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Art. 420-quater c.p.p.: doppio termine prescrizione

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza di non doversi procedere per un errore nel calcolo del termine finale delle ricerche dell’imputato. Secondo la Suprema Corte, in base all’art. 420-quater c.p.p., tale termine deve essere pari al doppio della prescrizione ordinaria del reato, e non calcolato con criteri diversi. Nel caso di specie, per un reato con prescrizione di 6 anni, il termine corretto per le ricerche è stato fissato a 12 anni.

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Pubblicato il 11 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Art. 420-quater c.p.p. e Termine Ricerche Imputato: La Cassazione Fa Chiarezza

La gestione dei processi in assenza dell’imputato è una delle questioni più delicate del nostro ordinamento. La norma di riferimento, l’art. 420-quater c.p.p., stabilisce le condizioni per dichiarare l’assenza e le conseguenze procedurali, tra cui la sospensione del processo e l’avvio delle ricerche. Con la sentenza n. 5035/2025, la Corte di Cassazione interviene per correggere un errore interpretativo fondamentale riguardante il calcolo del termine massimo per queste ricerche, riaffermando un principio di certezza del diritto.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine da una decisione del Giudice dell’udienza preliminare (GUP) di Rimini. Il GUP aveva emesso una sentenza di “non doversi procedere” nei confronti di un imputato, risultato irreperibile, ai sensi dell’art. 420-quater c.p.p.. Tuttavia, nel definire il termine ultimo entro cui effettuare le ricerche per rintracciare l’imputato, il giudice aveva commesso un errore di calcolo, fissandolo al 18 dicembre 2029.

Il Pubblico Ministero ha impugnato questa decisione, sostenendo che il calcolo fosse errato. La tesi dell’accusa era che, per i reati contestati (con prescrizione ordinaria di 6 anni), il termine per le ricerche dovesse essere pari al doppio, ovvero 12 anni, e non il periodo più breve individuato dal GUP.

Il Principio dell’art. 420-quater c.p.p. sul Termine delle Ricerche

La questione giuridica ruota attorno all’interpretazione del comma 7 dell’art. 420-quater c.p.p. Questa disposizione stabilisce che, in caso di sentenza di non doversi procedere per assenza dell’imputato, il termine di prescrizione è raddoppiato. Di conseguenza, anche il termine entro cui l’autorità giudiziaria deve svolgere le ricerche per rintracciare la persona assente è esteso alla stessa durata. L’errore del GUP consisteva nell’aver applicato un criterio di calcolo differente e non giustificato, in violazione della chiara previsione normativa.

La Decisione della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del Pubblico Ministero, annullando la sentenza impugnata senza rinvio, ma limitatamente alla parte relativa alla determinazione del termine. In primo luogo, la Corte ha confermato l’ammissibilità del ricorso diretto in Cassazione avverso questo tipo di sentenze, richiamando una recente e autorevole pronuncia delle Sezioni Unite.

Nel merito, i giudici di legittimità hanno riconosciuto la fondatezza dell’argomentazione dell’accusa. Hanno stabilito che il termine per le ricerche dell’imputato assente deve inderogabilmente coincidere con il doppio del termine di prescrizione ordinario del reato contestato.

le motivazioni

La motivazione della Corte è lineare e si fonda su un’interpretazione letterale e sistematica della legge. I giudici hanno sottolineato che l’art. 420-quater c.p.p. è inequivocabile nel collegare la durata delle ricerche al raddoppio del termine di prescrizione. Nel caso specifico, i reati avevano una prescrizione ordinaria di 6 anni; pertanto, il termine massimo per le ricerche doveva essere di 12 anni. Le date corrette, calcolate a partire dalla commissione dei fatti, erano il 9 giugno 2032 e il 28 agosto 2032.

La Corte ha evidenziato come la diversa data indicata dal GUP (18 dicembre 2029) non trovasse alcuna giustificazione giuridica e non fosse supportata da alcun ragionamento esplicitato nella sentenza impugnata. Di fronte a un errore di diritto così palese, la Cassazione ha potuto procedere direttamente alla correzione, annullando la parte errata della sentenza e fissando il termine ultimo per le ricerche alla data corretta del 28 agosto 2032.

le conclusioni

Questa sentenza riafferma un principio cruciale per la corretta applicazione dell’art. 420-quater c.p.p.: il calcolo del termine per le ricerche dell’imputato assente non è discrezionale, ma è rigidamente ancorato al raddoppio del termine di prescrizione. La decisione garantisce uniformità di applicazione della norma su tutto il territorio nazionale e previene la chiusura prematura di procedimenti a causa di errori di calcolo. Per gli operatori del diritto, ciò significa avere un riferimento chiaro e incontrovertibile, che assicura la prosecuzione delle ricerche per tutto il tempo previsto dalla legge, tutelando così sia le esigenze di giustizia sia i diritti dell’imputato.

È possibile impugnare direttamente in Cassazione una sentenza di non doversi procedere emessa ai sensi dell’art. 420-quater c.p.p.?
Sì, la sentenza conferma che, sulla base di una recente decisione delle Sezioni Unite, è ammissibile il ricorso diretto per cassazione avverso la sentenza di non doversi procedere per assenza dell’imputato, anche per motivi come l’erronea indicazione del termine per le ricerche.

Come si calcola il termine ultimo per le ricerche di un imputato assente secondo l’art. 420-quater c.p.p.?
Il termine per lo svolgimento delle ricerche dell’imputato dichiarato assente è pari al doppio del termine di prescrizione ordinario previsto per il reato per cui si procede. Se un reato si prescrive in 6 anni, le ricerche dovranno proseguire per 12 anni.

Cosa succede se il giudice di merito sbaglia a calcolare il termine per le ricerche?
Se il giudice indica un termine errato, la parte interessata (come il Pubblico Ministero in questo caso) può impugnare la sentenza. La Corte di Cassazione, se riconosce l’errore, può annullare la sentenza limitatamente alla parte errata e correggere direttamente la data, senza necessità di un nuovo processo di merito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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