Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 9411 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 9411 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME COGNOME NOME
Data Udienza: 01/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
TUMMINELLI NOME
NOME nato a GELA il DATA_NASCITA
avverso la ordinanza del 03/11/2023 del TRIBUNALE DI CALTANISSETTA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato; lette le conclusioni del difensore AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza del 13 settembre 2023 la Sesta Sezione di questa Corte annullava con rinvio l’ordinanza con la quale il Tribunale del riesame di Caltanissetta aveva confermato l’ordinanza di rigetto della richiesta di
GR
autorizzazione allo svolgimento di attività lavorativa presentata nell’interesse di NOME COGNOME, sottoposto alla misura degli arresti domiciliari.
Con l’ordinanza qui impugnata lo stesso Tribunale, in diversa composizione, rigettava l’appello.
Ha proposto ricorso l’imputato, a mezzo del proprio difensore, chiedendo l’annullamento dell’ordinanza impugnata per violazione di legge (art. 284, comma 3, cod. proc. pen.) e vizio motivazionale.
Il primo rigetto della richiesta era stato motivato sulla base della mancata prova in ordine allo stato di indigenza dell’imputato, mentre ora il Tribunale ha ritenuto che lo svolgimento di attività lavorativa non fosse compatibile con le esigenze cautelari.
Il Tribunale non ha spiegato come al ricorrente si potrebbe presentare la possibilità di reiterare reati della medesima specie (estorsione) o anche altri reati, dovendo il pericolo di recidiva essere concreto e attuale.
L’imputato, nel corso dello svolgimento dell’attività lavorativa, avrebbe rapporti solo con il datore di lavoro e con i propri colleghi e potrebbe comunicare alle forze dell’ordine il passaggio da un cantiere all’altro nell’ambito della stessa città di Gela.
Si è proceduto alla trattazione scritta del procedimento in cassazione, ai sensi dell’art. 23, comma 8, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito nella legge 18 dicembre 2020, n. 176 (applicabile in forza di quanto disposto dall’art. 94, comma 2, del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, come modificato dal decreto-legge 22 giugno 2023, n. 75, convertito nella legge 10 agosto 2023, n. 112), in mancanza di alcuna richiesta di discussione orale, nei termini ivi previsti; il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO e il difensore hanno depositato conclusioni scritte.
Il ricorso è inammissibile perché proposto con un motivo manifestamente infondato.
Già nella sentenza rescindente di questa Corte si era osservato che “l’istanza formulata nell’interesse del ricorrente aveva ad oggetto l’autorizzazione ad allontanarsi dal luogo di restrizione domiciliare per svolgere attività lavorativa e che dunque il petitum era in tali limiti circoscritto, anche ai fini della devoluzione del tema in sede di appello cautelare”.
Sono inammissibili, pertanto, le doglianze inerenti alla concretezza e attualità del pericolo di recidiva, in quanto estranee alla richiesta presentata ex
art. 284, comma 3, cod. proc. pen., che implicava, evidentemente, la permanenza delle esigenze cautelari, in assenza della quale nessuna misura può essere mantenuta.
Correttamente il Tribunale ha esaminato il profilo della compatibilità con dette esigenze dell’attività lavorativa che l’imputato, già condannato anche in secondo grado, andrebbe a svolgere: infatti lo stato di indigenza, riconosciuto nell’ordinanza, rappresenta solo una delle condizioni in presenza delle quali alla persona sottoposta alla misura domiciliare può essere concesso di allontanarsi dal luogo di arresto per esercitare un’attività lavorativa, poiché l’apprezzamento del giudice non può prescindere dalla considerazione della compatibilità di detta attività rispetto alle esigenze cautelari poste alla base della misura stessa, che costituisce pur sempre una forma di custodia cautelare (cfr., ad es., Sez. 5, n. 26601 del 21/02/2018, COGNOME, non mass. sul punto).
Inoltre, NOME la NOME valutazione da NOME compiere ai NOME fini NOME della NOME concessione dell’autorizzazione ad assentarsi dal luogo di detenzione ex art. 284, comma 3, cod. proc. pen. deve essere improntata a criteri di particolare rigore, tenendo conto della concreta compatibilità dell’attività lavorativa proposta rispetto alle esigenze cautelari poste a base della misura coercitiva (Sez. 5, n. 27971 del 01/07/2020, G., Rv. 279532).
Sul punto questa Corte ha affermato che lo svolgimento di attività lavorativa non deve comportare l’allontanamento dal luogo di esecuzione degli arresti domiciliari con spostamenti continui, orari di lavoro difficilmente controllabili e possibilità di contiguità con un numero indeterminato di soggetti oppure implicare la permanenza del prevenuto fuori di casa per considerevoli periodi della giornata: sarebbe così di fatto vanificata ogni possibilità di sottoporre la persona ai controlli necessari a fini cautelari (Sez. 2, n. 9004 del 17/02/2015, Prago, Rv. 263237; Sez. 6, n. 12337 del 25/02/2008, Presta, Rv. 239316; Sez. 1, n. 103 del 01/12/2006, dep. 2007, Cherchi, Rv. 235341; Sez. 2, n. 1556 del 08/11/2005, dep. 2006, COGNOME, Rv. 233143; Sez. 4, n. 45113 del 15/03/2005, dep. 2006, Hari, Rv. 232820).
6. Il Tribunale si è attenuto a detti princìpi evidenziando che l’imputato avrebbe lavorato in vari cantieri della città, venendo inevitabilmente a contatto con più persone, e soprattutto che egli avrebbe prestato la propria attività per undici ore e mezza dal lunedì al venerdì e per dieci ore e mezza il sabato, vanificando così la salvaguardia delle esigenze cautelari che avevano determinato l’applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico.
Nell’ordinanza impugnata, pertanto, non è ravvisabile alcuna violazione di legge e la motivazione non è affatto da alcun vizio che peraltro il ricorrente non ha neppure specificamente indicato.
All’inammissibilità dell’impugnazione proposta segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
Risultando attualmente l’imputato detenuto in carcere, copia della presente decisione va trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’imputato si trova ristretto.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 01/02/2024.