Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 1756 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 1756 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME COGNOME nato a GIMIGLIANO il 09/02/1958
avverso la sentenza del 14/03/2024 della CORTE APPELLO di TORINO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
uditi il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso, e dell’avv.to NOME COGNOME sostituto dell’avv.to NOME COGNOME difensore dell’imputato, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 14/3/2024, la Corte d’appello di Torino confermò la sentenza del Tribunale di Torino, in data 11/1/2022, che aveva ritenuto COGNOME COGNOME quale legale rapp.te della RAGIONE_SOCIALE, responsabile del reato di omessa dichiarazione relativa all’anno 2013, con un’evasione dell’IRES pari a C 140.429,13 e dell’IVA pari a C 119.176,85 e, concesse le attenuanti generiche, l’aveva condannato alla pena di anni uno di reclusione, oltre sanzioni accessorie.
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Avverso la sentenza ha proposto ricorso per Cassazione l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, che ha denunciato il deficit motivazionale “in relazione alla sussistenza del dolo specifico di evasione”.
Si assume che la motivazione della sentenza impugnata aveva ignorato o non adeguatamente valutato gli indicatori della natura non commerciale dell’RAGIONE_SOCIALE dedotti con l’atto di appello:
i servizi offerti, compreso la somministrazione di bevande e alimenti, erano messi a disposizione solo dei soci essendo complementari agli scopi istituzionali;
i ricavi venivano utilizzati unicamente per coprire le spese dei servizi medesimi e non transitavano sul conto corrente dell’associazione preferendo i soci, per ragioni di privacy, effettuare i pagamenti con denaro contante;
la democraticità e la sovranità popolare richiesti per la configurazione dell’associazione erano garantite: dalla convocazione delle assemblee mediante avvisi affissi in bacheca, risultando irrilevante al fine della sussistenza di tal presupposti, la partecipazione dei soci alle assemblee, non addebitabile agli organi sociali; dalla partecipazione effettiva dei soci alla gestione delle attività sociali e in particolare, “alle serata nei locali dell’ente” aventi “natura esplicativa (…) del vita associativa”;
il nucleo familiare di COGNOME poteva contare sulla pensione della moglie dell’imputato e sui compensi per piccoli lavori di manutenzione eseguiti dal medesimo in favore del circolo, non essendovi prova della distribuzione degli utili.
Si lamenta, ancora, che la difesa aveva contrastato l’accertamento induttivo dell’Agenzia delle Entrate depositando due diverse ricostruzioni contabili che fornivano dati ben differenti ma la Corte territoriale non le aveva tenute in alcuna considerazione.
Si contesta, poi, il valore indiziario attribuito dalla sentenza alla presentazione delle dichiarazioni per gli anni successivi al 2014 rilevando che tale decisione era stata determinata dalla sostituzione del precedente commercialista, il socio COGNOME, che a fronte di un esiguo compenso aveva provveduto alla tenuta dei libri contabili, con lo studio COGNOME che, a differenza del precedente professionista, aveva ritenuto che l’associazione fosse comunque soggetta all’obbligo dichiarativo, per cui l’adempimento non poteva essere ritenuto un ammissione del carattere commerciale dell’attività sociale.
Si censura, infine, il processo inferenziale che dall’ammontare degli introiti e dal ruolo centrale svolto nell’associazione da COGNOME aveva desunto che l’imputato fosse consapevole della natura commerciale dell’ente, rilevando che le circostanze di fatto tenute in considerazione non giustificavano la conclusione e, in ogni caso, che COGNOME non disponeva delle competenze necessarie per mettere in discussione le indicazioni lui date dai professionisti cui si era rivolto. dimostrazione della buona fede dell’imputato, ancora, si sottolineano gli sforzi dal
medesimo profusi per far fronte alle rate conseguenti all’istanza di definizione agevolata presentata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile risultando manifestamente infondato.
In premessa, e in via generale, va ricordato che quando le sentenze di primo e secondo grado concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complessivo corpo argomentativo (così, tra le altre, Sez. 3, n. 44418 del 16/7/2013, COGNOME, Rv. 257595; Sez. 4, n. 15227 dell11/4/2008, COGNOME, Rv. 239735; Sez. 2, n. 5606 dell’8/2/2007, Conversa e altro, Rv. 236181; Sez. 1, n. 24 8868 dell’8/8/2000, COGNOME, Rv. 216906; Sez. 2, n. 11220 del 5/12/1997, COGNOME, Rv. 209145).
La sentenza di primo grado ha messo in evidenza che in tanto è possibile accedere al più favorevole regime impositivo previsto per gli enti non commerciali costituiti in forma associativa in quanto l’organizzazione dell’associazione sia improntata ai “i principi della democraticità, della rendicontazione, del divieto di distribuzione degli utili” e svolga “attività di somministrazione in modo non prevalente”.
Nel caso di specie, il Tribunale ha rimarcato che dalla deposizione di COGNOME era emerso che nel caso dell’RAGIONE_SOCIALE non erano stati rinvenuti i verbali di convocazione dei soci e del direttivo per l’approvazione del rendiconto. Ha anche sottolineato che gli stessi testi della difesa avevano ammesso che non erano stato loro sottoposto mai un bilancio o un rendiconto (testi COGNOME e COGNOME).
Giova a questo punto rammentare che l’art. 148 TUIR, al comma 8 lett. d), prevede espressamente l’obbligo di approvare annualmente un rendiconto economico e finanziario, rendiconto che, nel caso dell’Associazione RAGIONE_SOCIALE sarebbe stato indispensabile per consentire una qualunque forma di controllo da parte degli associati, risultando le risorse economiche attraverso cui l’ente operava movimentate in contanti.
Sempre muovendo dalla deposizione di COGNOME, la sentenza di primo grado rileva che i verbali assembleari avevano “un contenuto molto generico” e non davano conto dei presenti, così da rendere impossibile di verificare il raggiungimento del quorum necessario. La sentenza dà anche atto che:
il socio COGNOME ha dichiarato di non aver mai partecipato a un’assemblea ove si eleggesse il presidente o il comitato direttivo;
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l’imputato ha dichiarato che “il direttivo era formato da solo tre persone, tra cui la proprietaria dei muri (estranea alla vita associativa) ed un terzo soggetto di cui non ricordava neanche il nome”.
Nelle sentenze di merito, inoltre, veniva rimarcato il totale disinteresse dei soci interpellati per la vita associativa avendo proceduto all’acquisto della tessera associative al solo fine di accedere alle serate che avevano luogo nel locale notturno.
A fronte di tali convergenti elementi, la conclusione cui pervengono i giudici di merito, ossia che COGNOME esercitava un’attività imprenditoriale ricorrendo allo schema dell’ente senza fine di lucro al solo fine di beneficiare di un più favorevole regime fiscale, appare del tutto conseguenziale.
Le sentenze di merito, ancora, sottolineano che nella documentazione resa disponibile dall’imputato e nella movimentazione del conto corrente dell’ente non c’era “evidenza degli incassi serali” relativi all’attività d’intrattenimento che aveva luogo nel locale notturno e il cui svolgimento costituiva l’unica forma attraverso cui l’ente perseguiva gli scopi statuari.
Tale anomala modalità di amministrazione, che, unita all’assenza della rendicontazione sottraeva ai soci ogni possibilità di controllo in ordine alle gestione di fondi che, comunque, erano di competenza dell’ente, è dai giudici di merito spiegata con la percezione, da parte di COGNOME, dei proventi dell’attività d’impresa gestita e con l’esigenza di non lasciare tracce documentali che potessero immediatamente rivelare, in caso di controlli, la natura commerciale che era esercitata attraverso la struttura dell’associazione senza fini di lucro.
Gli argomenti difensivi non scalfiscono la tenuta logica della motivazione.
Ai rilievi in ordine alla violazione del principio di democraticità, il ricors riprendendo il motivo di appello, oppone che la partecipazione attiva dei soci si esplicava attraverso la partecipazione alle “serate” e che la convocazione dell’assemblea avveniva mediante l’esposizione di un avviso all’entrata.
Sennonché, a fronte della mancata redazione del rendiconto annuale, di verbali assembleari privi dell’indicazione dei soci presenti e dal contenuto generico e di operazioni volte all’elezione degli organi sociali non si vede come la partecipazione agli eventi che avevano luogo nel locale notturno garantisse ai soci una effettiva e paritaria partecipazione alla gestione dell’ente.
Anche in relazione alla gestione dei corrispettivi incassati nel corso delle serata, il ricorso risulta generico non fornendo alcun elemento che possa spiegare le esigenze che facevano sì che solo il denaro necessario per il pagamento per l’affitto confluisse sul conto corrente dell’associazione e non quello utilizzato per saldare fornitori e collaboratori, in relazione ai quali ancor maggiore sarebbe stato l’interesse a utilizzare metodi di pagamento tracciabili, essendovi l’esigenza di assicurare agli associati la possibilità di controllare la destinazione data alle risorse
dell’associazione e quella di rendere ostensibile la corrispondenza dei ricavi ai costi sostenuti così da giustificare, come da qui a breve si dirà, il regime fiscale previsto per le attività non commerciali.
Le sentenze di merito, ancora, danno ampio risalto agli ingenti profitti generati dai corrispettivi pagati dai soci per poter accedere alle manifestazioni che avevano luogo nel locale notturno e per le bevande consumate, profitti desunti dai costi documentati e dall’ “importanza delle strutture all’uopo predisposte nei locali”.
Il ricorso tenta di svalutare la valenza significativa che la continuità e la 43′ sistematicità dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande assume ai fini della qualificazione in termini di attività commerciale dei servizi che l’associazione assicurava ai partecipanti alle manifestazioni che avevano luogo all’interno del locale notturno sottolineandone la complementarietà rispetto agli scopi istituzionale.
Sennonché, per il combinato disposto degli artt. 148 comma 2 e 143 comma 1 TUIR, la previsione di non commercialità della prestazione di servizi necessita della , prova, oltre della conformità delle prestazioni alle finalità istituzionale degli enti anche dell’assenza di una organizzazione specifica e della corrispondenza dei corrispettivi ai costi “di diretta imputazione”.
Anche in relazione a tali profili il ricorso risulta totalmente generico, non fornendo alcuna indicazione in ordine alla sussistenza dei predetti presupposti.
La manifesta infondatezza dei rilievi volti a denunciare il deficit di motivazione in GLYPH relazione alla natura commerciale dell’attività svolta dall’associazione e, conseguentemente, alla computabilità del reddito prodotto ai fini fiscali, consente l’esame delle censure mosse alla sentenza impugnata in relazione alle modalità di determinazione dell’imponibile non dichiarato.
Anche in questo caso il ricorso si presenta aspecifico in quanto dalle sentenze di merito si evince che la ricostruzione degli elementi positivi di reddito era avvenuta considerando il volume degli acquisti documentati effettuati per l’attività di somministrazione di cibo e bevande, l’importo del prezzo d’ingresso versato per la partecipazione alle serate dai soci, il numero degli associati e quello dei partecipanti alle serate.
La difesa stigmatizza la natura induttiva di un tale ragionamento probatorio ma non fornisce dati alternativi rispetto a quelli valorizzati dai giudici di merito individua illogicità manifeste nel processo inferenziale, limitandosi a richiamare ipotesi alternative formulate nel corso del giudizio di primo grado mediante la produzione di prospetti che, come sarebbe stato suo onere, per il principio di autosufficienza del ricorso, neppure allega all’imputazione.
Sul punto, deve evidenziarsi che in materia di ricorso per Cassazione, perché sia ravvisabile la manifesta illogicità della motivazione considerata dall’art. 606
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comma 1, lett. e) cod. proc. pen., la ricostruzione contrastante con il procedimento argomentativo del giudice, deve essere inconfutabile, ovvia, e non rappresentare soltanto una ipotesi alternativa a quella ritenuta in sentenza (Sez. 1, n. 13528 del 11/11/1998, COGNOME, Rv. 212054; Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747; Sez. 3, n. 10 del 11/1/2018, COGNOME, Rv. 273217; Sez. 2, n. 29480 del 7/2/2017, COGNOME, Rv. 270519). Nel giudizio di legittimità, infatti, il sindacato sulla correttezza della valutazione della prova è molto ristretto, perché non può consistere nella rivalutazione della gravità, della precisione e della concordanza degli indizi, dato che ciò comporterebbe inevitabilmente apprezzamenti riservati al giudice di merito, ma deve limitarsi al controllo logico e giuridico della struttura della motivazione, al fine di verificare se sia stata data esatta applicazione ai criteri legali ed alle regole della logica nell’interpretazione dei risultati probatori.
11. I giudici di merito, infine, hanno desunto il dolo di evasione dall’ammontare dei ricavi conseguiti e dal fatto che la veste giuridica dell’ente senza fine di lucro era finalizzata a consentire all’attività imprenditoriale che l’imputato gestiva quale amministratore unico di beneficiare del più favorevole regime fiscale previsto per l’associazione culturale e ricreativa.
Tale processo inferenziale non trova ostacolo nell’allegazione difensiva secondo la quale l’imputato si sarebbe limitato a seguire le indicazioni dei consulenti cui si era rivolto per la tenuta della contabilità.
Il ricorso allo schermo degli enti privi di scopo di lucro benché la struttura aziendale che gestiva fosse priva dei connotati basilari necessari per beneficiare del regime fiscale di favore riconosciuto a tale categoria di enti, il volume dei profitti conseguiti e la gestione in nero dei corrispettivi percepiti hai quale unica J plausibile giustificazione il dolo di evasione contestato dalla difesa, se non altro nella forma del dolo eventuale, essendosi COGNOME comunque esposto, senza compiere alcuna verifica, alle conseguenze di una qualificazione che appariva ictu oculi non compatibile con l’attività imprenditoriale esercitata.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso conseguono la sterilizzazione, ai fini della prescrizione, del decorso del tempo successivo alla data della pronuncia impugnata e, ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna della parte privata che lo ha proposto al pagamento delle spese del procedimento, nonché, avvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000 e delle ragioni fondanti l’inammissibilità, si stima equo determinare in euro tremila.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 a favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 10/12/2024