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Assoluta indigenza: lavoro con arresti domiciliari

Un uomo agli arresti domiciliari si vede negare il permesso di lavorare perché la moglie percepisce un reddito di 1.500 euro. La Corte di Cassazione annulla la decisione, stabilendo che il concetto di ‘assoluta indigenza’ non significa totale assenza di mezzi. Il giudice deve valutare se il reddito familiare sia concretamente sufficiente a coprire tutte le esigenze primarie del nucleo, come istruzione e cure, non solo il sostentamento base.

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Pubblicato il 19 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Assoluta Indigenza: Quando si può Lavorare durante gli Arresti Domiciliari?

L’autorizzazione a svolgere un’attività lavorativa per chi si trova agli arresti domiciliari è subordinata alla dimostrazione di una condizione di assoluta indigenza. Ma cosa significa esattamente? È sufficiente che la famiglia disponga di un reddito minimo per escludere questa possibilità? Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sent. N. 1200/2024) fa luce su questo delicato aspetto, stabilendo che la valutazione del giudice non può essere superficiale, ma deve tener conto delle reali e complesse esigenze di un intero nucleo familiare.

Il Caso in Esame: La Richiesta di Lavoro Respinta

I fatti riguardano un uomo, indagato per reati legati agli stupefacenti e sottoposto alla misura degli arresti domiciliari. Trovandosi in difficoltà economiche, presenta un’istanza al giudice per essere autorizzato ad allontanarsi da casa per svolgere un’attività lavorativa, invocando la condizione di assoluta indigenza prevista dall’articolo 284 del codice di procedura penale.

Il Tribunale del riesame di Venezia, tuttavia, respinge la richiesta. La motivazione si basa su un unico presupposto: la moglie dell’indagato svolge un lavoro che le garantisce un reddito di circa 1.500 euro mensili, ritenuto sufficiente a provvedere alle esigenze dell’intera famiglia. Secondo il Tribunale, quindi, non sussisteva la condizione di assoluta indigenza richiesta dalla legge.

L’Impugnazione e la Critica alla Valutazione del Tribunale

L’uomo non si arrende e, tramite il suo avvocato, presenta ricorso alla Corte di Cassazione. La difesa contesta la decisione del Tribunale su due fronti.

In primo luogo, si sottolinea come la motivazione del Tribunale fosse illogica. Un reddito di 1.500 euro mensili, secondo dati statistici notori, colloca una famiglia al di sotto della soglia di povertà assoluta. Di conseguenza, tale reddito non poteva essere considerato adeguato a garantire il sostentamento di un intero nucleo familiare.

In secondo luogo, si evidenzia un vizio di fondo nel ragionamento del giudice. Lo stesso reddito della moglie, che era stato positivamente valutato in precedenza per concedere gli arresti domiciliari al posto del carcere (dimostrando la disponibilità di un minimo per il sostentamento), veniva ora utilizzato come elemento ostativo per negare l’autorizzazione al lavoro. Un controsenso logico che privava di fatto il ricorrente della possibilità di un giusto esame della sua istanza.

La Decisione della Corte di Cassazione e le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, annullando l’ordinanza del Tribunale e rinviando il caso per una nuova e più approfondita valutazione. Le motivazioni della Suprema Corte sono fondamentali per comprendere i limiti e i criteri di valutazione della condizione di assoluta indigenza.

Distinzione tra Sostentamento Minimo ed Esigenze Familiari

Il punto centrale della sentenza è la netta distinzione tra due concetti: la disponibilità del minimo necessario per il sostentamento fuori dal carcere e la capacità di far fronte a tutte le primarie esigenze di una famiglia. La Corte chiarisce che la valutazione non può limitarsi a un mero accertamento della presenza di un reddito. È necessario verificare se quel reddito sia concretamente in grado di coprire non solo le necessità dell’indagato, ma anche quelle della prole con lui convivente, come l’istruzione, le cure mediche e le altre basilari necessità di vita.

I Criteri per la Valutazione dell’Assoluta Indigenza

Richiamando un precedente orientamento giurisprudenziale (sent. n. 24995/2018), la Cassazione ribadisce che per “assoluta indigenza” non si deve intendere una totale e completa assenza di mezzi. È sufficiente che le condizioni reddituali del soggetto e della sua famiglia non gli consentano di “provvedere agli oneri derivanti dalla educazione, istruzione e necessità di cura propria e dei soggetti della famiglia da lui dipendenti”.

In altre parole, la valutazione del giudice deve essere improntata a criteri di particolare rigore, ma senza spingersi a richiedere la prova di una totale impossidenza, che renderebbe la norma quasi inapplicabile.

Conclusioni

La sentenza rappresenta un importante punto di riferimento per la tutela dei diritti fondamentali della persona, anche quando sottoposta a misure restrittive della libertà personale. La Corte di Cassazione stabilisce un principio di diritto chiaro: il giudice, nel decidere sulla richiesta di autorizzazione al lavoro, deve compiere una valutazione completa e realistica della situazione economica del nucleo familiare. Non è sufficiente constatare l’esistenza di un reddito minimo; è indispensabile analizzare se tale reddito sia adeguato a garantire una vita dignitosa a tutti i suoi componenti. Questa decisione impone ai tribunali un approccio più attento e meno formalistico, orientato a bilanciare le esigenze cautelari con il diritto al lavoro e al sostentamento familiare.

Per ottenere l’autorizzazione al lavoro durante gli arresti domiciliari, è necessario essere completamente privi di reddito?
No. Secondo la Corte di Cassazione, non è richiesta una totale impossidenza. È sufficiente dimostrare che le condizioni reddituali familiari non consentono di provvedere adeguatamente agli oneri essenziali come educazione, istruzione e cura per sé e per i familiari a carico.

Il reddito di un familiare, come il coniuge, esclude automaticamente la condizione di ‘assoluta indigenza’?
No, non automaticamente. La sentenza chiarisce che la presenza di un reddito familiare deve essere valutata nel concreto per verificare se sia effettivamente sufficiente a far fronte a tutte le primarie esigenze dell’intero nucleo familiare, e non solo a garantire un minimo sostentamento.

Quale tipo di valutazione deve fare il giudice per decidere sulla richiesta di lavoro di una persona agli arresti domiciliari?
Il giudice non può limitarsi a un mero accertamento della disponibilità di un reddito. Deve effettuare una valutazione approfondita e rigorosa, considerando se quel reddito è in grado di soddisfare le molteplici esigenze primarie dell’indagato e della sua famiglia, inclusa la prole convivente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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