Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 34664 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA
Penale Sent. Sez. 2 Num. 34664 Anno 2025
Presidente: COGNOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/10/2025
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SECONDA SEZIONE PENALE
Composta da
NOME COGNOME COGNOME
– Presidente –
Sent. n. 1750 sez.
NOME COGNOME
NOME COGNOME
CC – 10/10/2025
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
NOME COGNOME
NOME COGNOME
– Relatore –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di: COGNOME NOME, nato a Napoli il DATA_NASCITA, avverso la ordinanza del 10 giugno 2025 del Tribunale di Reggio Calabria, visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione della causa svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, AVV_NOTAIO, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso; udito il difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO, presente anche in sostituzione del codifensore AVV_NOTAIO, che ha insistito per l’annullamento della impugnata ordinanza.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale per il riesame delle misure coercitive di Reggio Calabria rigettava l’appello proposto dall’imputato, ex art. 310 cod. proc. pen., avverso l’ordinanza emessa in data 13 maggio 2025 dal Tribunale di Locri, che aveva disatteso la richiesta di autorizzazione dell’istante, sottoposto alla misura degli arresti domiciliari, a svolgere attività lavorativa presso la propria azienda commerciale (art. 284, comma 3, cod. proc. pen.) e quella di revocare il divieto di comunicare con persone diverse dai familiari conviventi (art. 284, comma 2, cod. proc. pen.).
1.1. Il provvedimento che ha rigettato il gravame avverso la negata autorizzazione fonda sul difetto di prova della assoluta indigenza dell’istante, che assume esser titolare di un’azienda commerciale in pericolo di decozione, sulla iterazione parossistica di condotte che manifestano trasgressività e noncuranza dei provvedimenti della giurisdizione limitativi della libertà personale, insofferenza ai controlli, dedizione professionale alla frode.
Avverso tale pronuncia propone ricorso per cassazione l’imputato, a ministero del difensore di fiducia, lamentando manifesta illogicità della motivazione, che si mostra altresì inosservante di quanto dispongono gli artt. 299, comma 2, 284 commi 2 e 3, 125, comma 3, cod. proc. pen., per avere il Tribunale della cautela ritenuto determinante l’assenza di dimostrazione dell’effettivo stato di indigenza dell’imputato sottoposto a provvedimento autorestrittivo con prescrizioni, in assenza di altre fonti di sostentamento, l’episodica contingenza degli episodi trasgressivi, la inoffensività delle violazioni delle prescrizioni accessorie, che neppure apparivano geneticamente argomentate, da ultimo, l’assenza di attualità e concretezza delle esigenze cautelari sottese al mantenimento della misura coercitiva di natura detentiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato in diritto, oltre che meramente reiterativo delle doglianze poste ai giudici di merito, rigettate con diffuse, congrue e pertinenti argomentazioni in fatto; va pertanto dichiarato inammissibile.
Va in primo luogo individuato con precisione il perimetro delle domande e, all’interno di queste, delle doglianze prospettabili nella presente fattispecie processuale con i motivi di ricorso per cassazione. Il principio di continuità della catena devolutiva e l’architettura piramidale del giudizio di impugnazione portano ad escludere in radice che possa esser rivolta al giudice del controllo di merito -ed eventualmente alla Corte di legittimità- una domanda non previamente avanzata, così come, secondo quanto dispone il testo dell’art.
606, comma 3, cod. proc. pen., restano fuori dal perimetro del devolvibile gli argomenti di doglianza non previamente prospettati al giudice che procede nel merito e a quello intervenuto a seguito di impugnazione (Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, Galdi, Rv. 270316 – 01).
2.1. Cosicché devono esser preliminarmente dichiarati inammissibili la richiesta di nuova valutazione della gravità indiziaria (art. 273 cod. proc. pen.), quella sulla attualità e concretezza delle esigenze cautelari (art. 274 cod. proc. pen.) e quella sull’adeguatezza della misura in corso di esecuzione (art. 275 cod. proc, pen.), giacché non hanno formato oggetto di domanda al giudice che procede ed a quello intervenuto a seguito della impugnazione.
2.2. Sono naturalmente sempre impugnabili i provvedimenti, in materia di misure coercitive detentive autocustodiali, afferenti le modalità di esecuzione degli arresti domiciliari (art. 284, comma 2 e 3, cod. proc. pen.), che incidono in modo apprezzabile e durevole sul regime di vita della persona e sul tasso di afflittività della misura (Sez. U n. 24 del 03/10/1996, COGNOME, Rv. 206465-01; Sez. 1, n. 1536 del 03/10/2018, dep. 2019, Pergola, Rv. 275220-01; Sez. 6, n. 13718 del 03/03/2020, COGNOME, Rv. 278758). Solo in questo ambito possono dunque agitarsi le doglianze difensive svolte in punto di motivazione del provvedimento impugnato.
E’ tuttavia manifestamente infondato in diritto il motivo di impugnazione che taccia di manifesta illogicità la motivazione del provvedimento impugnato, che ha valorizzato la non prospettata condizione di indigenza quale presupposto per chiedere di esser autorizzato ad allontanarsi dal domicilio di detenzione per svolgere attività lavorativa.
Il Tribunale, infatti, ha logicamente argomentato la sua decisione di rigetto, ritenendo che non possa farsi equivalenza tra il prospettato (ma non dimostrato) stato di decozione dell’azienda nella titolarità dell’imputato (che peraltro appare lo strumento attraverso il quale l’imputato avrebbe commesso diversi episodi di truffa) e lo stato di indigenza personale (che deve esser dimostrato da chi chiede l’autorizzazione ad allontanarsi dal domicilio di detenzione per ragioni di lavoro). La valutazione del giudice in ordine alla situazione di assoluta indigenza dell’istante deve, inoltre comunque, essere improntata, stante l’eccezionalità della previsione, a criteri di particolare rigore, pur non potendo spingersi sino al punto di pretendere una sorta di ‘prova legale’ dello stato di assoluta indigenza del nucleo familiare mediante produzione di una autocertificazione attestante la impossidenza dei redditi necessari a soddisfare le ordinarie esigenze di vita (Sez. 2, n. 12618 del 12/02/2015, Rv. 262775). Nella fattispecie, il Tribunale ha rilevato che è rimasta indimostrata l’assoluta impossibilità di provvedere al proprio sostentamento, giacché l’art. 284, comma 3, cod. proc. pen., richiede il riconoscimento di una “situazione di assoluta indigenza” da valutare in termini di “indispensabilità” e di ‘assolutezza”, sicché deve condividersi la logicità dell’argomentare del giudice di merito che ha tratto, dalla titolarità
di una azienda avviata nel settore del commercio delle autovetture, argomento per ritenere indimostrato tanto lo stato di indigenza (in fattispecie consimili, v. Sez. 2, n. 53646, del 22/9/2016, Rv. 268852; Sez. 3, n. 3649 del 17/11/1999, Rv. 215522), quanto la confusione tra le risorse finanziarie dell’azienda e quelle funzionali al sostentamento della persona.
Parimenti infondati sono, in forma manifesta e reiterativa, gli altri argomenti che censurano la motivazione del provvedimento impugnato svolta in tema di necessità di mantenere i divieti accessori alla coercizione. Il Tribunale ha infatti valorizzato sul punto una messe seriale di condotte (non tutte, in sé, penalmente illecite) che testimoniano la natura trasgressiva dell’imputato, che ha, in tempi anche recenti, violato innumerevoli volte le prescrizioni imposte; il che offre contezza della assoluta necessità dei presidi accessori alla misura domiciliare imposti.
4.1. Neppure sotto tale profilo si evincono pertanto i vizi esiziali di motivazione denunziati con i motivi di ricorso.
Alla inammissibilità del ricorso, segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, oltre al pagamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 10 ottobre 2025.
Il consigliere relatore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME COGNOME