME».
Le argomentazioni proposte dal ricorrente, a ben vedere, finiscono con il censurare la valutazione operata dal Pubblico Ministero il quale, ricevuta la querela, ha ritenuto di non chiedere la riapertura delle indagini rilevando che «la querela non adduce alcun elemento o argomento tale da imporre la richiesta di riapertura sotto lo specifico profilo della ricostruzione della dinamica e della attribuibilità a terzi dell’occorso, essendovi elementi probatori, oltre ogni ragionevole dubbio (lo stesso denunciante fa riferimento all’art. 2054 c.c. norma civilistica che richiede uno standard probatorio non paragonabile a quello processual-penalistico».
E’ evidente che mancando nel nostro sistema un obbligo in capo al Gip di valutare le richieste di archiviazione sottoposte al suo esame in relazione ai reati procedibili a querela, solo dopo la scadenza del termine all’uopo previsto; avuto riguardo alle ragioni di merito che sono state poste alla base del provvedimento impugnato, ciò che finisce con l’essere sottoposto all’esame di questa Corte è proprio un giudizio di merito che attiene alle valutazioni espresse dal Pubblico ministero in merito alla ricostruzione della dinamica del sinistro, operata sulla scorta dei rilievi eseguiti dai Carabinieri di Senigallia. Il che non è consentito in questa sede in quanto, in mancanza delle violazioni di legge dedotte, si finirebbe con il demandare a questa Corte il compito di sovrapporre una propria valutazione delle risultanze procedimentali rispetto a quella compiuta dal Pubblico Ministero per stabilire se queste ultime siano state correttamente esaminate ma il cui provvedimento non è certamente ricorribile in questa sede.
4. Strettamente collegato a quanto detto è il secondo motivo di ricorso. Non è invero il decreto di archiviazione del GIP ad avere impedito alla persona offesa di esercitare i diritti e le facoltà ad essa riconosciuti dalla legge, con particolar riferimento al diritto di essere avvisato dell’eventuale richiesta di archiviazione ma la valutazione che della querela è stata operata dal Pubblico ministero che, nel valutare la mancanza di presupposti per richiedere la riapertura delle indagini, ha disposto «si trasmetta al querelante, per conoscenza, copia del presente provvedimento…». Solo per completezza, condividendo gli argomenti spesi dal P.G. va rilevato che non ricorrono neppure i presupposti per disporre la conversione del ricorso nel reclamo di cui all’art 410 bis cod proc. pen non venendo in rilievo alcuno dei casi di nullità previsti dal primo comma del menzionato articolo posto che la persona offesa non aveva diritto a ricevere l’avviso di cui all’art. 408 comma 2 cod. proc. pen. non avendo – ancora – formulato alcuna richiesta in tal
senso (cfr. nel caso in cui la p.o. formuli richiesta di essere informata dell’eventuale richiesta di archiviazione Sez. 5 ord. n. 354 dep. 10.1.2022 Rv. 282825).
Alla declaratoria d’inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al pagamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, ritenuto – alla luce della sentenza n. 186 del 13 giugno 2000 della Corte costituzionale – che non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità».
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Deciso il 27 novembre 2024