Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 43180 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 43180 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
ZG.
nato a omissis
avverso la sentenza del (04/10/2023 della Corte di appello di Potenza visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
lette le conclusioni del difensore, avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Potenza riformava parzialmente – rideterminando la pena irrogata ed escludendo la continuazione la sentenza del Tribunale di Potenza del 3 febbraio 2020, che aveva condannato l’imputato NOME per il reato di cui all’art. 570-bis cod. pen.
Secondo l’imputazione, NOMECOGNOME aveva omesso di corrispondere al coniuge separato l’assegno di euro 300, stabilito il 28 febbraio 2017 in sede di giudizio di
divorzio, con provvedimento temporaneo ed urgente (reato commesso dal mese di febbraio a quello di maggio 2018).
La Corte di appello riteneva irrilevante la circostanza, esplicitata in una missiva intercorsa tra le parti in atti, del “conguaglio” operato dall’imputato rispetto a crediti vantati nei confronti della moglie, per la indebita percezione di canoni di locazione.
Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, denunciando i motivi di annullamento di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 81 e 570bis cod. pen., art. 192 e 603 cod. proc. pen.
La difesa aveva richiesto la rinnovazione dibattimentale per produrre i provvedimenti del giudizio civile (in particolare la revoca in data 28 febbraio 2017 delle precedenti disposizioni di separazione), che, nonostante la richiesta, non erano stati acquisiti in primo grado, pur essendo decisivi per l’accertamento del reato.
Inoltre, con le note conclusionali la difesa aveva prodotto sia il reclamo ex artt. 629 e 669-terdecies cod. proc. civ. del 29 luglio 2019, sia la ordinanza del 16 luglio 2020. Di detta documentazione la Corte di appello avrebbe omesso ogni considerazione.
Si è inoltre dedotto che, con il provvedimento del 28 febbraio 2017, in sede di procedimento di divorzio, erano state, da un lato, revocate le statuizioni emesse in sede di separazione (nella specie il versamento in favore della moglie e delle figlie della somma di 800 euro e la riscossione del canone di locazione di un appartamento) e, dall’altro, era stato determinato l’assegno in favore del coniuge di 300 euro (rimasto immutato rispetto alla separazione).
Quindi dal febbraio 2017 non era più dovuto alla moglie il canone di affitto. Di ciò si ha contezza nella ordinanza emessa a seguito di reclamo, ove il Tribunale ha stabilito che la moglie aveva continuato a percepire il canone di locazione di euro 107,59 euro e che il ricorrente aveva maturato alla data del 20 giugno 2018 un credito di 1.721,44 euro nei suoi confronti, che conguagliato alle mensilità non versate era pari alla somma di euro 221,44.
Ne conseguiva che le contestazioni mosse al ricorrente (tutte precedenti a quella data) avrebbero dovuto ritenersi infondate, in quanto fino a quel momento egli aveva versato più del dovuto, risultando addirittura creditore della moglie.
La Corte di appello, nell’escludere la rilevanza delle allegazioni difensive, si è basata su un presupposto erroneo, ovvero che le somme dovute a titolo mantenimento del coniuge non possano essere compensate. Di segno contrar
(.9
infatti la giurisprudenza di legittimità in sede civile, là dove ritiene ammissibile l compensazione, sul presupposto che l’assegno non ha natura alimentare (come dimostrava plasticamente il provvedimento civile prodotto dalla difesa).
La difesa, peraltro, aveva dedotto in appello che l’assegno a favore della coniuge non aveva la funzione di garantirle i mezzi di sussistenza, non trovandosi ella in stato di bisogno.
2.2. Vizio di motivazione.
La difesa aveva dedotto che la deposizione della persona offesa era stata poco lineare e comprensibile, con risposte vaghe.
Ciononostante, la Corte di appello ha ritenuto di fondare su tali dichiarazioni il suo convincimento e la ricostruzione della vicenda, senza offrire riscontro ai rilievi difensivi.
Dalla lettura del verbale di udienza emerge la scarsa linearità della deposizione, che risultava palesemente contraria alle prove documentali.
2.3. Violazione di legge in relazione agli artt. 34 d.lgs. n. 274 del 2000, 131bis e 133 cod. pen. e alla particolare tenuità del fatto.
La Corte di appello ha ritenuto ostativa la abitualità della condotta omissiva, non considerando che di fatto il ricorrente ha semplicemente ritenuto di operare un conguaglio, viepiù per un periodo limitato di tempo e senza danni rilevanti per la persona offesa.
2.4. Violazione di legge in relazione all’art. 603 cod. proc. pen.
La Corte di appello non si è pronunciata sulla richiesta di rinnovazione dibattimentale, avente ad oggetto la acquisizione della documentazione del procedimento civile di separazione, ritenuta non assolutamente necessaria dal primo giudice.
Come già dedotto, il ricorrente ribadisce al riguardo che si trattava di documentazione indispensabile per la valutazione corretta dei fatti.
Il procedimento, originariamente assegnato alla Settima Sezione, all’udienza del 12 luglio 2024 era restituito alla Sesta Sezione per la trattazione in pubblica udienza, in quanto non era stata ravvisata la sua inammissibilità (la difesa in quella sede aveva prodotto una memoria scritta).
Disposta quindi la trattazione scritta del procedimento, in mancanza di richiesta di discussione orale nei termini previsti dalla legge, il Procuratore generale e la difesa dell’imputato hanno depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.
La difesa del ricorrente ha anche depositato una memoria di replica a sostegno dei motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso va rigettato, in quanto complessivamente infondato.
In ordine al primo motivo, va osservato quanto segue.
2.1. Secondo l’orientamento pacifico di questa Corte, in tema di fattispecie delittuosa prevista dal comma secondo, n. 2, dell’art. 570 cod. pen. non è consentito adempiere parzialmente all’obbligo di corrispondere l’assegno per il mantenimento “quando le somme versate non consentano ai beneficiari di far fronte alle loro esigenze fondamentali di vita, quali vitto, alloggio, vestiario ed educazione” (Sez. 6, n. 1879 del 04/11/2020, dep. 2021, Rv. 280584); così come non è consentito, di propria iniziativa, scegliere di adempiere surrogando o sostituendo l’oggetto del dovuto (con altre prestazioni di cose o beni) (Sez. 6, n. 418 del 30/04/2019, dep. 2020, Rv. 278092).
Nella stessa prospettiva si è affermato, in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, che il soggetto obbligato a prestare i mezzi di sussistenza non può opporre in compensazione un proprio credito verso il beneficiario, al fine di escludere la propria responsabilità da reato, essendo preminente il dovere di sopperire ai bisogni primari del coniuge e dei figli minori (Sez. 6, n. 9553 del 23/01/2020, Rv. 278620).
Questi principi si fondano sulle peculiarità del suddetto reato, posto a tutela dello stato di bisogno dei soggetti beneficiari, e sulla indisponibilità del dovere di non fare mancare ai familiari i mezzi di sussistenza necessari per affrontare le esigenze primarie di vita.
2.2. Il ricorrente sostiene che i medesimi principi (ed in particolare quello in tema di divieto di compensazione) non siano applicabili alla fattispecie di cui all’art. 570-bis cod. pen. in caso di mancata corresponsione dell’assegno al coniuge separato o divorziato, a tal fine richiamando un precedente di questa Corte Suprema in sede civile (Sez. civ. 3, n. 9686 del 26/05/2020, Rv. 657716).
Tale assunto non può essere accolto nei termini dianzi prospettati.
Il reato di cui all’art. 570-bis cod. pen. punisce il mero inadempimento dell’obbligo di corresponsione dell’assegno di mantenimento stabilito dal giudice, in sede di separazione o divorzio. Tale reato è posto a tutela dell’effettivo adempimento degli obblighi di natura economica imposti in tali sedi (Sez. 5, n. 12190 del 04/02/2022, Rv. 282990).
Mentre per l’assegno dovuto a titolo di contributo al mantenimento dei figli, anche maggiorenni, sia in sede di separazione che in sede di divorzio dei genitori, la giurisprudenza di legittimità in sede civile è stata sempre concorde nell’assegnare a tale credito natura alimentare, con le correlate connotazioni di indisponibilità, impignorabilità (se non per crediti parimenti alimentari) e non compensabilità, non era emersa una visione unitaria della natura dell’assegno di mantenimento in favore del coniuge separato o divorziato.
Il contrasto è stato risolto dalle Sezioni Unite civili (Sez. U civ. n. 32914 del 08/11/2022, Rv. 666186), chiamate a dirimere le questioni poste in tema di ripetibilità delle somme versate al coniuge (o ex coniuge) a titolo di separazione o divorzio, in via provvisoria.
Con tale arresto, infatti, è stato affermato che l’assegno di mantenimento separativo e divorzile assolve anche, quantomeno in parte, ad una funzione alimentare (così da pag. 59, § 8).
Questa Corte ha infatti osservato che già la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 17 del 2000, aveva, di fatto, ritenuto i crediti di mantenimento in caso di separazione e i crediti da assegni divorzili rispondenti alla medesima funzione, precisando che il credito da mantenimento del coniuge separato o divorziato ha un contenuto più esteso di quello alimentare in senso stretto. In sostanza, è stato dato rilievo al comune carattere (o meglio alla comune finalità) «assistenziale» delle prestazioni ed al fatto che anche l’assegno di mantenimento del coniuge separato e l’assegno divorzile, nella sua componente propriamente assistenziale, nonché l’assegno di mantenimento dei figli, minorenni o maggiorenni non autosufficienti economicamente, rispondono, al pari degli alimenti, alla necessità di sopperire ai bisogni di vita della persona, sia pure in un’accezione più ampia, non essendo necessario uno stato di indigenza o bisogno, come nell’ipotesi del credito alimentare.
Muovendo da tali premesse, le Sezioni Unite hanno affermato che, considerato il carattere «latamente alimentare» o la funzione anche alimentare dell’assegno (nel senso della ricomprensione del minus alimentare nella più ampia obbligazione di mantenimento), andava applicato, per analogia, agli assegni separativi o divorzili il trattamento riservato agli alimenti, quanto ai caratteri dell impignorabilità e della non compensabilità dell’assegno di mantenimento, propri della disciplina dell’assegno alimentare.
Quanto alla ripetibilità delle somme rese in esecuzione di obblighi di mantenimento, poi modificati nel corso del giudizio con la sentenza definitiva di primo grado o di appello, le Sezioni Unite, in mancanza di una norma positiva al riguardo, hanno escluso la configurabilità di una regola automatica, fatta savà .’ l’ipotesi in cui si accerti l’insussistenza «ab origine» dei presupposti per l’assegno
di mantenimento o divorzile, in cui le somme sono pienamente ripetibili. Negli altri casi la prestazione è da ritenersi irripetibile purché si tratti di somme di denaro di entità modesta, alla luce del principio di solidarietà post-familiare e del principio, di esperienza pratica, secondo cui si deve presumere che dette somme di denaro siano state ragionevolmente consumate dal soggetto richiedente, in condizioni di sua accertata debolezza economica.
2.3. Le considerazioni che precedono consentono di ritenere infondata la tesi della compensabilità dell’assegno di mantenimento dovuto alla persona offesa.
Non è infatti consentito al soggetto obbligato, senza rivolgersi previamente al giudice, decidere unilateralmente di perimetrare e scindere la quota alimentare per opporre al coniuge la estinzione del suo credito.
La stessa quota versata alla persona offesa, che il ricorrente assume essere inoltre eccedente il suo debito, è pari all’importo di soli 221 euro e quindi tale da non poter neppure essere oggetto di azioni volte alla sua ripetibilità, come sopra indicato.
2.4. In questa prospettiva, correttamente la Corte di appello ha ritenuto non consentita l’arbitraria unilaterale riduzione o estinzione del debito del ricorrente.
Perdono altresì di rilevanza – in quanto collegate a tale tematica – le censure relative al mancato esame della produzione documentale versata dalla difesa nel corso del giudizio di appello e alla mancata rinnovazione dibattimentale (ultimo motivo di ricorso).
3. Il secondo motivo è generico.
Già in primo grado, infatti, il Tribunale aveva sottoposto le dichiarazioni della persona offesa ad un attento esame di attendibilità, apprezzandone la linearità e la non contraddittorietà della deposizione, anche alla luce della documentazione acquisita. In particolare, agli atti vi era la missiva del ricorrente con la quale aveva ammesso di non aver versato l’assegno dovuto per le mensilità da febbraio ad agosto 2018 (quindi per un periodo maggiore di quello contestato), perché le relative somme erano state compensate con il suo credito.
Ad analoghe conclusioni è pervenuta la Corte di appello, coerentemente respingendo il motivo di gravame con cui si contestava la scarsa linearità e comprensione della deposizione della persona offesa.
Ebbene, alla luce del complessivo ragionamento giustificativo risultante dalle sentenze di merito, il ricorrente, nel contestare in questa Sede la risposta data dalla Corte di appello, non ha spiegato la rilevanza del suo assunto, continuando a sostenere assertivamente la imprecisione delle dichiarazioni rese dalla persona offesa sul periodo di inadempimento.
La sentenza impugnata non merita censura neppure con riferimento alla non applicabilità dell’art. 131-bis cod. pen.
Questa Corte ha infatti più volte affermato che la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis cod. pen. applicabile al reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare, a condizione che l’omessa corresponsione del contributo al mantenimento abbia avuto carattere di mera occasionalità (Sez. 6, n. 5774 del 28/01/2020, Rv. 278213), essendo l’abitualità del comportamento altrimenti ostativa al riconoscimento del beneficio (Sez. 6, n. 20941 del 20/04/2022, Rv. 283304).
A tale principio si è correttamente attenuta la Corte di appello, risultando, a fronte della accertata reiterazione della condotta omissiva, non rilevanti dtl-eq-efe le argomentazioni spese a sostegno dal ricorrente.
Sulla base di quanto premesso, il ricorso deve essere rigettato con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 18/09/2024.